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Posts written by vert/mcb

view post Posted: 17/9/2021, 04:00     +1Storia fantastica… ma non troppo. - Narrativa
Storia fantastica… ma non troppo.


Se avete pazienza e un po' di tempo, ve la racconto tutta questa storia decisamente fantastica… è la storia di una ragazzina, forse di 11 o 12 anni, che qualcuno, per disfarsene, aveva gettato come si fa con una mela marcia in un burrone profondo una decina di metri. Per sua fortuna un vecchio contadino passando di li, la trovò, più morta che viva, la portò nella sua casa, la curò… le scelse un nome, la incoraggiò a non lasciarsi andare, insomma la rimette in piedi e la ragazzina guarisce… ed è a questo punto che tra loro nasce un rapporto dell'altro mondo… nel vero senso della parola.

Dal giorno del suo ritrovamento sono passati due anni… Ormai Fred sa tutto di lei e del suo viaggio tra le stelle, e lei si è integrata benissimo al fianco di quella persona… divenendo una perfetta contadina perché ha iniziato a vivere come l'uomo che l'ha salvata.

Quella sera, seduta sulla panca di pietra, intenta a contemplare l’ardente scena della luna color rame, Sara si chiese se quello che provava in se e i fatti accaduti recentemente potevano confermarle d’essere felice.
– È incredibile, per conoscere la felicità ho dovuto attraversare buona parte di questo universo
Si grattò furiosamente la testa scrollando il capo
– Chissà dove sarei ora se... Oh smettila! Ora sei qui e mi pare che non sia così male – Si chiese e si rispose ad alta voce.

Sentendo il suo animo disporsi alla serenità tirò su le gambe, poggiò la fronte sulle ginocchia e aspirando profondamente l’aria notturna lasciò che tornassero alla mente le infinite verità di quel mondo avvolto ancora nei misteri della natura, della sua gente e delle sue nazioni bellicose che si confrontano creando grandi città, grandi industrie, grande arte, amori e grandi guerre.

– Odio e amore albergano ancora il cuore degli uomini – Borbottò tra se
Rimosse di proposito dalla mente quei pensieri osservando come il chiarore della luna avesse mutato lo splendore amaranto della casa.
– Oh luna, sorella mia – Sospirò – sarò mai capace di rinunciare alla gioia in cambio del più grande dolore? Tu taci e non mi sei d’aiuto, ma mi sarai testimone

Il mattino successivo si svegliò di buonora per preparare la colazione per Frederick Holmes, l'uomo che si era assunto il compito di farle da padre, avrebbe portato con se nei campi, poi tornò di sopra e prima d’infilarsi nuovamente tra le coperte entro in punta di piedi in camera di Fred per svegliarlo.
– Buongiorno dormiglione – Gli sussurrò dopo aver deposto un bacio sulla sua fronte
Poco dopo, quando lo sentì scendere, si alzò per andare alla finestra a osservarlo attraversare il giardino e scomparire al di la degli alberi.
– Buona giornata – Sussurrò tornando tra le coperte
Quando si decise a scendere il sole era già alto in un cielo sgombro di nuvole e sebbene quel mattino fosse uno di quelli che tanto la innamoravano, quegli strani pensieri della sera precedente continuarono a velare il suo spirito di una confusa tristezza.

Si recò nella stalla bofonchiando alla sua maniera, ma soltanto qualche ora più tardi, quando una brillante lama di sole le comunicò che erano da poco passate le dieci, sospingendo il carro con i contenitori del latte appena munto verso lo sterrato che collegava la proprietà con la statale 7, il suo stato d’animo sembrò aver riconquistato la sua normale serenità.
Per un po’ la tentazione di abbandonare ogni cosa e di correre nella valle la obbligò a un doloroso autocontrollo. Rientrò in casa, salì di sopra a rifare i letti, ramazzò il pavimento, tolse un po’ di polvere qua e la, scese a riempire le brocche d’acqua nelle camere e quando ridiscese, dopo aver svuotato della cenere il fornello del camino, si recò nella rimessa per spargerla sul tino dov’era in ammollo il bucato.

Dalla legnaia trasportò in casa i ceppi già tagliati ammonticchiandoli con cura accanto al camino e quando sentì giungere il furgone del latte, uscì nuovamente pronta a condurre le mucche al pascolo.
Con la mano rispose al saluto dell’uomo del furgone, il quale, come sempre, avvolto in un foglio di carta gialla, le aveva lasciato un coloratissimo bastoncino di zucchero sui contenitori vuoti.
Forse fu a causa dell’aria limpida di quel mattino, o per il tepore del sole o chissà per quale altro motivo, ma nella sua mente fece nuovamente capolino quell’impertinente e allettante desiderio di corse sfrenate e di capriole sull’erba già alta.
Sgranocchiando il bastoncino di zucchero condusse gli animali nei campi sul retro della casa e per un po’ se ne restò sdraiata sull’erba a guardarli invidiando la loro libertà.
– Ciao, – Gridò all’indirizzo della vetta più alta sulla quale indugiava ancora un manto nevoso – togliti quel bianco di dosso, non senti che è quasi primavera?

(Era stato Fred a istruirla sul modo di riconoscere l’arrivo di quella stagione. Le aveva insegnato a decifrare un’infinità di piccoli e curiosi indizi, a riconoscere i profumi, i colori vellutati delle aurore e soprattutto quei mille nuovi modi di agire degli animali che la lasciarono decisamente perplessa. Ma il giorno che guardandosi nello specchio scoprì che i suoi seni erano divenuti più turgidi dell’ultima volta che li aveva osservati, accadde quello che Fred non aveva previsto; se ne scappò in lacrime da suor Mary obbligandola ad una lunga e paziente opera di persuasione per farle comprendere quel certo insieme di meccanismi che rendono diverso il corpo di una donna da quello di un uomo. E benché tutto ciò si concluse con sua piena soddisfazione sentimentale e la primavera rimase la stagione delle cose nuove, la sua preferenza l’aveva ormai assegnata al coloratissimo autunno, quando gli alberi cambiano il colore e le foglie trasformano i boschi, i villaggi e i giardini in luoghi di magia variopinti di giallo e marrone, rosso verde e arancio.)

Nel tentativo di soffocare quel desiderio di libertà concentrò la sua attenzione sugli animali e per un po’ le cose sembrarono andare per il verso giusto, ma quando quella urgente necessità spirituale l’invitò alla trasgressione, con un balzo superò lo steccato e di corsa attraversò il vigneto salutandolo con un grido
– Ciao! Non temere, torno subito

Quando raggiunse la cima della collina si lasciò scivolare sull’erba senza più fiato e per un po’, nascosta dal fusto della quercia, rimase ad osservare i gesti antichi con i quali Fred curava la sua terra.
Sentendo crescere in se il prepotentemente desiderio di raggiungerlo fu costretta a dominarsi e per evitare che potesse scorgerla a poltrire, invece d’essere alle prese con il bucato, lasciò l’ombra amica del grande albero per discendere dalla collina lungo il versante più scosceso.

In basso seguì lentamente il corso del ruscello fin dove, allargandosi in un ampia curva, si riversava in cascatelle sonore. Per un po’ restò ad ammirare quella scena, poi, saltando in punta di piedi sulle pietre, che affioravano dalla superficie dell’acqua, passò sull’altra sponda.

Presa dalla crescente gioia per quel senso di libertà e superato di slancio il tratto in ascesa, si arrestò a osservare l’alta vegetazione che ondeggiava frusciante alla spinta di una brezza leggera.

Con pochi salti discese il pendio per immergersi in quel mare verde, ma fatti pochi passi si arrestò sorpresa di non avvertire la presenza degli animali della valle.
Provò a lanciare alcuni richiami che rimasero senza risposta. E immaginando (A volte accadeva) che stessero giocando con lei riprese il cammino, ma più avanzava e più qualcosa dentro di se, simile a una sensazione dolorosa, sembrava volesse indurla a formulare pensieri assurdi.

Dopo un po’ quello stato particolare finì per rimuovere ogni allegria, lasciando subentrare in lei una strana e amara impressione di colpa.
– Accidenti a te Sara non potevi restartene a casa? – Borbottò ormai decisa a tornare indietro.
Ma in quello stesso istante vide animarsi di fronte a se (O le parve di vedere) un quadro ben noto alla sua memoria; un bossolo temporale in avanzato stato di dissolvimento.
Nella stessa frazione di tempo in cui un neutrino nasce e raggiunge la Terra, il modulo inibì i centri di controllo riversando su di se l’intera sua programmazione neuronica.
– Guarda in che guai ti vai a ficcare. – Borbottò ancora lei cercando inutilmente di cancellare dalla mente il ricordo di quanto le era sembrato di vedere – A volte vorrei essere un albero

Con poche mosse precise raccolse sulla nuca la lunga chioma nera per rinfrescare il collo intriso di sudore
– Lo sai mia cara che sei un pessimo soggetto? Ma come puoi pensare di andartene in giro con tutto il lavoro che hai da sbrigare – Pronunciò sottovoce abbandonando nuovamente i capelli sulle spalle, proprio mentre il suo corpo si irrigidì prigioniero di una forza sconosciuta e lei avvertì, dopo un lieve sussulto, il suo cuore cessare di battere.

Il suo corpo si piegò e lentamente scivolò sull’erba.
Non avvertì il contatto con la terra, ma le venne di chiedersi se Fred la stesse cercando.

– Cos’è Fred? – Chiese un suono stridulo alla sua domanda
– Chi sei? – Domandò lei sorpresa
– Sono il tuo colore – Rispose lo stesso eco
– Oh si…ti vedo… Sei lo stesso che vidi in Fred
– Voi avete un unico colore
– Tu sei la mia anima?
– Non so cosa sia anima
– Cosa ne è stato del mio corpo?
– È laggiù, puoi vederlo
– Quella sono io? Che buffo modo ho di dormire… Ma com’è possibile ch’io dialoghi con te se tu sei me?
– Accade quando non si è del tutto distaccati dalla condizione umana
– Intendi dire che sto perdendo la vita?
Ne seguì soltanto un profondo silenzio.
– Posso riavere il mio corpo? – Riprese Sara
– Non ne hai più bisogno
– E allora come faccio a tornare da Fred?
– Vorresti tornare?
– Io debbo! Non posso lasciarlo… Ehi colore!
– Si?
– Cos’è questa vibrazione che sento crescere in me?
– Stai per inserirti nell’infinito
– Ed è bene?
– È bene
– No, non è vero, è Fred che mi chiama
– È soltanto un ricordo. Abbandonalo!

