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Posts written by renatag

view post Posted: 28/11/2020, 18:17     +1Supplica a mia madre - Pier Paolo Pasolini - Poesia d'autore
Supplica a mia madre - di Pier Paolo Pasolini

È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile...
view post Posted: 2/9/2020, 11:59     +1TARTUFI DI RICOTTA E CACAO - Spazio culinario
250 gr ricotta - due o tre cucchiai di caffé (o orzo) -2 o 3 cucchiai di cacao zuccherato in polvere - 2o 3 fette biscottate da polverizzare con un frullatore (la variazione da 2 a 3 degli ingredienti dipende dlla ricotta: se è quella vaccina, asciutta, bastano 2 cucchiai 2 fette biscottate, ecc., se è quella di pecora ha bisogno di più ingredienti aggiunti per essere lavorata) - 2 o 3 cucchiai di zucchero - codette di cioccolato

Mescolare a mano (col frullatore la ricotta di scioglie...già provato) gli ingredienti con una forchetta, finché si formerà un composto solido e omogeneo. Formare con le mani tante palline, da far rotolare prima in un altro po' di cacao,poi nelle codette di cioccolato, quindi metterle o in un piatto distanziate o dentro le formine di carta oleata apposite per cioccolatini e lasciarle in frigorifero per almeno un paio d'ore.
view post Posted: 21/8/2020, 19:05     Quando non ci saro' piu' - Poesia
intenso, efficace, condivisibile nel contenuto ... brava
view post Posted: 20/8/2020, 00:14     +1LA VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS - Narrativa
LA VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

E’ una sera di marzo a Genova e, come abitualmente succede ogni mese di marzo di ogni anno, piove, piove, piove.
Le strade cominciano a somigliare a corsi d’acqua, perché i tombini rigurgitano la pioggia e perché il grande nemico, il fiume che abitualmente è poco più di un rigagnolo visitato da poche anatre velleitarie e molti ratti prolifici, sta silenziosamente gonfiandosi.
Ma il grande nemico, questa volta, non è lui, anche se ormai da tempo gli abitanti dei quartieri che si affacciano sulle sue sponde hanno il nodo in gola dalla paura ogni volta che piove anche solo da allerta gialla.
Il nemico è un altro, molto più piccolo, subdolo, veloce. Il nemico ha la forma accattivante, per chi lo riesce a vedere al microscopio, di una innocua pallina con tante protuberanze. Il nemico è un virus, un coronavirus, ma di un tipo sconosciuto sinora e sta circolando probabilmente già da un paio di mesi almeno, ma per troppo tempo è stato confuso con gli abituali, molto meno pericolosi, malanni di stagione: raffreddori, laringiti, bronchiti, polmoniti.
Ormai, però, la sua riproduzione incontrollata non può più rimanere inavvertita: dalla Cina si è espanso prima in alcuni paesi della Lombardia, da lì alle altre regioni del Nord dell’Italia, da chissà dove ai paesi dell’Est europeo, alla penisola iberica, al continente americano, alla Gran Bretagna, a… a… è pandemia, di una diffusione e violenza tale che solo i libri di storia o qualche centenario possono ricordare un precedente: la Spagnola, che aveva fatto più vittime del primo conflitto mondiale, al termine del quale si era affacciata a reclamare la sua quota di sacrifici umani.
I quotidiani, i telegiornali, i social media stasera fanno rimbalzare la notizia terrificante in ogni casa, in ogni paese, in ogni nazione.
Da domani, lockdown, tutti in casa. Chiudono i negozi, ad eccezione di quelli alimentari, le scuole, gli uffici pubblici e privati. Si inventa lo smart working per tutti e bisognerà imparare a fare riunioni e persino lezioni scolastiche in videoconferenza.
Lo spazio in cui muoversi si circoscrive alla propria abitazione, al massimo al proprio quartiere, il coprifuoco comprende tutte le 24 ore e per uscire di casa occorrerà munirsi di una autocertificazione, da scaricare da internet da uno dei tanti decreti che presidente del consiglio, presidenti di regione, sindaci hanno emanato e che sono solo i primi di una lunga serie di documenti scritti in un burocratese spesso ambiguo e incomprensibile.

