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Posts written by Ce lia

view post Posted: 31/7/2014, 09:37     La memoria genetica - Romanzi e Saggi

1
1973



Bella ma senza chioma era nata. Ci vollero mesi prima che gli originari riccioli biondi spuntassero dal suo capo.
Bella comunque, sorridente e pensierosa. Il suo nome era Annadora.
Lei sembrava ragionare su quella nuova vita che, tutto sommato, le piaceva, anche se, appena uscita dal nido morbido della madre, aveva, come tutti, singhiozzato: troppo rumore, troppa luce, troppa solitudine.
Le rughe sulla fronte della neonata lo stavano a testimoniare. Pensava e non sapeva come divulgarlo a tutte quelle facce che la stavano aspettando.
Non le facce, forse le bocche o gli odori aspettavano un segnale da lei. Eppure Annadora non capiva, rifletteva e le rughe sulla sua fronte s’infittivano.
Non per tutti quelli che desideravano di abbracciarla c’era posto, però, non tutte le carezze erano ugualmente per lei benvenute.
Una le piaceva di più, quella che l’accompagnava a riempirsi le labbra, non le faceva male e non produceva che un rumore lieve.
Unico segnale che riusciva a emettere era un suono dalla sua bocca, inadatto al caso perché somigliava a un pianto per avvertire d’essersi sporcata, di avere fame o sete o un dolore finora sconosciuto.
Svegliarsi nel cuore della notte la spaventava, niente di conosciuto, un silenzio irreale d’intorno e solitudine fissa finché una di quelle facce propizie si alzava e la prendeva in braccio camminando lenta e sicura, accarezzandola e parlandole fitto fitto.
Non le offriva alcun cibo anche il torace era soffice e comodo e l’odore diverso ma buono.
Voleva saperlo chiamare qualche viso, forse un modo c’era ancora non lo conosceva. Questa era una faccia diversa dalle altre, tonda e liscia, come il corpo che l’accompagnava.
Avrebbe trovato prima o poi il sistema. Certamente. Ma lei era adesso provvista unicamente di voce strepitante, adatta soltanto in caso di richiesta imperiosa (dolori, fame, sporcizia).
Era nata provvista però anche di pensiero e le frullava già in mente questa riflessione: “L’onda che ritorna, la luna e il sole: quello che muta e si ritrova. Quello che non è mai finito ma così appare perché non crea, non lascia speranza. La serenità è lasciare strade aperte. La smania è di concludere, finire. Tutto continua, la trasformazione non è cambiamento. Non determina né nasce da cessazione. Il cambiamento implica perdurare senza precludere alcuna possibilità” .
Ecco come mai era qui sotto le spoglie di una neonata attesa, già amata e provvista di alcuni ricordi, col nome già scelto.
Per smettere di pensare non si può cambiare pensiero e Annadora desiderava solo interrompersi per riposare. Non spegnersi visto che era possibile rincontrarsi. E questo lei cercava: la capacità di chiamare qualcuno con cui comunicare ben presto. Adesso.
Quella che era una faccia diversa dalle altre, tonda e liscia, come il corpo che l’accompagnava e un modo di addormentarla parlandole fitto e sottovoce. Nello stesso modo certo l’avrebbe svegliata al momento giusto.







2
1914



Il giorno o la mattina dopo, la bambina cercò di guardare intorno a sé e si disse “Oltre quel che vedo, figure ancora incomprensibili, dovrà pur esserci altro; là cercherò.” E imparò come si poteva comunicare anche in modo diverso: guardando o sorridendo, più faticoso ma ugualmente efficace.
Sorrideva guardando la faccia tonda e liscia che dopo un po’ le si era avvicinata e le parlava. Di che? Non capiva altro che non era arrabbiata con lei. Sorrise ancora abbracciata a quel corpo morbido e si accorse che lì vicino si facevano spazio altre figure.
Un giovane, ad esempio, con abiti e pettinatura diversi da quelli usati dalle altre figure intorno a sé.
Si faceva spazio continuamente ed erano gomitate a sconosciuti damerini imbrillantinati che non si lamentavano visto che a spingerli era un giovane con una bella signorina accanto.
Con lui stava infatti una giovane col cappello e il soprabito in tinta, curiosa di guardare l’oggetto di tanto interesse.
Quando giunsero alla culla, più che notare che il grande interesse era una bella bambina sorridente, si avvicinarono e presto furono annusati da Annadora che non riusciva assolutamente a riconoscerli.
Erano odori di naftalina e brillantina mai sentiti. Inutile atteggiare la faccia a sorriso, pensava lei, inutile guardarli negli occhi dato che ancora lei non vedeva chiaro.
Ma quella faccia con un cappello in testa le piaceva molto; aveva in bocca una sigaretta odorosa e sapeva fumarla, senza mandarle addosso il fumo espettorato. Chissà chi era.