Improvvisamente l’immagine del vecchio contadino che la sollevava tra le braccia per immergerla nel tino colmo d’acqua e sapone colmò il suo spirito

– Ti sbagli colore, Fred non è un ricordo – Sussurrò
– Ti ha fatto questo? – Chiese il colore
– Quella volta me la combinò davvero grossa, ma imparai a non temere l’acqua
– Devi abbandonare ogni suo ricordo
– Ehi non scherzare, io non voglio abbandonare proprio nulla
– Nulla ti trattiene
– Beh, io dico che se non mi sbrigo a tornare a casa sono guai. E se non mi credi stammi dietro
– Abbandonati al tuo colore, ora è questa la tua condizione
– Ma che cavolo dici! La mia vita è Fred
– Il tuo momento è arrivato
– Io posso morire soltanto se Fred dovesse lasciarmi… Ti prego Fred aiutami!...
– Nessun può udirti, tu non hai più voce
– Sai una cosa colore? Tu ne capisci ben poco di amore
– Abbandonati, nessuno potrà aiutarti
– Vuoi smetterla… Fred saprà trovare la strada per raggiungermi
– Non può
– Ti prego Fred prendimi ancora per mano
– Non può
– Ssst, fai silenzio, non voglio parlare con te!

Quel barlume di personalità che ancora viveva in lei lottò disperatamente per ricostituirsi in un'unità pensante. Gridò, urlò, pianse e pregò e a un tratto il colore si spense abbandonandola in un buio silenzioso.

Seguirono attimi di confusione, dolore, rimpianto, incompletezza e improvvisamente tornarono tutti i suoi ricordi.
Il primo segnale le giunse dal modulo che, restituendole calore, le permise di scorgere nel buio tutti i colori dei suoi tramonti e improvvisamente milioni di dolorosissime fitte le segnalarono il ripristino del ritmo cardiaco.

Il modulo mantenne costante il valore del plasma fin quando le pulsazioni non si stabilizzarono, quindi lasciò a lei il compito di normalizzarne il metabolismo.

Pian piano avvertì il suo corpo riacquistare il vigore perduto e mentre il frastuono del sangue si diffuse nella sua testa con il boato d’una cascata, anche il respiro riprese regolarmente facendole bruciare i polmoni.
Provò a distendere le gambe che si mossero riluttanti alla volontà di cui disponeva. Cautamente socchiuse gli occhi e quando a una tremula luce riflessa dal soffitto distinse la sagoma di Fred, sentì tutta la stanchezza del mondo pesarle sulle palpebre.

Quando uscì dal sonno la stanza era silenziosa e soltanto il riverbero delle fiamme nel camino davano vita alle ombre riflesse sul soffitto.
Poggiando un gomito sul cuscino si sollevò ascoltando i suoni della notte che giungevano attraverso la finestra aperta.
– Fred, – Sussurrò mentre lui si volse a guardarla – dobbiamo fare qualcosa
– Stai giù, non affaticarti – Mormorò lui raggiungendo il letto
– Ho da dirti una cosa
– Puoi farlo stando distesa
– Non ho più dubbi, quello che ho visto l’ho già veduto
– Va bene, ne parleremo domani… Ora distenditi e riposa – Mormorò lui ricoprendola con le coperte
– Ascoltami, – Insisté lei – ciò che ho visto è il Potere Oscuro
Appena pronunciate quelle parole le fiamme cessarono di schioccare e l’aria parve farsi di ghiaccio.
– Cos’è il Potere Oscuro? – Chiese lui sedendo sul letto
– È quanto di più brutto possa esistere e sta attirando sulla Terra tutto ciò che c’è di cattivo nell’universo
– Cosa vuole da noi?
– Da te nulla, lui vuole me. – Continuò lei – E io sciocca che non avevo capito… Tutte queste guerre, questo immenso dolore che sconvolge la Terra
– Tu devi avere la febbre
– Ti prego Fred, non scherzare
– Va bene, ma ora calmati. Quando ti sarai ripresa mi parlerai del Potere Oscuro
– No, devi sapere subito… Ho sbagliato a non parlatene prima… Lui è la cosa più atroce che esista in questo universo
– Può farci del male?
– Lo ha già fatto, ed ora sta guidando le sue legioni sulla Terra
Fred la trattenne impedendole di sollevarsi – Va bene, alla Terra penseremo domani, ora quella che mi interessa sei tu
– Non puoi neppure immaginare quanto sia avanti nella sua opera. Tra poco più di un anno il presidente di questa nazione compirà un gesto inaudito
– Roosevelt è una persona con le testa sulle spalle
– Non sarà lui l’uomo che userà la forza dell’atomo per annientare migliaia di vite umane
– Se ti riferisci al progetto Manhattan puoi stare tranquilla, uno degli scienziati è mio amico e al momento quell’arma è inutilizzabile. Perché hai detto che non sarà Roosevelt?
– Non sarà lui l’uomo che utilizzerà quella messa a punto dal Potere Oscuro
– Intendi dire che c’è un altro ordigno a fissione nucleare?
– In Germania ci sono due cellule al plasma
– Cos’è il plasma?
– È l’elemento base di questo universo e lui è in grado d’innescare la mutazione molecolare e ridurre questo pianeta in una pallina più piccola di una mela
– Non dire fesserie. Sarebbe uno scherzo di cattivo gusto… e si può evitare?
– Il plasma non è presente sulla Terra e non può essere ancora riprodotto in questa parte di universo, ma lui può trasportarlo fin qui
– Si può evitare?
– Forse, ma quegli ordigni possono essere usati anche come armi a fissione nucleare… E se non vorrete scoprire l’essenza vera del male dovrete intervenire su chi guida il progetto. Dovrete riuscire a fermarli o sarà difficile tornare indietro
– Conosci le regole, a un essere normale non è permesso intervenire
– Potrei elencare un bel numero di volte in cui lo avete fatto
– Beh… ma non abbiamo mutato il corso degli eventi
– Bugiardo! Non fu un uomo normale a guidare la mano di Bruto?
– Sarebbe accaduto comunque
– Non lo nego, ma anticipaste i tempi
– Fu per salvare migliaia di vite
– E nel Luglio del 1863 non foste voi uomini normali a rovesciare le sorti della battaglia di Gettysburg?
– Fu per lo stesso motivo
– E chi è l’uomo che renderà libero lo stato indiano?
– Quelle ingerenze hanno risparmiato molti lutti. In quanto a Gandhi egli...
– Ssst, no, non devi darmi alcuna spiegazione
– Ad ogni modo, seppure riuscissero a utilizzare quelle armi, non potrebbero distruggere l’intero pianeta
– Anche se si trattasse di un solo uomo io ne soffrirei
– Cosa centri tu?
– Il Potere Oscuro è qui per me
– E allora?
– Dio mio Fred, ma cosa ti accade? Non capisci che questo è l’inizio? È così che lui ha distrutto moltissimi altri pianeti
– Non riuscirà a distruggere la Terra
– È già accaduto prima che altri come me scendessero su questo pianeta. Fosti tu a raccontarmi la leggenda di Terra e Amore? Ricordi?
– È soltanto una leggenda
– Può darsi, ma somiglia tremendamente a una storia vera
– È la verità? – Chiese lui divenendo serio
– Tu mi domandi troppo spesso se quello che dico è la verità. Eppure mi conosci, dovresti sapere che a te non mentirei mai
– Può essere fermato?
– Già una volta sono riuscita a scacciarlo, ma non a salvare dalla distruzione Eras… un mondo meraviglioso
– Puoi batterlo?
– Prima di scendere sulla Terra ero in grado di farlo, ma ora non ne sono più sicura. Oltre a me lui è l’unico essere che può competere con l’infinito. Con lui abbiamo dominato, è stata l'arma migliore che la mia razza abbia saputo costruire
– Foste voi a crearlo?
– Lo creò la nostra tecnologia su un modello proposto da chi allora era in grado di contattare l’entità guida
– Cos’è l’entità guida?
– Non posso darti una risposta, non l’accetteresti
– Tu provaci
– Alcuni degli abitanti del nostro mondo erano in grado di entrare in contatto con un’entità al di la di ogni comprensione umana
– Che genere di entità?
– Puoi chiamala Dio o con qualsiasi altro nome vuoi. Io posso soltanto dirti che ora quell’entità è sulla tua Terra
Per alcuni istanti tra loro vi fu un profondo silenzio, poi lui sembrò voler spezzare quello stato di quiete
– Cos’era quell’arma e quali compiti gli furono assegnati? – Chiese
– Lui fu creato a somiglianza dell’entità che permeava l'infinito e fu dotato di poteri che lo resero simile a un Dio. Inizialmente il suo compito fu di difendere il mio popolo dalle invasioni, ma quando comprendemmo di quali poteri disponeva fu riprogrammato e impiegato a svolgere altri servizi.
– Quali?
– Posso dirti che la migliore delle doti di cui fu fornito fu quella di dare la morte. Con quell’arma riconquistammo quanto ci era stato tolto, ma quando tornammo a dominare l’intero sistema egli ci sfuggì divenendo il nostro più inflessibile nemico
– Per quale ragione?
– Suppongo a causa della nostra stupidità. Eravamo così presi della nostra grandezza che non ci rendemmo conto che nel frattempo non soltanto aveva acquistato una sua identità, ma intuì chiaramente che stavamo per renderlo mortale
– E non provaste a rintracciarlo?
– Fu tentato l’impossibile, ma ormai le sue capacità erano al di la di ogni nostra possibilità
– Anche della vostra entità guida?
– L’avevamo persa Fred, non era più con noi
– Ma tu...
– Io sono giunta miliardi di secoli più tardi
– Puoi dirmi cos’è per te quel contatto?
– Certo che posso, ma tu devi promettermi che non penserai a me come a un mostro… Quel contatto è luce, è calore, è bene
– Cos’è che ti fa credere che lui voglia te?
– Quando sfuggì al nostro controllo fummo costretti a trasformare la nostra condizione fisica in uno stato di vita energetica. Ma la cura fu ancora peggiore della malattia, poiché quella condizione ci precluse la capacità di procreare
– Eppure un giorno tu sarai madre
– Quando mi fu imposto questo corpo non ne fui felice, ma poi tu mi hai insegnato ad amarlo e a rispettarlo, ed io ora vorrei non doverlo più abbandonare
– Nessuno ti obbliga
– E invece si… E tu lo sai benissimo

Lui annuì in silenzio.
– Perché debbo essere io ad affrontarlo… Io voglio vivere
– Un giorno troverai quella risposta
– Certo, ma quel giorno perderò te
– Credi che lui ti abbia riconosciuta? – Chiese Fred provando a interrompere l’argomento
– Forse. Una delle sue regole è quella d’iniziare il possesso utilizzando la paura. Quella è la porta attraverso cui inizia il possesso di un essere dotato d’intelligenza
– Tu hai avuto paura?
– No e questo mi preoccupa, non avrebbe dovuto colpirmi
– Ad ogni modo ne sei uscita fuori
– Il tuo ricordo è stato più forte della mia morte. Tu mi hai preso per mano forzando la mia volontà
– Ho soltanto trasportato il tuo corpo in casa
– Un giorno mi sarà dato sapere quanto ti devo e allora temo che dovrai sopportare in eterno la mia gratitudine
– Beh… se ti interessa saperlo non sarà un sacrificio – Disse lui tentando una battuta di spirito – e per dimostrarmelo comincia ad essere più cauta… non vorrai farmi prendere un colpo, vero?
– Hai ragione, sono stata imprevidente. Mi ha colta nel momento in cui avevo l’animo colmo di dolcezze. Oh Fred! La tua Terra è così bella

Fred sorrise scuotendo il capo
– Hai già pensato a cosa fare?
– No, ma dovrò farlo, non posso rischiare che questa guerra che da anni divide gli uomini distrugga il pianeta
– Non è cosa che ti riguarda
– Mi riguarda e come. Hai mai pensato se qualcuno dei tuoi amici abbia già perso la vita a causa di tutto questo odio?
Il volto di Fred assunse un pallore mortale e lei, notandolo, saltò sul letto abbracciandolo
– Oh mio Dio scusami! Tu non hai alcuna responsabilità, non volevo rattristarti. Ti prego, perdonami, non volevo che tutto ciò coinvolgesse la tua gente, ma ti prometto che farò di tutto per farla cessare, dovesse costarmi la vita.