In un palazzo costruito all’inizio del ‘900 a pochi metri dal letto del fiume, alcuni degli abitanti dormono già profondamente, alcuni, invece, guardano preoccupati dalle finestre la pioggia che cade inesorabile, fragorosa, incessante, altri leggono un libro, ignari di tutto, altri fanno ansiosamente zapping con il telecomando per verificare quelle notizie allarmanti, ansiogene, incredibili.
Sono ancora sveglie davanti alla TV le due sorelle del primo piano, anziane appassite insieme, dopo una vita dedicata alla cura della madre inferma e al lavoro nella loro merceria, un tempo frequentata dalle signore alla ricerca dei bottoni eleganti per una giacca, del cartamodello di una gonna, dei gomitoli di lana per un pullover da fare ai ferri. In quel mondo circoscritto il tempo è passato inesorabile, le due donne non hanno avuto un’esistenza autonoma, la più giovane di loro si è sposata un tempo lontano, ma è rimasta prematuramente vedova e senza figli, quindi è tornata a vivere con la sorella. Ma mentre la sorella più anziana sembra essere paga di quella vita grigia e sempre uguale, la più giovane nutre ancora inconfessati desideri di stringere amicizie, di coltivare interessi, di evadere dalla routine. Scoprire l’ UNITRE è stato per lei, in autunno, come lo schiudersi di un mondo di possibilità. Due volte alla settimana può così uscire, vestirsi con gusto, indulgere ad un filo di trucco e recarsi a seguire due corsi (con la quota di iscrizione ne avrebbe diritto a cinque, ma con che cuore potrebbe dire alla sorella che ben cinque volte alla settimana si sarebbe assentata di casa senza di lei?). Ha fatto qualche conoscenza, si è ritrovata in un clima quasi goliardico, ha ripreso, con interesse e con stupore, lo studio di una lingua straniera che pensava dimenticata e di una letteratura che l’appassiona come non credeva più possibile. Quando torna a casa, con i libri in borsa e tante nozioni nella mente, si sente di nuovo giovane, con il desiderio di apprendere, con la fiducia nelle proprie potenzialità. E ora, come farà, se si interromperanno anche le lezioni all’ UNITRE, come in tutte le scuole di ogni ordine e grado? Non potrà più neppure godere di quelle poche ore di evasione? La sua vita ridiventerà grigia come quella della sorella, che ha dieci anni più di lei?

E’ ancora sveglia anche la giovane coppia che convive al terzo piano. Lei corregge stancamente i compiti di inglese che i suoi alunni precari di una cattedra precaria hanno completato svogliatamente, sicuri come sono che, intanto, l’anno prossimo, in terza media, sarà sostituita da un altro docente. Lui prova sulla chitarra elettrica, a cui ha inserito la sordina, gli accordi di un brano che dovrà suonare con i tre componenti della band il sabato successivo e intanto sogna il giorno in cui diventerà famoso e ricco.
Sono giovani e belli, ma sono guardati con un po’ di diffidenza nel condominio in cui abitano da pochi mesi. Il fatto di non essere sposati e definirsi, quindi, “il mio compagno” e “la mia compagna” , l’abbigliamento sempre molto sportivo, i capelli un po’ troppo lunghi di lui e quei suoni metallici che escono dalla porta malgrado la sordina hanno creato un alone vagamente trasgressivo attorno ai due, quasi da tardo-hippies.