3
1914



Dottor Mario Corelli era il suo nome, gli occhi li aveva chiari, i baffi e i capelli neri, lisci a quanto si poteva intuire dal copricapo, la voce profonda, la corporatura alta e snella.
Perfetto per Annadora, intanto l’aspetto fisico, ora bisognava conoscere i suoi modi.
Le fece consegnare un mazzo di fiori dalla cameriera, la ragazza li odorò e li diede a Elvira perché li mettesse in un vaso adeguato e colmo d’acqua.
Prima però lesse il bigliettino che l’accompagnava. Era un biglietto da visita in cui era esibita la sua professione di medico chirurgo e la sua assicurazione a volersi fidanzare presto con lei.
Annadora era bella e elegante, suonava il pianoforte e dipingeva le figure bionde che ogni specchio le rinviava.
Non aveva bisogno di riflettersi, conosceva bene ogni suo dettaglio, dai boccoli biondi che le contornavano il viso ai sorrisi frequenti, alle parole sussurrate, alle risa irrefrenabili.
Certo non aveva bisogno di lavorare né di fare studi impegnativi; quello che le serviva era già in sé.
Nessuno le aveva insegnato a baciare ma l’offerta delle proprie labbra, della bocca e del collo sembravano conosciuti e pronti per il dottor Mario che l’abbracciava stretta incredulo e appagato scuotendo i propri lisci capelli neri.
Frugare tra i suoi panni portò il giovane a raggiungere il suo seno e Annadora si accorse che le carezze lì avevano più conseguenze.
Frattanto tra le gambe della donna si creò una densa umidità e anche là sotto, rimossi i panni, anche le sue parole prima di tornare alla bocca e alle orecchie di lei.
Certo che si potevano unire i due corpi bisbigliò sicura Annnadora, e così fu.
Era certo il caso di sposarsi, decise Mario che ottenne subito l’accettazione della ragazza e di suo padre. La madre pure era contenta e scambiava discorsi con la bella e fortunata figlia.
Toccò al dottor Carelli preparare le carte. La chiesa, santa Sabina di Roma, la scelsero insieme i due fidanzati, all’abito da sposa pensò la madre del dottore senza badare a spese.
Si temeva sarebbe scoppiata una guerra, ma a loro non importava. Erano lontani dal fronte, felici e quindi si sentivano immuni da ciò che accadeva nei Paesi belligeranti malgrado quello che si leggesse sui giornali nazionali.
La chiesa scelta, santa Sabina di Roma, era sul colle Aventino e accanto, pronto per le fotografie degli sposi e delle loro famiglie, stava il giardino degli aranci.
Tra i parenti convocati stava una vecchina dagli occhi acuti, un tempo suora, oggi chiamata semplicemente zia. La zia Maria Clotilde, dal carattere uguale a quello della pronipote Annadora, aveva deciso di uscire dall’Ordine il secolo scorso: non facevano per lei soprattutto obbedienza e castità.
Ormai più nessuno ripensava allo scandalo che si era verificato in quell’occasione.
C’erano stati liti con la Superiora; un amante riccio, forte e bello; il desiderio di libertà che divorava la suora e infine lo spogliamento dagli abiti monacali e l’entrata in un mondo laico che conosceva appena.
Somigliava davvero ad Annadora d’indole, ma senza il trionfo dei capelli biondi ben acconciati e profumati.
Zia Maria Clotilde aveva infatti ormai pochi capelli corti e bianchi, voleva bene come una nonna alla sposa e volle mettersi vicino a lei prima del congedo.
“Vuoi davvero passare la vita insieme a costui? Senza imposizioni?” Le chiese stupita.
La sposa le rispose lieta di sì e si voltò ridendo verso il marito. Mario le sorrise e l’abbracciò mentre la zia Maria Clotilde spariva dalla loro vista e poi dalla fotografia appena scattata con le figure dei tanti parenti.