Nell’aria della stanza si percepiva l’incombenza d’una minaccia, Fred si staccò dal suo abbraccio avviandosi alla finestra.
Sollevò appena la tenda guardando fuori e dopo pochi istanti, quando i suoi occhi si furono assuefatti al chiarore della luna, gli parve di vedere un ombra muoversi tra gli alberi e il piccolo cancello di legno aprirsi e chiudersi senza il minimo rumore.

A conferma di non aver sognato da basso giunse il rumore attutito di cavalli condotti furtivamente per il viale
– Fred! – Sussurrò Sara
Lui si volse e con un dito sulle labbra le impose il silenzio.

Intuendo cosa stesse accadendo Sara assunse il controllo della mente di Fred, creando nei suoi ricordi l’abituale scena di una notte qualsiasi. Quindi, dopo aver distorto lo spettro ciclico del tempo, operò l’aggancio con le tre figure a cavallo che lentamente si avvicinavano alla veranda.
Una di loro scivolò a terra nel silenzio più assoluto e, mentre le altre rimasero in attesa come ombre di pietra, salì i gradini scomparendo al di sotto della tettoia.
– Non è lui – Comunicò Sara

Fred si voltò provando un leggero senso di vertigine e prima che potesse aprire bocca Sara lo raggiunse nuovamente con un segnale mnemonico
– Non impressionarti non sei ubriaco, quella vertigine è dovuta al contatto della mia energia. Il modulo sta saggiando i tuoi limiti… mi autorizzi a collegarti a lui?
Fred annui semplicemente
– Non preoccuparti, nessuno può intercettare questo contatto
– Cosa accadrà?
– In apparenza nulla di straordinario. Riceveranno immagini di umani che dormono… e tu non dovrai avere paura – Sussurrò prendendo tra le sue una mano di lui – Ora dovrò tradurre i loro schemi e avrò bisogno di qualche minuto di tempo. Sta tranquillo, fin quando ci saranno fiamme nel camino non tenteranno di entrare in questa stanza. Sono esseri che non gradiscono la luce. Mi raccomando non forzare il controllo del modulo, resta calmo, più tardi ti spiegherò

Trascorsero più di due ore prima che Sara concludesse la sua prima battaglia terrestre e furono ore in cui ogni uomo o animale, ogni foglia, ogni filo d’erba, ogni goccia d’acqua visse in paurosa attesa.

Un attimo di eternità in cui ogni cosa parve rimanere sospesa tra la vita e la morte.

Anche la casa parve aspettare trattenendo il fiato.
Poi, d’un tratto, la figura sulla veranda si mosse e alla porta risuonò un colpo, non molto forte, ma energico.
– Tentano di svegliarci – Gli comunicò Sara esercitando una leggera pressione sulla sua mano – Non sarà difficile trarli in inganno, ma tu dovrai fare esattamente quanto di dirò. Tra alcuni istanti muterò il tuo stato di sonno e ti sveglierai, ma fai attenzione, dovrai essere il più confuso possibile. Preoccupati degli animali nella stalla e di quanto avremo da fare domani, ma per carità non pensare assolutamente a me. Questa notte dovrò essere la cosa meno importante del mondo. Hai capito Fred? Sarai capace di nascondere i tuoi sentimenti?
– Spero di si
– Perdonami, ma non possiamo rischiare
– Leggeranno la mia mente?
– Puoi giurarci, ma non te ne accorgerai. Usano tecniche che non conosci… e ora debbo chiederti una cosa molto importante… debbo cancellare il mio ricordo dalla tua mente
– Non provarci neppure - disse lui scuotendo il capo
– Oh Fred, neppure io desidero abbandonarti, ma potresti non farcela
– No! – Reagì lui a voce bassa
– Neppure immagini di quale potenza dispongono
– Non ha importanza… tu non esci dalla mia mente
– Ne va della tua vita
– E tu credi che potrei vivere senza i ricordi di mia figlia?
– Oddio… finalmente l’hai detto… – Sussurrò lei scoppiando in un pianto silenzioso e carezzandogli il volto – e ora che ho ritrovato mio padre non voglio perderlo
– Sta tranquilla, non mi perderai.
– Ancora una raccomandazione, niente paura o sei morto e questo non potrei proprio sopportarlo.

Trascorse ancora del tempo e quando in lontananza un gallo cantò, annunziando che stava per giungere la fredda ora che precede l’alba, le tre figure scomparvero.

Come ogni mattina, quando ancora il sole non aveva illuminato la loro terra Fred e Sara uscirono di casa per recarsi nella stalla. Il cielo era sgombro di nuvole e un fastidioso vento, che aveva preso a soffiare da Nord, rendeva l’aria pungente.

Via, via che le ore passarono il cielo mutò il suo aspetto coprendosi di nubi scure, il sole iniziò a languire e il vento, cambiata direzione, sembrò rinforzare spazzando con impeto la campagna.
Allarmato per quella insolita violenza Fred lasciò la stalla per recarsi a rinforzare le strutture delle serre e quando più tardi Sara lo raggiunse lottò al suo fianco contro il vento per il resto della giornata.

Quando la luce del giorno iniziò a scemare il vento cadde di colpo e un’aria fin troppo calma lasciò presagire probabili rovesci di pioggia.
Sistemate le ultime cose ripresero la strada di casa attraversando il meleto in cui si era già addentrato il crepuscolo.
– Credi che pioverà? – Chiese Sara
– È probabile, c’è troppa calma. Non vedo l’ora di rientrare
– Sei stanco?
– Ho fame, cosa si mangia stasera?
– C’è poco da scegliere
– Non dirmi che siamo di nuovo all’asciutto?
– No, ma è tardi per preparare qualcosa di caldo
– Ne avrei proprio bisogno
– Vuoi preparare le tue bistecche?
– Perché no
– Non abbiamo brace
– Santo cielo, ma tu ce l’hai proprio con me
– Va bene, stasera si mangia carne – Borbottò facendo una piroetta su se stessa

L’oscurità li colse a ridosso del piccolo vigneto, ma ormai erano al sicuro. Sara accese il fuoco nel camino dabbasso e prima di salire a sistemare quello nelle loro camere preparò la carne sulla griglia lasciando a Fred il compito di controllarne la cottura.

Discese quando il profumo della carne arrostita dilagò verso l’alto e come al solito iniziarono a discutere del più e del meno, ma principalmente del vento e dei danni che aveva causato.
Dopo cena Fred sedette davanti il fuoco con la sua pipa stretta tra i denti e lei, com’era solito fare, si sdraiò sul pavimento con il suo gatto sul seno.
– Ho l’impressione che stasera non avremo visite
– Ti sbagli Fred, – Lo interruppe lei – sono nuovamente in giardino
– È probabile che siano tornati perché non sono certi della loro prima analisi.
– Quale sarà la mia condotta questa sera?
– Continua pure a fumare, al resto provvederò io
– Posso tornare ad averti nei miei pensieri?
– Non ancora, scusami

Trascorse una buona mezz’ora in un silenzio rotto soltanto dai rintocchi della pendola che continuava a segnare ogni quarto.
– Fred! – Lo contattò mentalmente lei – Ora dovrai andare nella stalla come tutte le sere. È necessario che tu lo faccia. Insisti perché venga anch’io, ma non passare dall’interno, fai la stessa strada di ogni sera, prima chiudi il fienile e poi vai nella stalla, hai capito? Bene, un’altra cosa, quando usciremo cerca di essere il più naturale possibile, sono sulla veranda. Tu non potrai scorgerli, ma loro sono sulla veranda e sta pur certo che ci osserveranno attentamente. Se ti parrà di sentire un contatto non sorprendertene, dai la colpa alla stanchezza, ma niente paura. Ti ho detto cosa potrebbe accadere

Svuotando la pipa sulla brace Fred si rivolse a lei con voce stanca
– C’è d’andare nella stalla. Vieni con me?
– A fare cosa?
– Quello che avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto per via del vento. Dai, andiamo
– Accidenti Fred, sono stanca morta
– Ehi! – Fece lui sorpreso – Anch’io sono stanco, ma dobbiamo farlo
– Sono stanca – Piagnucolò Sara
– Alla tua età il sottoscritto lavorava come un mulo
– Bella forza tu sei un uomo e io un ragazzina
– Dai sfaticata!
– Fred sono a pezzi e forse ho anche un po’ di febbre
– Ecco fatto! Ci mancava soltanto che ti ammalassi. Okay vado io! Ma non pensare di scansarti il lavoro di domani con quella scusa. Febbre o non febbre domattina si va nei campi, intesi?
– Ma sto male sul serio, mi duole la pancia
– Da quant’è che non prendi una bella purga?
– Ma che cavolo dici? Io non ho bisogno di nessuna purga – Scattò lei
– Due buoni cucchiai d’olio e tutto tornerà a posto. Ora vai pure a letto, passerò dopo a lubrificarti il pancino
– Due buoni cucchiai? Ma neanche per sogno, io sto benissimo e vengo con te nella stalla
– E il tuo mal di pancia?
– Passato!
– Uhm, l’ho sempre detto che devi avere qualche rotella fuori posto.
Il cortile era completamente al buio e la luna, che prima s’affacciava tra le nubi, era scomparsa lasciando il cielo preda di una oscurità impressionante, giacché anche le stelle, a causa del vento che aveva ripreso a soffiare, sembravano essersi allontanate.
Nella stalla furono accolti dai lamenti degli animali impauriti dal fracasso causato dal vento e per tutto il tempo che vi rimasero Sara badò che nessun dei loro gesti risultasse differente da quelli che abitualmente compivano.
Com’era sua abitudine fu molto loquace, raccontando di una vecchia storia che ebbe con Queen Sheba, la mucca più anziana, il giorno che provò a saltarle sulla groppa.