Sono intenti a discutere, come sempre, i maturi coniugi del quinto piano. Il motivo del contendere è il loro ormai adulto rampollo, che il padre vorrebbe veder diventare autonomo e responsabile e che la madre fa di tutto per tenere sotto il suo amoroso controllo. Il bambino non è ancora rientrato e non ha fatto sapere dove si trova. La madre vorrebbe aspettarlo per rassicurarsi circa la sua incolumità e per chiedergli se ha bisogno di qualcosa, il padre vorrebbe essere a letto da un po’ e rinfaccia alla moglie la responsabilità di aver cresciuto un irresponsabile, che da anni afferma di essere sul punto di laurearsi finalmente in architettura, ma intanto vive con la paghetta settimanale dei genitori, come un adolescente della metà dei suoi anni.

E’ sveglio e sta fumando lentamente la pipa il vedovo del secondo piano, ormai alle soglie della pensione. E’ seduto sulla poltrona preferita della moglie e i suoi occhi seguono alternativamente le volute di fumo ambrato e le tante foto appese alle pareti di lei sorridente, bella e giovane. E’ questo il momento più triste della giornata. Durante le ore di lavoro, la maschera di efficientismo e di compostezza che si è imposto riesce ad impedire al dolore di soffocarlo, ma il ritorno serale nella casa silenziosa e deserta è ogni volta un pugno allo stomaco. Vivevano in simbiosi, il mancato arrivo di un figlio, anziché rappresentare un motivo di crisi, li aveva uniti ancora di più e persino i lunghi mesi di malattia erano stati occasione di condivisione, di dimostrazione di amore, di reciprocità. Ha ascoltato distrattamente le notizie riguardanti l’epidemia e le disposizioni da seguire. Non gli importa molto di uscire e nemmeno di poter essere contagiato e di morire. Lui si sente già morto dentro, teme che lo sarà del tutto dopo il pensionamento e si domanda spesso perché mai stia vivendo ancora.

A piano terra, nei due locali dell’ex-portineria, dorme, stanca, ma felice, la ragazza ecuadoriana che, dopo aver ottenuto finalmente un lavoro regolare, un permesso di soggiorno prolungato, una casa ad un prezzo ragionevole, ha potuto chiedere il ricongiungimento familiare per la sua bambina di sei anni, che ora è nel lettone con lei, una manina nella sua e una in quella di un bianco orso di pelouche.
Chissà cosa sta sognando…forse un uomo che faccia da padre alla sua piccola e che non alzi le mani, come hanno fatto i pochi che ha conosciuto sinora, compreso quello che l’ha resa madre e poi le ha suggerito di abortire, rivelandole solo allora di avere già una famiglia numerosa sulle spalle.
Non ha guardato la televisione, non sa ancora che non dovrà recarsi al lavoro domani, anche se le colf e le badanti in teoria potranno farlo, perché la signora che l’ha assunta, terrorizzata dalla possibilità del contagio, le intimerà telefonicamente di rimanere a casa senza lavorare sino alla fine dell’epidemia. Se la pagherà? No di certo. Se la pagherà l’INPS come se fosse malata? Ma probabilmente no. La sua possibilità di sopravvivere non è solo una questione medica, ma economica.

I genitori del quinto piano, in preda all’ansia, sono stati raggiunti sul cellulare dal figlio, che li ha rassicurati sulla sua incolumità (non è che il virus, improvvisamente, stia dilagando per le strade del centro o forse sì?) e ha comunicato l’intenzione di fermarsi a dormire a casa della ragazza (quale? ne ignoravano l’esistenza) fino all’indomani, quando le strade saranno, magari, tornate percorribili senza documenti e autocertificazioni. Visto che tornerà da loro in pieno giorno, farà in tempo a stamparsi un’autocertificazione e a fermarsi a fare la spesa così che la madre possa non uscire, come da decreto, ma continuare a cucinare per lui. La madre si commuove all’idea di tanta gentilezza. Il suo bambino sta forse maturando, di fronte ad un evento così inatteso e rischioso?