4
1943



Qui bisognava abbracciarsi con vero amore ma senza alcun erotismo.
A lei riusciva sempre di trovare le parole da scambiarsi quaggiù sia che fossero coetanei, anziani o bambini di ciascun sesso.
Un rosario, preghiere sciolte, giochi, qualsiasi atto servisse per attendere la seconda sirena quella che avrebbe permesso di tornare a casa propria tutti salvi.
Lei più di ogni altro ci sapeva fare, ma non conosceva come, quando e da chi l’avesse imparato.
Chissà da dove venivano le parole, lei non ricordava di essere mai scesa laggiù al suono di un’agghiacciante sirena.
Le sembrava solo di ricordare la fretta di una donna nel vestire e calzare le sue bambine e nel riempire una piccola borsa coi pochi gioielli e tutti i documenti nascosti in casa.
Poi le lunghe scale e un pezzo di strada nel buio dal cielo e dalle finestre sbarrate che lei cercava di riconoscere guardando in alto.
Ogni altra persona rifugiata lì si avvicinava a lei per ottenere speranza e sicurezza, forza e assenza di pericoli come le sue bambine.
Incredibilmente tutti trovavano conforto dai suoi occhi e dalle sue mani, qualcuno anche dai suoi biondi capelli spettinati.

5
a.D. 340



Era nata in una famiglia povera del suo tempo, lavorava in un lupanare e le facevano molto comodo i propri capelli lunghi e biondi e i denti tutti presenti e bianchi.
Mentre l’uomo le stava parlando le aveva alzato la veste quanto bastava per potersi accoppiare.
Più tardi capì anche che non era male farla chiacchierare quanto voleva. Lei parlava e rideva sui suoi clienti che le raccontavano le novità della vita. Un nuovo palazzo, una strada chiusa, una chiesa.
Tante chiese nuove erano state edificate da quando l’imperatore Costantino aveva dato il via alle costruzioni cristiane, ormai bene accettate.
“Se non si passa più da lì, usa la strada oltre e ti ritroverai presto alla casa che cerchi se non l’hanno demolita. Purtroppo le demolizioni del giorno prima le ignoro ancora. Sto sempre qui e non di tutti i luoghi mi parlano. A meno che non sia un edificio di grande interesse o adoperato da gente rilevante”.

6
1603



La pira era pronta; stava salendo lei ben pettinata e ben vestita, innocente come già detto infinite volte agli inquisitori; bastava accendere il rogo e sentire bruciare gli abiti, i capelli biondi, svanire la sua voce e il suo sorriso.
Certo se l’aspettava da quando aveva visto sul suo braccio una grossa voglia, allora considerato segno del demonio, era una strega ma usava il suo potere solo per far ritrovare qualcuno o qualcosa d’importante e per questo era molto ricercata da persone d’ogni sesso e d’ogni età.
Forse il motivo per cui di ogni evento le sembrava già di esserne informata stava in ciò che nel Ventesimo secolo veniva definita la “memoria genetica”, che però tutti gli scienziati non avevano voluto riconoscere.
La memoria di ogni nostro antenato, si diceva, anche di coloro di cui non si riteneva di avere nozione, starebbe comunque stata nascosta nel nostro DNA.
Ciò che era avvenuto nel I, nel 17°, nel 20°, nel 21° sec. d.C. e ancora sarebbe avvenuto, era custodito nella memoria genetica di Annadora, per esempio.

Edited by Ce lia - 31/7/2014, 11:16
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