Rientrati in casa, dopo aver augurato la buona notte a Fred e averlo invitato a mantenere accesa la lampada nella sua camera, Sara si distese sul letto senza svestirsi.
Attese con ansia che Fred si decidesse a salire, ma soltanto quando udì il suo respiro divenire pesante che sentì il suo spirito calmarsi, come se quel fatto puramente fisiologico fosse la porta capace di escluderlo dalle brutture che sarebbero potute accadere.

Si distese rilassandosi completamente, aprì la mente al contatto che il modulo stava operando con gli schemi dei tre esseri all’esterno.
Erano tutti identici, ignobili figure subumane, pronte a intercettare il minimo segnale di paura per dare inizio al processo di possesso psichico.
Elaborate le equazioni ricevute dal contatto il modulo segnalò l’assenza di ogni connessione dei tre con gli schemi del Potere Oscuro.
– Non sono in contatto – Segnalò
– Cosa vuol dire non sono in contatto? – Chiese
– Non risulta che vi siano emissioni di energia modulata

Non del tutto convinta Sara stava per emettere la sonda che avrebbe danneggiato gli schemi mentali dei subumani, quando il modulo, registrando la presenza di lui nella camera, neutralizzò ogni sua reazione impedendo alla parte midollare del surrene di secernere l’ormone e dopo aver sospeso parzialmente l’attività dell’encefalo, rallentò il ritmo cardiaco e quello della respirazione ponendola in uno stato di sonno profondo.

Quindi, prima di scomporre la sua immagine molecolare, operò la modifica delle radiazioni cicliche subatomiche dell’ossigeno nelle tre proiezioni dello spettro.

Superata la prima fase d’emergenza controllata dal modulo, Sara riprese il controllo della situazione correggendo, di volta in volta, le alterazioni che lui provocava nel potenziale elettrico della sua mente.

I primi dati che ottenne si rivelarono di difficile interpretazione, ma quelle difficoltà divennero ben presto preoccupazione quando la sua sonda, una volta penetrata nella sua mente alla ricerca di tracce emotive, non rispettò le procedure avvalendosi di schemi assolutamente alieni.

Da quel preciso istante per Sara iniziò una lotta silenziosa, paragonabile a quell’intreccio di mosse e di contro mosse che un giocatore di scacchi compie, mentre arroccato in difesa prepara la trappola.
Nel frattempo, l’energia che lui usava per forzare la mente di Sara, venne mutata dal modulo in milioni di risposte chimiche, le quali, trasformate in melatonina, lo costrinse a diversificarne continuamente le frequenze.

Quella lotta mortale, oltre che creare nella stanza turbolenze elettriche inimmaginabili, scompose gli atomi dell’ossigeno che illuminarono la stanza di una colorazione cangiante.

Lo scontro proseguì per un tempo lunghissimo nel massimo silenzio, poi, improvvisamente, lui comparò i segnali modulati della mente di Sara arrestando l’emissione energetica e ponendo la sua sonda in stato di assorbimento psichico.

Sfortunatamente per lui, altrettanto veloce scattò la trappola preparata da Sara, che ponendo in falling–out lo status operativo dei tre subumani sulla veranda, lo costrinse a riprendere l’emissione per correre ai ripari.
Soltanto una frazione millesimale di secondo più tardi lui si rese conto del tranello in cui era caduto, ma ormai la sua sonda aveva assorbito una carica di energia modulata pari ad oltre cinquanta milioni di Mvoltamper terrestri.

– Shah mat! – Sussurrò Sara con voce roca quando tutto ebbe termine in una silenziosa implosione

Distesa sul letto Sara attese che il modulo le proponesse una nuova emissione ciclica, poi, esausta, si abbandonò al pianto.
Più tardi, quando il pianto si placò e sedette sul letto, osservando come il chiarore della luna ora sembrasse più umano, avvertì tutta la stanchezza pesarle sugli occhi.

Trascorsero alcuni minuti in un silenzio irreale, poi, quando la mente la pose in una condizione vigile tra il sonno e la veglia, le apparve il volto di lui, reso lungo da profonde rughe simili a cicatrici scavate da insonnie ostinate.
Quel volto alabastrino, che il chiarore della luna denudava risaltandone l’odio e l’intelligente rancore, era un insieme di atroci memorie, d’un amore tradito e d’un eterno viaggio.

Pensieri veloci le solcarono la mente.

– “Chi sei tu? Dio?
– Oh no, non dirlo, non voglio saperlo, ho troppa paura”

Fu una notte di sonni brevi e di risvegli affannosi, di smaniose veglie colme di pensieri angosciosi e di verità assolute e quando al mattino aprì gli occhi, cosciente d’aver vinto un’altra battaglia, sentì d’aver perso qualcosa di molto importante.

All’esterno il vento sembrava essersi placato e il sole, che già vivido rifletteva i suoi raggi attraverso la finestra, dipingeva la camera di una luce bianca e oro pallido.
Udì Fred che di sotto fischiettava come un albero carico di uccelli. Si vestì controvoglia e benché la mattina fosse limpida e serena e il cielo tinto d’un azzurro immacolato, provava in se una profonda tristezza. Si affacciò alla finestra e in un rituale che da anni si ripeteva ogni mattina, volse lo sguardo verso la sommità della collina.
In un fulmineo flashback le tornò il ricordo di Eras e delle spietate parole che lui sussurrò con quella sua voce a volte lugubre e profonda e a volte fine e stridula

“Guardale Sara, ricorda le stelle,
così lucenti, garrule e belle.
Perché è nella notte ch’esse morranno
quando il sigillo le mie mani apriranno.
Allor sulla vita leverò la mia mano
rendendola vizza in un corpo inumano,
ove piombare il suo sonno in eterno,
negandole gioia e amore materno”

Mentre Sara scendeva le scale dovette forzare la mente per abbandonare il sogno.

Fred era nella sala, intento a sistemare la legna accanto al camino e sentendola scendere si voltò togliendosi la pipa dalle labbra
– Buongiorno! Non hai appetito stamani?
Lei annuì sorridendo – Ciao! – Mormorò aggrappandosi al suo collo per deporre un bacio sulla sua fronte – Prenderò un po’ di latte
– Sarà freddo ormai
– Non fa nulla. Ho tardato a prendere sonno
In cucina si versò il latte in un bicchiere e tornò in sala sedendo sul pavimento accanto la cesta del suo gatto
– Non hai più la tua tazza? – Domandò Fred
– Non mi sento di mangiare – Rispose lei con un sorriso sulle labbra
– Allora? Non hai nulla da dirmi?
– C’eri anche tu, no?
– No, purtroppo mi sono addormentato come un’imbecille
– Non hai alcuna responsabilità in questo, è stato il modulo che ti ha imposto il sonno. Cosa vuoi sapere?
– Avrei bisogno di un milione di risposte, ma forse è meglio se inizi dal modulo. Cosa accidenti è?
– Mi domandavo se me lo avessi mai chiesto
– Beh, ora l’ho fatto
– Allora dovrai credermi sulla parola, non è facile parlarne e tantomeno comprendere
– Tu provaci, da parte mia hai tutta l’attenzione
– Nei tuoi ricordi esiste questo termine?
– Si, ma è un termine al quale non abbiamo saputo dare un senso preciso, se non quello riportato dai dizionari
– In pratica è il termine che il mio popolo assegnò a una precisa unità anatomica che risiede in un’area dell’organo di pensiero
– Riguarda soltanto gli esseri umani?
– No, è un attributo che appartiene a qualsiasi forma d’intelligenza. In questo universo esistono razze che non hanno nulla dell’aspetto umano, ma non per questo sono meno intelligenti
– Vai avanti
– Nell’uomo è collocato nel fondo della scissura traversa del cervello. Precisamente nella regione diencefalica a ridosso del terzo ventricolo, ed è talmente minuscolo da essere sfuggito agli scienziati della Terra per moltissimi anni. In realtà è una piccola glandola che chiamate “Glandola pineale”, ma sebbene si comporti come tale non è una vera glandola
– Quello sarebbe il modulo?
– Sei sorpreso? Ma racchiude in se una quantità di leggi incredibili. Nella sua struttura molecolare la natura ha provveduto a registrare la totale conoscenza delle leggi universali
– Un archivio
– In un certo senso può essere considerato un banco di memorie a cui si può attingere quando se ne senta la necessità
– Come?
– Qui cominciano le difficoltà. Non è possibile avere un contatto cosciente con il modulo se non attraverso la sua energia
– E cosa accade?
– Lo hai visto con i tuoi occhi
– I tuoi poteri nascono da quell’organo?
– I miei poteri sono il risultato dell’elaborazione di quelle leggi
– E' un fattore ereditario?
– Assolutamente no, almeno per gli uomini di questo pianeta
– Mentre sul tuo pianeta lo è
– Si, in un certo senso, poiché ci creò soltanto guai. E quando l’impero crollò la nostra gente fu ridotta a brandelli nel tentativo di carpirne i segreti
– Tutti hanno le tue stesse capacità?
– No, possono disporre di una frazione infinitesimale della mia potenzialità
– Quindi tu e lui siete simili… ma come accidenti si chiama… gli avrete dato un nome!
– Ameth!

Al pronunciamento di quel nome la stanza sembrò farsi silenziosa.

– Cos’è per te il modulo? – Domandò Fred per rompere il silenzio che si era fatto
– È la mia mente, – Rispose lei parlando a voce bassissima – la mia voce, il mio corpo, è il mio sesto senso, il mio terzo occhio, i miei sentimenti
– E tu cosa credi di essere per lui?
– Vorrei non essere semplicemente il veicolo di cui si serve
– È davvero tanto grande quella potenza?
– Non puoi neppure immaginare quanto immensa sia la potenza che scaturisce da quelle leggi. A volte ne ho paura io stessa
– Come si manifesta, voglio dire, cosa si prova?
– Non esistono termini in grado di esprimere quelle sensazioni, ma se dovessi fare un paragone direi che somiglia al sentimento che provo per te
– Perché non ci provi?
– Sei un figlio d’un cane lo sai, vero? – Mormorò lei abbassando gli occhi
– Si lo so, ma tu continua
– Va bene, l'hai voluto tu… Quando dico di volerti bene o di essere felice, esprimo soltanto un’emozione e non ciò che accade ai meccanismi del mio corpo. La felicità o l’amore sono soltanto alchimia prodotta dalla nostra energia vitale. Immagina di dover descrivere qualcosa senza limiti, quali parole sceglieresti?
– Anche il cielo non ha limiti, eppure è facile descriverlo
– Ciò di cui parlo è qualcosa di cui non conosco i limiti Fred… parlo del mio sentimento per te.