Le mature sorelle del primo piano, l’una in ansia per le notizie ascoltate in TV, l’altra appisolata sulla poltrona come sempre, sentono ad un tratto un leggero e discreto bussare alla porta.
Chi sarà mai, se loro non ricevono mai nessuno? E poi a quest’ora quasi notturna? Aprire o no?
Spiando prima dallo spioncino, decidendosi poi a socchiudere l’uscio, la sorella meno matura si trova con stupore davanti il giovane quasi capellone del terzo piano.
Con un sorriso gentile, quasi imbarazzato, il ragazzo si offre, l’indomani mattina, di portare anche per loro il sacchetto della spazzatura ai bidoni appositi, un po’ lontani dal portone e, magari, se lo gradiscono, di fornire anche il quotidiano e un po’ di pane, che, comunque, andrebbe a comprare per sé. La televisione ha raccomandato soprattutto agli, come dire, over …over… di non uscire perché sembra che per loro il maledetto virus diventi davvero un assassino.
Stessa offerta, spiega, ha appena fatto al vedovo misogino del terzo piano, che dapprima si è stupito, poi stava per rifiutare offeso, ma infine si è convinto a farsi aiutare…intanto sarà davvero meglio che lui non esca e chissà se non verrà addirittura prepensionato, per quei pochi mesi di lavoro che gli sarebbero toccati
Tra un paio di giorni, aggiunge il giovane, lui dovrà recarsi al supermercato più vicino … se loro vogliono affidargli una lista compilata di prodotti, potrà fare la spesa anche per loro.
Le due sorelle, entrambe ormai in ingresso ad ascoltare, si scuotono dal loro serale torpore e invitano il giovane ad entrare e, mentre scrivono di quali prodotti avranno necessità, si informano gentilmente sulla sua compagna, sui loro studi e professioni, sui loro progetti per il futuro.
Nei giorni successivi questa strana, inattesa collaborazione si rivela una provvidenziale finestra aperta sul mondo esterno, diventato all’improvviso ostile e rischioso.
Il vedovo solitario, ma ben informatizzato, si offre di installare lui stesso sul tablet della sorella più giovane del primo piano il programma che, ha sentito, le permetterà di seguire le lezioni dell’ UNITRE in videoconferenza.
Lei, dal canto suo, insieme alla sorella, ha deciso di confezionare mascherine casalinghe per tutti i vicini, rispolverando la sua conoscenza dei tessuti e dell’arte del cucito.
La giovane insegnante precaria si offre di aiutare la bimba ecuadoriana, che aveva appena iniziato ad imparare l’italiano e a frequentare la prima elementare, a seguire le lezioni in quella nuova strana modalità dal cellulare, dove è ben più difficile mantenere l’attenzione rispetto alla frequenza di una classe e a fare i compiti che le verranno assegnati.

La paura di un nemico sconosciuto, la condivisione del pericolo, la spontanea solidarietà hanno reso tante singole solitudini non più delle monadi senza porte né finestre, come quelle ipotizzate dal filosofo Leibniz, ma degli anelli di una catena di reciproco aiuto.
Probabilmente, quando il pericolo si sarà attenuato, quando i troppi morti saranno stati sepolti e compianti, quando medici e infermieri saranno riconosciuti come gli eroi del momento, la vita riprenderà come una sfida, e forse ,allora, nell’elegante e vecchiotto palazzo del centro, ognuno tornerà a richiudersi nei propri appartamenti, nei propri problemi, nelle sue diverse solitudini.
Ma è stato bello, bello come solo un miracolo inatteso può apparire, che di fronte a qualcosa di ben più grande dei piccoli egoismi, dei singoli disagi e delle solitudini individuali, delle mani abbiano saputo tendersi per dare aiuto, delle parole abbiano potuto trovare voce per consolare, dei gesti concreti abbiano reso i vicini di casa realmente più vicini gli uni agli altri.
view post Posted: 20/8/2020, 00:03     +1STORIA DI UNA STELLA MARINA - Fantasilandia...il regno delle fiabe e delle leggende
STORIA DI UNA STELLA MARINA

