| UN CACO VERDE ABBRUSTOLITO
Era la prima cosa che vedevo aprendo la porta: il sentiero che aggirava la casa di Pietro, il fornaio che, bianco di farina, immaginavo davanti al forno rosso di fuoco e gonfio di forme di pane. Poi la strada saliva e s’inerpicava contro la collina tra le pietre e i filari spogli dei vigneti. La scuola appariva laggiù, oltre i cespugli di nocciole e i campi di trifoglio. Quando scendeva la neve tutto diventava bianco e non riuscivo a riconoscere neppure la strada. I piedi mi si gelavano sotto lo strato di neve e quando arrivavo davanti alla scalinata della scuola salivo e scendevo i gradini due a due per dieci volte, quindici, venti, finché riuscivo a scaldarmi un poco e smettevo di zoppicare per via del dolore che m’impediva di piegare le dita. Mi piaceva la scuola, anche se non sempre riuscivo a fare bella figura e la maestra, la signora Teresa, mi sorrideva e mi diceva che avrebbe parlato volentieri con il papà. Il mio papà però non veniva mai a parlare con la signora Teresa, diceva che non aveva tempo da perdere, che era stanco e che comunque io a scuola ci sarei andata ancora per poco, il tempo che occorreva a farmi imparare a scrivere e a leggere. Poi non sono mai riuscita a sapere cosa sarebbe successo. Forse lui, mio padre, mi avrebbe mandata in una scuola di città. Forse avremo buttato un po’ di cose, quelle rotte intendo, e ci saremmo trasferiti in un posto meno umido e con vicini più simpatici. Ho sempre pensato che i grandi hanno troppe cose a cui pensare. Tutte cose importanti, quelle che i bambini come me non devono e non possono capire. A volte, quando c’era ancora la mamma, prima che un angelo se la portasse via senza darmi la possibilità di salutarla un’ultima volta con un bacio sulla guancia, li sentivo parlare forte, anche urlare. C’erano sempre i soldi di mezzo e il lavoro della mamma alla Polveriera che la obbligava a stare fuori, a fare i turni e non aveva più la forza né la salute di occuparsi della casa e del marito. Io la vedevo la mamma che si disperava, piangeva, dimagriva. La notte sentivo i suoi lamenti, piangevo con lei e pregavo la Madonna di farla guarire. Mi alzavo, le andavo accanto, le stringevo la mano. «Non preoccuparti mamma, ci penso io alla casa e a papà.» Lei mi guardava, mi sorrideva, mi accarezzava. Quel sorriso illuminava tutta la stanza e quella carezza riscaldava il mio cuore. Lei si quietava e io tornavo a dormire e speravo di sognare e di svegliarmi in un altro posto con lei e papà che mi facevano giocare. Mi alzavo che era ancora buio, rabbrividivo a buttarmi l’acqua gelata sulla faccia, mangiavo un caco verde, abbrustolito la sera prima sulla cenere del camino e andavo alla fontana della piazza a prendere l’acqua per papà. Lui non diceva mai niente, nemmeno mi guardava. La barba gli scuriva il viso, sembrava più vecchio degli anni che aveva. La sera non usciva mai, lo vedevo spesso appoggiare la testa sulle braccia incrociate sul tavolo della stanza. Si addormentava e russava, russava in maniera terribile e io mi raggomitolavo contro il muro, pensavo alla mamma, al paradiso, all’angelo che me l’aveva portata via per sempre. Mi addormentavo con l’odore del mio sudore che si confondeva con quello della paglia e della legna bruciata di cui il materasso era impregnato. L’uscita da scuola era il momento più brutto di tutta la giornata. Mi sedevo sui gradini della scalinata e guardavo i miei compagni correre incontro alle mamme che li attendevano fuori dal cancello arrugginito. So anche cosa li aspettava dopo: una tavola apparecchiata, cibo, una bottiglia d’acqua, magari quella con le bollicine delle cartine, la nonna seduta a sferruzzare, il camino acceso e l’attesa del papà tutt’altro che nervosa.
Ecco, speriamo che la signora Teresa non se ne accorga, papà sta russando e tanto a lui non importa niente di quello che faccio; ho strappato un foglio dal quaderno a righe e ho scritto una letterina a Babbo Natale:
Caro Babbo Natale, tu mi conosci già, inutile che ti dica come mi chiamo. Non sono neppure sicura di essere stata brava e per questo non ho pretese di regali costosi da farti. A dire la verità non so neppure come sono fatti i regali costosi. Non voglio giocattoli, neppure scarpe, vestiti, cappotti.Forse ti sembrerò un poco,strana e forse lo sono ma quello che vorrei, che desidero con tutta me stessa è la cosa più semplice e naturale che ci sia, quella che tutti i miei compagni e le mie compagne di scuola hanno e che io non ho: una famiglia. Vorrei una mamma,un papà, dei nonni e il calore di una tavola apparecchiata. Vorrei che per una volta il mio papà mi sorridesse e che tutti insieme, la mamma, il papà e i nonni fossero seduti a tavola con me e mi chiedessero della scuola, della signora Teresa, dei voti che prendo e delle cose che mi piacerebbe fare. Ecco, nient’altro. Solo questo. Accetta un mio bacio come promessa per un altro anno di bontà.
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