Scosso come se fosse stato percorso da un flusso elettrico Fred annuì lentamente, poi tornando a guardarla chiese
– Sei d’accordo se cambiamo argomento? Ora desidererei sapere cos’è accaduto questa notte?
– Non lo immagini?
– Ho paura di si, ma vorrei conoscere i particolari
– Preferirei che continuassi a non sapere, ma non sarebbe giusto. Ora mi collegherò con le tue cellule cerebrali
Sorridendo Fred si dispose al contatto, ma via via che avanzava nella conoscenza il sorriso sembrò morirgli sulle labbra.
– Hai paura? – Domandò Sara
– Cos’è Ameth?
– Una volta non era soltanto un essere composto da un amalgama di elementi biologici e tecnologici, ma la nostra arma migliore
– Un essere cibernetico?
– No, lui fu concepito come concetto. Conosci nulla degli studi di Heisenberg?
– Qualcosa
– Lui ha introdotto l’umanità in un campo che vi porterà lontano, ma fino a allora il concetto rimarrà quello di riconoscere un limite alla conoscenza di un fenomeno
– Tu non sei un concetto, vero?
– No… se ti riferisci al fatto di essermi espressa affermando di essere simile ad Ameth
Fred annuì prima di chiederle – Allora cosa sei?
– Non vorrei scuoterti più di così, ma per un attimo prova a pensare a me come…
– …il bene e il male? – La interruppe lui
– Pressappoco… ma ora ciò che importa è aver scoperto che in lui c’è qualcosa che sta mutando
– In bene o in male?
– Ne l’uno ne l’altro, sta soltanto tentando di somigliarmi
– Allora è in bene
Lei sorrise e scuotendo il capo mormorò
– Sei incorreggibile! Questo suo mutamento riguarda soltanto il suo aspetto?
– No, non si tratta soltanto di esteriorità, lui sta mutando la sua struttura molecolare in qualcosa che non sono riuscita a comprendere
– Da cosa lo hai dedotto
– Non è stato difficile… Ognuno di noi, assegnato a compiti temporali, conosce alla perfezione il suo quadro sinottico, ed è giusto che sia così, altrimenti non sarebbe in grado di prevedere le sue mosse
– E ora invece non è più possibile?

Lei annuì sorridendogli
– Egli sarebbe dovuto rimanere nella logica dei suoi schemi e invece non è più l’essere con cui mi scontrai su Eras. Qualcosa di lui sta degradandosi, è più vecchio, più maturo. Ora usa schemi comportamentali che non erano nelle sue celle e se non mi sono sbagliata, ora conosce l’esistenza del modulo e sa come cercarlo
– Possiede il modulo?
– No, ma in teoria potrebbe averlo
– Quindi potrebbe servirsene?
– È assai improbabile, il modulo non è soltanto una parte dell’organo pensante, in esso vi è l’essenza della vita, la possibilità di creare… E creare non è un atto formale, è cedere la propria energia, è la scintilla che innesca il processo di modifica nella struttura dell’infinito… Ed egli non può cedere la sua energia perché non ne possiede una sua
– Allora che genere di vita conduce? Cosa lo sostiene? In lui deve pur esserci un qualche tipo di energia
– La sua vita è concettuale, non ha nulla che possa innescarla, può soltanto alimentarsi con ogni tipo di energia, inclusa quella prodotta da collassi stellari, ma deve farlo ininterrottamente se non vuol cessare di esistere
– Poco fa hai detto che ti è sembrato più vecchio, cosa volevi intendere in realtà?
– Quello che hai compreso, egli non si alimenta più
– Cosa te lo fa credere?
– Quando è entrato in me non si è limitato al controllo della mia natura, ha cercato qualcosa di eterogeneo
– Avrei fatto la stessa cosa anch’io
– Certo, ma in te esiste la scintilla della vita che lui non ha. La sua mente dovrebbe funzionare secondo la logica preregistrata nei suoi schemi e i dati in suo possesso non avrebbero dovuto consentirgli quell’insieme di stati illogici… No, lui ha voluto che sapessi
– Ma se non ha agito secondo i suoi schemi, cosa può averlo guidato?
– Non lo so Fred e se penso che si è fatto sorprendere con le sonde in fase di assorbimento... Non doveva essere così
– Perché?
– I suoi poteri sono praticamente illimitati, ma non poteva contare che su stimoli imposti. Non gli è stato concesso pensare
– A sentire te invece ora sarebbe in grado di farlo
– Deve essergli accaduto qualcosa di eccezionale se è stato capace di modificare questa condizione
– Potrebbe cessare di esistere?
– In teoria senza alimentazione dovrebbe essere così… ma ora lui possiede qualcosa che lo alimenta autonomamente… un’entità simile a una coscienza umana… Dio mio sono pazza! Non gli è stata data un anima. Sarebbe stato illogico concepire un simile mostro e dotarlo di sentimenti, non ti pare?

– Le tue sono soltanto congetture? – Commentò lui dopo un attimo di silenzio
– Cosa vuoi che ti dica… Ora non sono più sicura di nulla
– Ammettiamo che per qualche strana ragione sia riuscito a dotarsi di una coscienza così come la conosciamo noi, non credi che lo porrebbe in conflitto con i fondamenti della sua struttura mentale o di quello che accidenti ha nella zucca… e avviarlo irrimediabilmente verso la fine?
– Potrebbe aver superato quel conflitto avvalendosi di un aiuto esterno
– Credi che qualcuno possa averlo aiutato?
– Perché no? Io sono riuscita a superarlo grazie a te. Ricordi i miei primi tempi nella tua casa? Quando tu eri nei campi e io combattevo la mia battaglia per non impazzire? – Sussurrò lei guardando lontano – Beh, in realtà non sono mai stata sola, tu eri sempre nella mia mente e nel mio cuore, e io mi sono aggrappata a te per non perdermi

– Intendi dire che potrebbe aver trovato una ragione per la quale sacrificarsi?
– Ho paura di essere stata io quella ragione
– È possibile… Ma cosa può volere da te?
– Questo non lo so, ma deve essere qualcosa per cui neppure la morte è un sacrificio
– Quante volte ti sei scontrata con lui?
– Moltissime, ma questa è stata la seconda volta che ci siamo trovati faccia a faccia. Ci conosciamo talmente bene da sapere sempre quando l’altro si sta avvicinando
– Eppure questa volta ti ha sorpreso impreparata, come può essere accaduto?
– Perché è cambiato? Oh Fred, cosa vuol dire tutto ciò?
– Cosa posso dirti, forse si è innamorato di te!
– Lui non conosce quel sentimento. L’unica cosa che lo accomuna a un essere umano è soltanto un bel nome e niente altro
– Un nome ben strano
– Un nome che ha la sua radice nella nostra vecchia lingua, ma che ha un significato terribile
– Verità? – Chiese lui sottovoce
– Come puoi conoscere la traduzione di quel nome?
– Sulla Terra esiste un’antica lingua ormai caduta in disuso e Ameth è la traduzione della parola verità
– Che senso ha tutto ciò? Possono due mondi così lontani avere in comune la stessa lingua?
– Potrebbero avere avuto la stessa matrice in tempi diversi, ma per conoscere la verità si dovrebbe riuscire a viaggiare nel tempo. Tu sei in grado di farlo?
– Si, cioè no! Non è consigliabile e poi si dovrebbe tornare indietro miliardi di anni
– Sarebbe interessante. Se non altro ci si potrebbe avvicinare all’inizio
– E scoprire che non esiste?
– Deve pur esserci stato un inizio, no?
– Non come intendete voi
– Conosci la verità?
– Quello che gli uomini conoscono come universo, è soltanto un fascio energetico dotato di quattro dimensioni che occupa una minuscola parte dell’infinito
– Puoi definire infinito?
– Potrei chiamarlo vita o caos, ma non sarebbe il termine esatto. L’infinito è al tempo stesso fine e inizio. In lui si agitano un numero inimmaginabile di universi più o meno simili a quello che stiamo vivendo e di cui noi viviamo soltanto il tempo
– Intendi dire che tutto ciò che ci circonda è tempo?
– Il resto sono soltanto immagini. Ogni universo è un fascio energetico che si espande per miliardi di anni luce fino a raggiungere o a essere raggiunto dai confini di un altro universo, mi segui?
– Con qualche difficoltà. E cosa accade quando due universi s’incontrano?
– Non è molto simpatico, poiché nell’istante in cui avviene il contatto uno dei due deve necessariamente mutare condizione. La fase successiva sarà un unico fascio energetico che riprenderà a espandersi seguendo la curva del tempo
– E la vita si estinguerà?
– No, ma prevarrà la più forte
– E tutto ciò proseguirà senza mutare mai?
– Mai! L’unica condizione che non potrà mai variare, ma che annota ogni azione, è quella equazione astratta che voi chiamate tempo. È lui il vero dominatore
– Che aspetto ha?
– Vorrei saperlo, ma per quanto ne so non ha un vero aspetto
– È la verità? – Chiese lui interrompendola
Sara si strinse nelle spalle sussurrando – Ab ovo!
– Citazione latine? Non ricordo di averti insegnato questa lingua
– Nel mio bagaglio vi è la conoscenza di popoli e lingue ormai scomparse
– Vogliamo tornare al nostro amico Ameth?
– Perché lo hai definito amico?
– Avrei fatto meglio a dire nemico?
– No, non hai sbagliato a definirlo tale, poiché fu davvero un buon amico per il mio popolo. Per noi compì cose di cui mi vergogno perfino a parlarne e come premio per la sua fedeltà gli fu imposto quel nome.
– Quale ragione vi spinse a concepirlo?
– Non lo so, non so dirti perché sentimmo la necessità di concepire quell’essere blasfemo e concedergli la conoscenza della morte.
– Su quali basi improntaste il vostro rapporto?
– Non è mai esistito alcun rapporto, ma ci terrorizzò a tal punto che decidemmo di renderlo mortale per avere su di lui un controllo più efficace, ma come sai preferì fuggire portando con se il segreto della sua immortalità e della sua bestialità
– Quindi non avevate alcun controllo su di lui?
– Nei suoi schemi fu immesso un codice di comportamento che gli avrebbe impedito qualsiasi autonomia, ma qualcuno o forse qualcosa lo aiutò
– Come fu possibile?
– Non ci crederai ma quell’essere era divenuto un mito. Molti di noi ne avevano fatto un esempio da seguire. Anche in seno al Consiglio doveva avere dei seguaci fedeli
– Era così potente?
– Lo era talmente che le nostre migliori menti non stavano più al suo passo. Per nostra fortuna non riuscì ad annullare le chiavi di distruzione
– Cosa sono?
– Dovrei averne anch’io in qualche parte di me. Tecnicamente sono soltanto dei segnali inconsci preregistrati che scattano all’avverarsi delle condizioni previste dallo status legato a esse
– Perché non le ha rimosse se era tanto potente?
– Quelle chiavi sono l’essenza stessa della sua esistenza, senza di loro non avrebbe alcun sostentamento
– Non foste davvero gentili con lui. Cosa prevedevano quelle chiavi?
– Si raccontano molte storie a proposito di quelle chiavi, ma la più spiritosa è certamente quella legata a una donna
– Una donna?
– Si racconta che il giorno in cui egli si innamorerà di quella donna muterà condizione divenendo mortale
– Stai scherzando?
– È una storia Fred, nessuno di noi sa nulla d'innamoramenti
– E tu cosa ne sai? – Domandò lui soffiando in alto una nube di fumo azzurro.