Marinella era una stella marina, sì, una di quelle piccole creature che gli scienziati chiamano pomposamente Echiniderma Asteroidea, che sono presenti in tutti i mari del mondo e che appaiono tanto graziose per la loro forma a cinque punte e a cinque braccia, tutte ugualmente dotate di sistema nervoso e, quindi, di capacità di movimento.
Marinella non sapeva nulla delle classificazioni degli scienziati e tantomeno di quanto il funzionamento del suo corpicino apparisse loro ancora in parte misterioso. Marinella sapeva solo di sentirsi in qualche modo diversa, più bella delle sue sorelline nate come lei in una foresta di posidonie, perché, a differenza della maggior parte delle asteroidee, il suo corpicino non aveva una colorazione rossastra, ma azzurro intenso, azzurro come il mare in alcuni punti non eccessivamente profondi, dove riusciva a penetrare in parte la luce del cielo e a riflettervi il suo colore
Proprio per questa sua diversa colorazione, sentiva di essere attratta irresistibilmente dalla superfice , come se a lei non competesse il buio del fondale, ma il privilegio di osservare il cielo lontano e di ricevere la carezza tiepida del sole, quando si lasciava galleggiare pigramente e cullare dalle onde lente del mare appena increspato dalla brezza primaverile.
Era golosa di piccoli crostacei e di molluschi, ma, vanitosa com’era, stava attenta a conservare una perfetta simmetria nel suo corpicino blu dalla forma pentastellata, così cresceva rapidamente diventando sempre più graziosa.
La mamma, che nel frattempo aveva deposto un’altra serie di uova ed era occupata a sorvegliarle attentamente perché non finissero in bocca ai tanti predatori che ci sono nei fondali marini, si affannava a raccomandarle di non allontanarsi troppo dalla sua vista, perché lei non poteva inseguirla e le raccontava di come gli uomini ed anche i loro piccoli, quando non sono stati educati dai genitori a rispettare tutte le forma di vita che esistono nella terra e nel mare, talvolta afferrano le stelle marine credendole dei giocattoli o dei soprammobili e le fanno morire prima ancora di essere riusciti a portarsele a casa.
Anziché vagare per il mare ed avvicinarsi pericolosamente alla superficie, era ora, piuttosto, che Marinella pensasse ad accettare l’amore di uno dei tre corteggiatori che le giravano attorno e, con loro, così, accoppiarsi, deporre una nuova serie di uova e far proseguire la specie, come è dovere di ogni stella marina che si rispetti .
Marinella, però, diceva che sì, avrebbe pensato, avrebbe scelto, avrebbe deciso, ma tra sé e sé giudicava Aster troppo grosso e goffo, Roy troppo piccolo e timido, Echy bello ma stupido e cercava, quindi, di rimandare ogni decisione ad un futuro imprecisato, inseguendo, intanto, sogni fantastici di un compagno bellissimo, che sarebbe arrivato a cavallo di un ippocampo a rapirla per portarla in un mare incantato, dove non ci sarebbero stati né predatori, né burrasche, né oggetti inquinanti gettati dagli umani incoscienti, ma solo acque azzurre limpidissime.