A quella domanda, fatta con noncuranza proprio mentre lei stava portando alle labbra il bicchiere del latte, Sara ebbe un sussulto improvviso che le fece andare di traverso il latte e rovesciare il bicchiere sui pantaloni.
– Porca vacca! – Esclamò con voce imbarazzata saltando in piedi e avviandosi di sopra tossendo
– Togli i jeans ma non tentare di pulirli con l’acqua. – Disse lui ad alta voce – Vanno lavati con sapone, altrimenti resterà la macchia.

Quando ridiscese e Fred si voltò a guardarla, per poco non gli cadde la pipa dalle labbra notando che aveva indossato l’unico capo del suo guardaroba che non fossero jeans.
– Mio dio! – Mormorò
– Gli altri jeans sono ancora nel granaio ad asciugare. – Borbottò lei impacciata – Perché mi guardi a quel modo? È la gonna che ho trovato nell'armadio che fu di mia madre
– Somigli a tua madre… Ma cosa dico? Tu sei infinitamente più bella!

Senza ribattere Sara sedette sulla poltrona tentando inutilmente di dare un verso alla gonna, finendo poi, dopo alcuni nervosi tentativi, per esplodere in una delle sua colorite espressioni.
– Al diavolo! Più la guardo e meno mi piace. Ma come cavolo faceva a indossare quest’affare
– Invece stai benissimo. Sai che è la prima volta che ti vedo vestita come una vera donna? Forse le gambe sono un po’ magroline, ma nel complesso la gonna migliora il tuo aspetto
– Magre un corno! – Esclamò lei – Con quest’accidente di gonna ho freddo. Mi sembra d’essere nuda
– Beh, tanto oggi non dobbiamo uscire
– Per carità! Pensa se mi vedesse il mio gatto, sai quante risate si farebbe
– Lascia in pace la gonna e rispondi alla domanda che ti ho fatto prima
– Ma dai che cavolo dici, smettila! – Borbottò lei piegandosi ad attizzare il fuoco per mascherare il rossore del suo volto

Con una mossa che accentuò ancor più il suo imbarazzo, Fred si alzò e si accostò a lei per scaricare sulla brace la cenere della pipa.
– Ehi pulcino! Cos’è che non va?
– Nulla! Smettila di dire fesserie, mi dai sui nervi – Scattò lei senza alzare il capo e continuando a trafficare con le molle
– Cosa stavamo dicendo? – Mormorò lui tornando a sedere in poltrona
– Si parlava di Ameth
– E del suo tradimento
– Fummo noi a tradirlo. – Disse lei tornando a sedersi sulla poltrona per riprendere la sua guerra personale con la gonna – Non avremmo dovuto permettere che si creasse una specie di indipendenza tendente a voler diventare come noi
– Ho l’impressione di averla già sentita questa storia
– Certo che l’hai sentita. Non vedi anche tu il ripetersi della storia dei vostri Adamo e Eva? Anche il tuo Dio scelse di renderli mortali quando tentarono di somigliargli

Soffio, che nel frattempo era entrato in casa, dopo aver fatto un largo giro in cucina si diresse verso la sua cuccia, ma quando gli fu davanti restò a guardarla scuotendo la testa.
– Beh! Cos’hai da guardare? – Esclamò lei – Non hai mai visto una donna?
A quella battuta il gatto si accucciò, ma senza staccarle lo sguardo di dosso e lei, dopo aver tentato inutilmente di sistemare la gonna, si alzò andando a sedersi sul pavimento accanto alla cesta.
– Ehi! Non mi riconosci? – Mormorò a voce bassissima – Sono io, Sara!

Ovviamente il gatto non rispose, ma dopo averla osservata ancora per qualche attimo, sistemò meglio il suo corpo e nascose la testa sotto una zampa.

– Ecco, hai visto se avevo ragione? – Esclamò lei rivolgendosi a Fred – Guardalo, sta ridendo di me
– Ma dai! Ora non mi dirai che i gatti conoscono l’umorismo?
– Lo conoscono, lo conoscono. Sai come ti chiama?
– Me? Lui ha dato un nome a me?
– A tutti noi ha dato un nome. Tu sei... forse è meglio che non te lo dica
– Ora cosa credi che farà?
– Non vorrà più guardarmi, ecco cosa farà!
– Non intendevo il tuo gatto, mi riferivo ad Ameth
– Cosa farà lui non è importante, quello che conta è cosa farò io
– Cosa?
– Dovrò cercarlo
– Non ne vedo la ragione
– Lui è sulla Terra per me. – Disse tornando a sedersi sulla poltrona – Sa bene che in questo universo non c’è posto per entrambi e a costo di distruggere questo pianeta tenterà di farmi uscire allo scoperto
– Come può aver saputo della tua presenza?
– Quando lo scacciai da Eras egli precipitò sulla Terra causando un bel disastro
– Quando successe?
– Era da poco iniziato questo secolo… ma non stare li a far calcoli, la Terra dista milioni di anni luce dalla nostra galassia e tenendo conto della curvatura del tempo il fatto avvenne in epoche remotissime
– Non facevo calcoli, cercavo di ricordare cosa può essere accaduto di molto grave all’inizio del secolo
– Te lo dirò io, era il 1908
– Tunguska?
– Si… ma per fortuna quella parte del pianeta era disabitata
– Cosa fu? Una esplosione nucleare?
– Qualcosa di molto simile. Quando Ameth penetrò nella vostra atmosfera l’accumulo di energia che aveva assorbito si era quasi esaurita, altrimenti la Terra sarebbe stata annientata all’istante
– Dunque avevamo ragione, fu energia atomica
– Ne parli come se si trattasse di una cosa malvagia. Ricordati che si tratta della mia energia!
– Intendi dire che la tua energia è atomica?
– Non esattamente come la conoscete voi, ma è pur sempre energia modulata ad altissima frequenza
– Che accidenti è?
– Un po’ di rispetto Fred! Non credo ti farebbe piacere se parlassi così della tua energia vitale
– Puoi essere più precisa?
– Dovrà trascorrere ancora del tempo prima che riusciate a riprodurla in laboratorio
– Cosa la rende diversa dall’energia nucleare che conosciamo?
– Tutto e nulla! Tra loro vi è molta similitudine. Sono atomi in cui le particelle caricate positivamente girano attorno a nuclei di segno opposto
– Antimateria!
– Non ti allarmare Fred! Ti assicuro che non hai nulla da temere
– Non volevo dare quest’impressione, non ho paura, mi ha soltanto sorpreso
– Perché?
– Ho sempre intuito che in te vivesse qualcosa di diverso, ma non che il tuo essere...
– Fosse composto di quella energia? – Terminò lei
– Spero che tu sia in grado di controllarla… Perché tu la controlli, non è così?
Sara rise
– Sta tranquillo. Non è difficile controllarla, è un po’ come regolare la temperatura del forno quando preparo il pane. Insomma, è pressappoco la stessa cosa
– Se lo dici tu
– Sai che da quando sono sulla Terra ho scoperto di riuscire perfino a tramutarla senza problemi?
– Ho paura di averti sottovalutato. Ti giuro che ero del tutto all’oscuro di questa tua caratteristica
– Non raccontare balle
– Perché dici queste cose?
– Perché appartengono a te e non ho alcun diritto di entrare nella tua intimità
– Cosa avrei fatto senza di te. – Mormorò lei stringendosi nelle spalle
– In cosa puoi tramutarla? – Chiese lui fingendo di non averla udita
– In molte cose, tra cui in energia positiva
– Cosa vuol dire esattamente energia positiva?
– Che può migliorare le condizioni subatomiche di questa parte di Universo
– Vuoi forse dire che può influenzare il tempo?
– Anche, ma a volte muta perfino le strutture atomiche
– Ora sei tu a raccontare balle. Com’è possibile?
– Questo non devi chiederlo a me, è il modulo che sa come fare
– Immagino che se raccontassi in giro d’aver vissuto al fianco di un buco nero probabilmente mi prenderebbero per pazzo. Credi che la Terra possa correre qualche rischio?
– Non scherzare Fred! Sai bene che finché ci sarai tu non potrà accaderle nulla. Comunque è soltanto una questione di tempo, tra trenta o forse quaranta miliardi di anni questo universo entrerà in contatto con un’altra dimensione composta di questa energia e allora...
– Continua. Cosa vuol dire quel... e allora?
– Allora sarà l’inizio o la fine, anche se in fondo è la stessa cosa
– Ci saranno degli indizi?
– Ce ne sono già. In alcune parti di questo universo si sono aperte delle fonti. Ve n’è una anche in questa galassia
– Cos’è una fonte?
– È un termine improprio, poiché attraverso quel contatto vi è soltanto assorbimento, ma quando sarete in grado di osservarla vi apparirà come una fonte
– Se non altro ci toglierà dai piedi Ameth
– Non ci conterei troppo, egli è in grado di manipolare ogni tipo di energia e sebbene non gli sia possibile tramutarla, può sopravvivere a qualsiasi contatto energetico
– Davvero consolante! Ciò vuol dire che continuerà a fare del male?
– Vedremo
– Ha un senso quel vedremo?

Sara rise scuotendo il capo
– Quando cadde sulla Terra dovette credere che lo avessi seguito, poiché da quel momento ha tentato di tutto pur di farmi uscire allo scoperto. Sai quante guerre ha causato in questi quarant’anni sperando che intervenissi?
– Perché avrebbe dovuto credere che tu lo avessi seguito?
– È nella logica che lo domina
– Perché non l’hai eliminato?
– Potrei darti centinaia di risposte, ma non sarei sincera. La verità è che pur essendo nemici non ci odiamo. Almeno per quanto mi riguarda
– Valutando quanto ti ha fatto non dovrebbe pensarla alla stessa maniera, non credi?
Sara scosse il capo
– Sbagli, egli non voleva uccidermi
– Ma l’ha fatto
– Si, l’ha fatto, ma sono certa che ne aveva programmato la conclusione
– Se non voleva ucciderti, cosa cercava il modulo?
– No, lui vuole qualcosa della Sara di oggi
– Allora è probabile che possa ritentare
– Per un po’ se ne resterà lontano a leccarsi le ferite, ma un giorno tornerà. Con lui ho soltanto vinto un’altra battaglia, ma lo scontro finale non è lontano. Sa bene che deve assolutamente battermi se...– Sara s’interruppe di parlare come se stesse seguendo un pensiero

– Se? – Chiese Fred
– Nulla, deve soltanto battermi
– Stavi pensando a qualcosa in particolare?
– Lascia perdere, non correre con la fantasia
– Potrebbe batterti?
– Dovrò scoprirlo
– Posso aiutarti
Sara scosse il capo
– Nessuno è in grado di farlo, debbo affrontarlo da sola
– E tu credi che te lo lascerò fare?
– Oh Fred! Tu non vuoi proprio capire
– Cosa c’è da capire?
– Quello che avverrà tra me e Ameth non sarà uno scontro comprensibile nella logica. Non può essere paragonato neppure a una collisione tra due mondi. Sarà la sfida tra due entità simili al tuo Dio
– Ad ogni modo non te lo permetterò
– Fred! Mio dio, ma chi credi di essere? Veramente sei convinto di poter fare delle scelte in nome dell’umanità?
– E tu puoi?
– Io debbo!
– Tu non devi nulla a nessuno di noi. Questo non è il tuo mondo
– Non ferirmi ti prego, so bene che non lo è, ma sapessi quanto lo amo, ed è per questo non permetterò che finisca in una nuvola di atomi impazziti. Debbo farlo Fred! Debbo farlo per la tua gente o per la mia, per il tuo Dio, per mia madre, per la sua musica, per tutte le cose belle che ho nel cuore, per tutti coloro che ancora debbono nascere, ma soprattutto debbo farlo per te. Puoi chiedermi la vita, e io sarei pronta a donartela senza rimpianti, ma non potrò mai tradirti. A cosa sarebbero serviti i tuoi insegnamenti. Ti prego, lascia che realizzi il mio sogno, lascia che possa dimostrare a me stessa di meritare il tuo sentimento!