Un pomeriggio, mentre fantasticava adagiata mollemente sulla superficie dell’acqua , non si accorse che il sole stava tramontando e il colore del cielo da azzurro stava diventando di un blu più cupo.
Quando, spaventata, vide che era quasi scesa la notte e stava per nuotare velocemente verso il fondale, ecco che si accorse di qualcosa che mai aveva visto: in quel blu scuro del cielo si stavano accendendo delle luci il cui chiarore illuminava anche la superficie del mare.
Una di quelle luci, che lampeggiando trasmetteva il suo pensiero, le chiese chi fosse e, alla risposta della stella marina, spiegò che anche lui era una stella, ma una stella del cielo.
Marinella, incantata, gli chiese se non potesse scendere a chiacchierare con lei un po’ più da vicino, ma la stella rispose che, in realtà, era molto più lontana di quanto sembrasse e che no, non poteva scendere, perché la sua luce si sarebbe spenta a contatto con l’acqua fredda. Potevano, però, continuare ancora un po’ a conversare così ed a scambiarsi reciprocamente informazioni della vita nel mare e di quella negli spazi siderali.
E così, ogni notte, Marinella sfuggiva al controllo della mamma, impegnata prima a controllare le uova, poi a sorvegliare le piccole stelle marine uscite dal guscio, e del papà, occupato a procurare cibo per tutta la nuova prole.
Salita fino alla superficie del mare, volgeva il faccino ansioso verso l’alto, finché una lucina intermittente l’avvertiva che Erion, la stella celeste , si era accorto della sua presenza e iniziava a comunicare con lei.
L’attesa trepidante di tutta la giornata, la gioia nel vedere la luce di Erion che le trasmetteva i suoi pensieri, la scoperta che anche lui attendeva quel loro colloquio notturno con ansia, piano piano si trasformarono in un unico sentimento, quello che da sempre anima le creature del mondo intero: l’amore.
Quell’amore diventò talmente forte, talmente intenso, talmente vero che fece sì che accadde qualcosa di imprevedibile e di inspiegabile in base alle regole della scienza umana (ma quando mai gli uomini hanno capito qualcosa dell’amore?) .
Una notte di luna piena, di mare calmo, in cui tutta la natura sembrava cantare una sinfonia di pace e di amore, un raggio luminoso discese dalla piccola stella celeste Erion fino alla superficie del mare e, come una mano carezzevole, sollevò la piccola stella marina Marinella e la portò fino in cielo, dove, trasformata anch’essa in un astro , anziché morire dopo una breve vita, come le sue simili, visse per migliaia di anni luce accanto al suo Erion, amandolo di un amore che aveva permesso l’impossibile (o quello che gli uomini, limitati come sono, avrebbero considerato tale).
view post Posted: 19/8/2020, 23:58     C'È QUALCOSA - Poesia
... per fortuna c'è ancora quel qualcosa che permette di trascendere i problemi della quotidianità e inseguire la bellezza, la poesia, l'arte ...
view post Posted: 19/8/2020, 23:52     +1DOPOL'URAGANO - Poesia
DOPO L’URAGANO