– Tu non devi nulla alla Terra, il tuo compito è un altro
– Il mio compito è combattere il male, e ora egli è qui
– Allora dovremo trovare un’altra soluzione
– Non ne esistono. Ho soltanto bisogno di trovare il coraggio di tornare a essere la Sara che ero prima di scendere sulla Terra. Non posso sperare di batterlo con quello che ora ho nel cuore
– Cos’hai nel cuore?

Sara sollevò il capo con il sorriso sulle labbra
– Tante cose meravigliose; ho questa casa, la nostra terra, i miei amici animali, i tramonti, i sentimenti, le mie lacrime… e poi ho te Fred… Se vorrò batterlo dovrò tornare ad essere quella che tu hai appena sfiorato. Sarà terribile, ma spero che tu non debba vedermi, perché vedresti qualcosa che non ti piacerebbe

Lui cercò nei suoi occhi una verità
– Dio ti aiuterà – Sussurrò
– Dio? Oh si, lui saprà capire, ma tu?
– Sarai sempre il mio pulcino
– Ho paura di perdere il tuo rispetto e credo che questo non potrei sopportarlo, sei così importante
– Non ricordo d’aver mai fatto nulla di eccezionale
– Che magnifico bugiardo sei. Secondo te è nulla avermi consentito di vivere la tua vita? Respirare la tua aria? È nulla avermi alimentato del tuo amore e donato un’anima? Debbo a te ogni mia gioia e dovrò essere grata al tuo Dio per avermi concesso di vivere al tuo fianco
– Ora stai proprio esagerando, sono soltanto un poveruomo che ti ha dedicato un poco del suo tempo
– Perché l’hai fatto? Tu hai sempre saputo chi sono e cosa avrei dovuto fare, vero?

Fred le sorrise senza rispondere.
– Però sapere che avrei potuto distruggere i sogni di un intero popolo non ti ha impedito di volermi bene
– Sapevo che saresti potuta cambiare e poi lo sai, avevo bisogno di un aiutante… ormai sono vecchio
– Non l’hai fatto per amore?
– Oh beh, io amo tutti
– Anche per tua figlia riserveresti lo stesso amore?
– No, per lei ho in serbo un amore diverso
– Più grande?
– Semplicemente diverso e tu sbagli a quantificare l’amore. Sarebbe riduttivo
– È vero, mi è difficile pensare che ciò che provo per te possa essere più o meno grande di quello che nutro per il mio gatto o la nostra terra. Sai cosa penso?
– Dovrei saperlo?
– Non mi meraviglierei se scoprissi che nutri sentimenti d’amore anche per Ameth
– Lo sai, sono un gran testone
– No che non lo sei e da quando ti conosco non faccio che domandarmi perché Dio non ti abbia concesso il contatto
– Probabilmente perché il mio amore non è grande come il tuo
– Ora sei ingiusto. Vuoi sapere cosa ha saputo fare questo tuo amore? Ha fatto di me una donna che crede di credere in Dio senza alcuna esitazione. Tu mi hai insegnato a riconoscerlo dentro di me e in ogni cosa che mi circonda, in ogni mio pensiero, nel sale delle mie lacrime, nella mia gioia di vivere…
– In questo non c’entro proprio nulla
– Tu dici nulla? Ma se è per te che ho abbandonato quella mia cultura priva di ogni sentimento
– Era inevitabile. Quella cultura è soltanto dotta ignoranza
– Non lo credo, altrimenti non ci avrebbe permesso tanto
– Dio permette soltanto la partecipazione alla sua opera, ma guai a coloro che barano
– E noi barammo pretendendo di somigliargli. In suo nome conquistammo gli spazi e spogliammo gli astri della loro bellezza. La nostra presunzione ci spinse a utilizzare la verità a nostro piacimento, senza comprendere che invece avremmo dovuto creare un universo spirituale dove depositare l’immensa conoscenza
– Quale fu la ragione della vostra condotta
– Non lo so. Nessuno è più in grado di ricordarsene
– Mi sta frullando nella mente un’idea assurda
– Tu non hai mai idee assurde
– Immagina per un momento d’essere il dogma che guida l’infinito e supponi che tu abbia concesso alla stirpe che ti è più cara il potere di conferire la vita e la morte. Cosa faresti se quei doni venissero male utilizzati?
– Glieli toglierei
– E ciò risolverebbe il problema?
– No se prima non si riparano i torti
– E a coloro che ne avessero abusato li puniresti?
– Oh Dio non lo so!
– Li cancelleresti dall’universo?
– No, sarebbe una punizione troppo pesante, ne soffrirei
– Dunque si deve saper distinguere l’amore dalla giustizia?

– Quand’ero piccino e costringevo mia madre a punirmi per qualche birbonata, soffrivo più nel vederla piangere che per la punizione
– Tua madre era nel giusto, sapeva leggere nel tuo cuore. Io sono certa che nel cuore del mio popolo vi sia ancora amore, deve essere soltanto risvegliato come tu hai fatto con me… Forse avremmo bisogno di un’altra possibilità
– E se quella possibilità fossi tu?
– Non scherzare ti prego, mi fai venire i brividi
– Cosa accadde quando Ameth si liberò dal controllo? – Domandò Fred intuendo che in lei si stava creando una pericolosa tensione
– Ci perseguitò esattamente come lo avevamo addestrato a fare
– Quali armi avevate da opporgli?
– Nessuna, tranne la possibilità di trasformandoci in esseri di puro plasma energetico, ma questo peggiorò le cose
– Vi raggiunse anche in quella condizione?
– No, non avrebbe potuto, ma scegliendo di vivere in quella condizione perdemmo la capacità di riprodurci secondo natura e pur di salvarci rinunciammo a quanto di bello esisteva in noi
– Cos’era la vostra immortalità?
– I cloni. – Sussurrò lei evitando di guardarlo. – Loro ci consentirono la sopravvivenza, ma dovemmo rinunciare a ogni informazione genetica e molte altre cose importanti
– Quali?
– La prima a soffrirne fu la famiglia, non nacquero più bambini e noi iniziammo a vivere di utopie
– Avreste potuto ricominciare daccapo
– Fu tentato, molto tempo più tardi, ma ormai non eravamo più in grado di mantenere a lungo l'aspetto fisico. Analizzammo per millenni ogni nostra azione passata con la speranza di scoprire dove avevamo commesso l'errore. Furono tentati milioni di esperimenti alla ricerca di un antidoto, ma non riuscimmo a recuperare il nostro paradiso. Tra l’altro furono fecondate artificialmente alcune donne, ma non funzionò
– Perché artificialmente?
– Perché nel frattempo erano state promulgate leggi che vietavano ogni rapporto fisico
– Ora capisco di dove nascono i tuoi problemi con il sesso
– Li ho superati, ora non ne ho più
– Ne sei certa?
– Beh, a volte, quando ne parlo, mi sento un po’ a disagio
– Cosa accadde a quelle donne?
– Trascorsi i primi 150 giorni l'embrione iniziava a regredire spontaneamente. Era come se l'essere che stava formandosi nei loro corpi si rifiutasse di vivere
– Assurdo
– Molte di quelle donne trovarono il coraggio di proseguire nel tentativo, ma l'unico risultato fu di vederle morire l'una dopo l'altra. E così, verificato quante morti erano costate, quelle pratiche furono proibite e per evitare possibili trasgressioni furono emanate leggi severissime che prevedevano pene esageratamente dure
– E tutto finì li?
– Esatto, da quel momento il mio popolo tornò a vivere una triste immortalità che comunque prima o poi ci avrebbe condotto all'estinzione
– Non avreste dovuto rinunciare
– Per la verità furono in molti a non arrendersi… Anche mia madre provò il desiderio di avere un figlio e quando trovò il coraggio per farlo chiese a mio padre di aiutarla
– Ora non farne un romanzo… non andò esattamente così
– E tu cosa ne sai?
– Nulla, non ne so proprio nulla – Farfugliò lui cercando di non mostrare l’imbarazzo del volto
– Sei uno spudorato imbroglione – Disse lei

– Vado a scaldarti un po' di latte – Sussurrò lui quando sentì la voce di Cristi spezzarsi per la commozione
– Non andartene! – Lo fermò lei – Ora tu puoi vedermi piangere
– Non è così importante, possiamo parlarne un'altra volta

Sara s'interruppe e soffocando un gemito si asciugò gli occhi con le mani. – Scusami – Sussurrò singhiozzando

Fred le passò il suo fazzoletto a fiori e lei si soffiò rumorosamente il naso.