E d’improvviso, nera come il nulla,
fredda come la neve quando gela,
paurosa come una foresta brulla

di notte, la sinistra Signora in una tela
grezza come un sudario, sogghignando,
spiegò sul mondo una crudele vela,

prese nella sua barca come, quando
e chi volle e, inesorabilmente,
spense la vita dietro sé, passando.

La paura e il dolore, gradualmente,
sconvolsero la vita quotidiana.
Non più rapporti umani, solamente

maschere, schermi, cenni alla lontana,
case come caverne contro belve ansanti,
ritmi sconvolti della settimana.

Ma non abbiam, forse, scoperto quanti
cuori pulsavano al ritmo affrettato
del nostro, quante mani innanti

erano tese ed ogni fiore dato
colorava l’attesa del domani,
di un cielo più sereno, illuminato

dalla speranza negli esseri umani.
E, in fondo, non abbiamo anche capito
quanti impegni e progetti sono vani?

Se la vita è la trama di un ordito
fatto di fili fragili e sottili,
ogni singolo istante vale un rito.

La vita non è sogno, che cancelli,
non è un disco con il tasto replay.
Diamo valore ai giorni, brutti o belli.
view post Posted: 19/6/2020, 18:06     Ad un amore andato - Poesia
sentimenti espressi con delicatezza; mi piace il contrasto tra la normalità del paesaggio esterno, tratteggiato con pennellate apparentemente realistiche, in realtà presaghe (il piazzale nudo, i cipressi, l'insegna in disuso, il colore grigio) e il dolore interiore conseguente all'abbandono
view post Posted: 15/6/2020, 19:06     +1CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL'ASIA - Poesia d'autore
G. LEOPARDI, Canto notturno dl un pastore errante dell'Asia

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
E' la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,
Perchè reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perchè da noi si dura?
Intatta luna, tale
E' lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perchè delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno co' suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito Seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchè d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu se' queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perchè giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
E' funesto a chi nasce il dì natale.

Forse l'acme del pessimismo leopardiano... disperato quel verso finale "...è funesto a chi nasce il dì natale..."... eppure, quanta ansia di sapere, quanta sete di infinito, quanto bisogno d'amore in tutte quelle domande esistenziali poste da un immaginario omino sperduto nella solitudine di un deserto, alter ego del poeta solo nel deserto della vita, alla luna, bella, lontana, incontaminata ....
view post Posted: 15/6/2020, 18:50     LA COSA SENZA NOME - Narrativa
omonimi, allora ... mio cugino Franco Musto, ora in pensione, è stato direttore dell' INAIL per quasi tutta la vita ...quasi perché aveva tentato di fare l'avvocato come libero professionista, ma Salerno è una piccola cittadina, ci si conosce tutti, alla fine era pagato con i limoni di Amalfi e poco più, per cui, quando si è sposato, ha fatto il concorso in un ente statale (la sorte di quasi tutti i laureati del sud ... mancano le industrie)
view post Posted: 24/5/2020, 17:50     LA COSA SENZA NOME - Narrativa
ah, il fortissimo istinto della maternità degli animali ha tante volte commosso anche me ...
una curiosità: il tuo cognome, Musto, è lo stesso di mio cugino Franco, salernitano ... sei originario degli stessi posti?
view post Posted: 24/5/2020, 17:47     CARTOLINA COLOR SEPPIA - Narrativa
c'ero anch'io... e vedevo Lascia e Raddoppia, proprio come nel racconto, per terra su un cuscino, perché tante persone del vicinato o parenti venivano in casa mia a guardarlo da uno dei pochi televisori del palazzo ... nostalgia? no, nel senso che ogni fase della vita ha una sua dimensione compiuta e una sua bellezza, sì nel senso che vorrei credere come allora che la mia generazione avrebbe costruito un mondo migliore di quello che avevamo ereditato (sono nata nell'ottobre del 1944)
view post Posted: 23/5/2020, 18:40     +1LA COSA SENZA NOME - Narrativa
infatti era "cosa senza nome" per la ragazzina finché tentava di negare anche a se stessa la realtà... è diventato un bambino quando ne ha preso coscienza sentendolo muovere dentro di sè
view post Posted: 11/5/2020, 00:40     +1LA COSA SENZA NOME - Narrativa
LA COSA SENZA NOME

Per fortuna era stato un inverno lunghissimo, di quelli che ti costringono a seppellirti sotto maglioni lunghi, che coprono fuseaux e leggins , ad arrotolarti due giri di sciarpa attorno al collo e, infine, a coprire tutto con un gonfio piumino.
Era stato facile, così, fare finta di non vedere, quando si spogliava o quando usciva dalla doccia, il suo corpo cambiare forma, la sua vita allargarsi, il suo ventre cominciare a curvarsi, i suoi seni diventare pesanti e dolenti.
Se lei stessa poteva ignorare quelle strategie che la natura, implacabilmente, metteva in atto per preparare il terreno a quella cosa che le stava crescendo dentro, che non voleva nemmeno definire con un nome, allora sicuramente sarebbe riuscita a non far sapere alla madre e al padre quello che le era accaduto.
Così erano passati cinque mesi, cinque mesi in cui aveva finto di condurre la vita di sempre: scuola, studio, un po’ di sport, qualche pizza con gli amici.
Solo quando rimaneva la sera, al buio, nella sua camera, la assaliva l’angoscia della situazione: nonostante lei la ignorasse, era sempre lì la cosa non voluta, non prevista, inseritasi a tradimento dentro di lei dopo un rapporto frettoloso e deludente – il primo – a cui aveva acconsentito solo per potersi sentire anche lei cresciuta, desiderata, amata forse.
Era lì e ignorava il suo ignorarla, cresceva a dispetto della dieta ferrea che si era imposta e presto avrebbe dovuto affrontare la realtà, anziché sperare che fosse solo un incubo da cui si sarebbe svegliata, una mattina o l’altra.
Se fosse riuscita a mantenere il controllo sul proprio corpo, così che nessun notasse la sua metamorfosi, avrebbe potuto arrivare alla fine della scuola e andare in vacanza in Inghilterra, premio promesso per una promozione brillante.
Lì, in qualche modo, avrebbe pensato a come e a chi ricorrere per lasciare quella cosa che prima o poi sarebbe uscita dal suo corpo e che non aveva avuto il coraggio di sopprimere nei primi mesi. Aveva letto che, essendoci un gran numero di gravidanze minorili, c’erano anche strutture di accoglienza che avrebbero provveduto all’adozione, liberandola per sempre dall’incubo di quell’intruso che si era inserito dentro di lei come un parassita.
Ma quella mattina un sole inatteso era spuntato a scaldare i corpi infreddoliti e a rischiarare di promesse e di profumi l’aria carica di pollini primaverili.
Doveva vestirsi con qualcosa di più leggero, ma come entrare in quei jeans così stretti? O in quei fuseaux a fiori? Forse i leggins blu di cotone elasticizzato si sarebbero tesi sufficientemente.
Mentre si strizzava a fatica nel tessuto diventato aderentissimo, mentre già scrutava l’armadio alla ricerca di una camicia abbastanza lunga da coprire le nuove rotondità, ecco che, forse infastidita dalla manovra, la cosa dentro di lei si mosse per la prima volta.
Fu un movimento leggero, come un battito incerto ad una porta che non si sa se si aprirà o come un frullo d’ali in un cielo nebbioso.
Solo in quel momento, in quella posizione assurda, a piedi ancora nudi, con gli indumenti in mano, riuscì a vedersi allo specchio, a vedersi veramente, come mai aveva voluto fare nei cinque mesi trascorsi.
La cosa di cui aveva negato a se stessa l’esistenza, quella cosa che le aveva tolto il sonno e la serenità e l’adolescenza non era una cosa: era un bambino, il suo bambino, che era vivo, che si muoveva dentro di lei, che attirava la sua attenzione, anche se lei non gliene aveva mai dedicata neppure una briciola.
Con una mano sul ventre, in centro alla stanza, rimase a lungo immobile, consapevole all’improvviso che tutti i suoi tentativi di ignorare la realtà erano stati stupidi e puerili e inutili e che era davvero il momento di affrontare la situazione e di informare i suoi genitori, che sicuramente avrebbero strepitato ma poi, forse, avrebbero capito e non l’avrebbero lasciata sola.
E si rese conto che, in effetti, sola lei non era più da tempo, anche se non aveva voluto vedersi e non aveva voluto vederla, la piccola cosa ancora senza nome, che adesso aveva reclamato la sua attenzione e che mai più avrebbe potuto e voluto ignorare.
view post Posted: 8/5/2020, 23:24     VAGITO di G. Pascoli - Poesia d'autore
VAGITO di G. Pascoli, da Myricae, 1891

Mammina . . . bianca sopra il letto bianco
tu dormi. Chi sul volto ti compose
quel dolor pago e quel sorriso stanco ?
Tu dormi: intorno al languido origliere
tutto biancheggia. Intorno a te le cose
fanno piccoli cenni di tacere.
E tutto albeggia e tutto tace. Il fine
è questo, è questo il cominciar d'un rito?
Di tra un silenzio candido di trine
parla il mistero in suono di vagito.
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