– Mi vergogno profondamente – Mormorò Fred
– Non devi. Credevo di doverti delle spiegazioni
– Come hanno potuto pensare di poter disporre liberamente della vita di altri esseri
– Lo abbiamo sempre fatto
– È triste
– Si, ma prima di giudicarli prova a domandarti cosa resta ad un uomo che non può procreare
– Sarebbe stato meglio finire nel nulla. Esiste un codice che dovrebbe essere rspettato
– Di quale codice parli? Dell'onore? Beh, è da troppo tempo che quel codice non fa più parte del bagaglio del mio popolo
– Stai tentando di dirmi che furono tentati altri esperimenti del genere?
– Sull'altare della nostra stupidità furono sacrificati non so più quante umanità
– Dio mio, ma nessuno ha quel diritto – Mormorò lui
– A noi era stato concesso, ma commettemmo l’errore di abusarne cancellando le nostre coscienze
– No, voi non le cancellaste, le utilizzaste per mascherare le vostre debolezze
– E tu sai dirmi a cosa serve una coscienza quando si ha il nulla come traguardo?
– Gli uomini di questo pianeta vivono tutta la loro esistenza sapendo di invecchiare e morire, eppure convivono serenamente con le loro coscienze
– Per ridare vita alla nostra razza avremo bisogno di migliaia di uomini come tuo padre e donne come tua madre

Lui la sollevò sulle sue ginocchia e lei, facendosi piccola piccola parve scomparire tra le sue braccia.
– Ho paura Fred – Mormorò
– Non sarà facile, ma ti è stata concessa una forza che non teme confronti
– Dovrò prima battermi con Ameth
– Si, ma non dovrai tornare ad essere quella di prima. La forza che ora vive in te è capace di purificare e popolare le solitudini e se saprai utilizzarla l'universo udrà echeggiare grida di vittoria che faranno tremare i mondi

Sara scese dalle sue ginocchia rimanendo in piedi con il capo inclinato e lo sguardo lucente nella posa in cui molti pittori hanno dipinto gli angeli
– Farò ciò che deve essere, – Bisbigliò sollevando su di lui lo sguardo in cui l'immensità che la permeava era evidentissima – purché tu mi sia accanto
– Non sarò io il tuo compagno – Sussurrò lui
– Mi lascerai sola?
– No, sarò sempre nel tuo cuore
– Fred! – Sussurrò lei – Perché ora che ci sentiamo più vicini la timidezza si è dissolta? Perché ho il coraggio di entrare nei tuoi occhi mentre prima osavo guardarli di sfuggita?
– Forse perché sei tornata in possesso della tua unicità
– Unica io? Bugiardo che sei! Tu sei unico. Se non fosse stato per te Ameth avrebbe avuto la sua vittoria. Sono tue le armi che userò per batterlo
– Stai dicendo un carro di sciocchezze, sai bene che non posseggo armi
– Oh Fred, ho cessato da un pezzo di contraddirti, ma lascia che questa volta possa farlo. Sai bene che senza di te sarebbe stato tutto diverso
– Vuoi farmi arrossire?
– Lo meriteresti per le volte che hai fatto arrossire me
– Non è vero! Non ho mai fatto una cosa simile
– Soltanto un'ora fa, pur di non mostrarti il rossore del mio volto mi sono arrostita davanti alle fiamme, ma di cosa sei fatto?
– Non lo so, ma credo d'essere di carne, ossa e in possesso di uno stomaco che reclama. Cosa prepariamo per il pranzo?
– Dio, ma lo senti? Potrò mai vivere senza di lui?... Nella ghiacciaia abbiamo ancora una bistecca
– Se è come l’ultima ci mangiamo in due
– Lo abbiamo sempre fatto
– Allora cosa aspettiamo? Guarda che magnifica brace
– Okay, vado! – Disse lei avviandosi seguita dal suo gatto
– Un momento, toglimi una curiosità. Quel tuo modulo, cosa ha fatto credere a quei signori?

Lei si strinse nelle spalle senza rispondere.
– Avranno pur dovuto domandarsi cosa eravamo l'uno per l'altra, non ti pare – Insisté lui
– Ha fatto credere loro che fossimo padre e figlia. Non ti dispiace vero?
– Neanche un po'

Lui stava ancora grattandosi la barba compiaciuto quando lei lo chiamò dalla cucina
– Fred! Posso chiederti una cosa?
– Ahi ahi! Quando gridi a questo modo sento sempre un prurito sulla schiena
– Dai sii serio, posso?
– Cosa vuoi sapere?
– Quello che hai detto prima è la verità?
– A proposito di cosa?
– Che con la gonna sembro più bella
– Ma no figuriamoci, stavo scherzando
– Dovevo immaginarlo – Replicò lei dopo un attimo di silenzio

Intuendo di averla delusa Fred tentò di rimediare
– Cosa ti succede? Non riesci più a capire quando scherzo?
– Cosa vuoi farci, forse sto invecchiando – Ribatté lei
– Beh, vuoi sapere come stanno veramente le cose? È vero, con la gonna sei una gran bella figliola
– Fred! Ma sono cosa da dire?
– Non lo so, è un'espressione che ho sentito in città
– Allora è vero, ti piaccio di più con la gonna
– Non è che me ne intenda molto, ma con la gonna sembri... beh insomma...
– Insomma cosa? – Lo incalzò lei intuendo che avrebbe lasciato cadere l'argomento
– Intendevo dire che con la gonna sei niente male.
– Ora non essere scostumato
– Intendevo dire che il tuo aspetto è più gradevole.
– Sarebbe a dire che con i jeans non lo sono?
– Non ho detto questo, è che con la gonna cominci a somigliare a una donna
– Fred, ma io sono una donna
– No tesoro, non lo sei ancora
– Fammi capire bene; se indosso la gonna somiglio a una donna e se invece indosso i jeans somiglio a un uomo?
– Ho soltanto detto che con la gonna sei più bella… Ehi, non è che ora ti monterai la testa, vero?
– Con la gonna sono più bella, eh? Porca vacca dovrò indossarla più spesso
– E come la mettiamo con il tuo gatto?
– Con lui me la vedrò in privato, ora però non provare a imbrogliarmi perché me ne accorgerei; davvero ho le gambe magre?
Lui non rispose limitandosi a scuotere il capo.
– Fred! – Chiamò nuovamente lei affacciandosi all'uscio della cucina
– Si?
– Te l'ho mai detto che ti voglio bene?


FINE
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view post Posted: 2/6/2021, 10:09     +2Notizie sul mio pianeta nativo e inizio della mia vita sulla Terra - Narrativa



Notizie sul mio pianeta nativo e inizio della mia vita sulla Terra


Per chiarire e porre nella giusta luce la mia presenza sulla Terra, (Il mio nome è Cristi… me lo scrisse mia madre sul ventre prima di morire e sono una femmina.)
E' indispensabile che vi riporti alcune notizie riguardanti la storia di G (chiamerò cosi il mio pianeta).
GAUSS è il secondo pianeta di un sistema stellare multiplo della costellazione del 7° Anello.
Alcune di queste notizie le ho ricavate da documenti custoditi negli archivi di una città che chiamerò “La città segreta”, luogo in cui tuttora vivono alcuni discendenti della mia gente che scese sulla Terra circa 15.000 anni prima della nascita di Cristo. Altre indicazioni le ho attinte dalle lacunose relazioni che gli attuali responsabili del mio pianeta trasmisero al mio popolo della Terra, nell’intento di nascondere il vero scopo della mia missione.

Il rimanente è uno stralcio della traduzione (Purtroppo non integrale) di un messaggio proveniente dal mio Pianeta.

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Come già accennato, G è il secondo pianeta in ordine di distanza dai due soli (I cui nomi non li riporterò in quanto assolutamente intraducibili e che, per un paradosso cosmico, non ruotando l’uno attorno all’altro, non provocano anomalie gravitazionali), attorno ai quali si muovono altri 27 corpi celesti. Sebbene indizi certi dimostrano che il mio sistema vide il sorgere della vita in epoche che si perdono nella notte dei tempi, GAUSS è l’unico pianeta, sul quale furono rinvenute tracce della evoluzione di una razza il cui aspetto fisico era del tutto simile a quello terrestre.

Notizie risalenti a milioni di secoli prima che iniziasse la mia storia, descrivono G come un pianeta (Per quanto riguarda le condizioni attuali non mi è possibile averne un riscontro) avvolto da un atmosfera composta di vari elementi tra i quali l’ossigeno, nella quantità del 24,5%, l’azoto del 70,5%, l’idrogeno, anidride carbonica, ozono ecc. ecc.
Per quanto concerne il suo raggio equatoriale posso affermare, con sufficiente approssimazione, che tuttora debba essere calcolato attorno ai 162.271 Km terrestri.
In epoche lontane l’habitat di GAUSS era controllato da un così perfetto eco sistema da renderlo un vero paradiso; i suoi tre continenti, emergenti da un unico oceano, erano interamente coperti di lussureggianti foreste, di altissime montagne e vasti laghi d’acqua dolce.

Il suolo fertile, ricco di messi e di sterminati pascoli ubertosi, ospitava interminabili teorie di greggi. Dalle profonde foreste vergini, dove era possibile udire lo svolgersi della vita animale, libera e incondizionata, si levavano in volo frotte di uccelli dai più vivaci colori che popolavano e allietavano le riviere, i giardini e le dolci colline dei centri abitati, ed è per questa ragione che meritò l’appellativo di pianeta della pace, delle scienze e culla di una nobilissima civiltà che illuminava l’intero 7° Anello.

(Molto prima che iniziasse la mia storia, le cose sul mio pianeta erano notevolmente cambiate a causa di innumerevoli guerre che lo avevano deturpato. Tra gli errori più tragici che la scelleratezza degli esseri che popolavano il 7^ Anello ebbero a causargli, il peggiore fu la modifica dell’angolo del suo asse, la qual cosa, oltre che a mutarne l’orbita da ellittica in circolare, rallentò drasticamente il suo moto di rivoluzione con l’inevitabile riduzione della distanza dai i due soli. Ciò coincise con l’aumento della temperatura che determinò la totale scomparsa della vegetazione, quindi degli animali vegetariani e successivamente dei carnivori.

Altro tragico effetto fu l’evaporazione del grande oceano che in breve si ridusse ad lago talmente piccolo e così salato, da non occupare più del 0005% dell’emisfero Nord. Ovvero la parte non direttamente colpita dai raggi dei due soli
Quello che era stato l’emisfero meridionale si trasformò in un unica enorme fornace dove le temperature oscillavano tra i 212 e i 300 gradi Fahrenheit terrestri.
Di conseguenza, in seguito, anche il mio popolo subì notevoli mutazioni e i 5 milioni di esseri che, all’epoca dell'inizio della mia storia restavano del grande popolo, si erano raggruppati in poche città edificate attorno alla calotta polare artica, dove le temperature notevolmente basse consentivano un minimo di sopravvivenza.)

Godendo della capacità di utilizzare il 64% del potenziale cerebrale, (Che ci concesse la supremazia tecnologica e scientifica su di ogni altra razza appartenente al 7^ Anello) la mia razza offrì la sua intera conoscenza al benessere dell’intera galassia, ove una quantità innumerevole di razze diverse nell’aspetto e nello spirito, riuscivano a convivere pacificamente.

(Per mantenere quello stato di benessere, le autorità centrali si videro costrette a prendere severi e crudeli provvedimenti nei confronti di razze nomadi e di altre razze appartenenti a galassie meno fortunate, per scoraggiare mire espansionistiche.)

Mentre i popoli del 7° Anello si giovarono di quanto la mia razza metteva a loro disposizione, la mia gente non soltanto scelse di dedicare ogni suo interesse allo studio e alla ricerca, ma di rimanere al di fuori di qualsiasi bega politica, commerciale o militare che fosse.
Con il passare di innumerevoli generazioni e senza che nessuno se ne rendesse veramente conto, in alcuni esseri di G iniziarono ad affiorare capacità così elevate e sorprendenti da permetterci di utilizzare il 98% del nostro potenziale neuronico.

(Se si tiene conto che la maggior parte del mio popolo era in grado di sfruttare normalmente il 64% di quel potenziale, è indubbio come ciò ci elevasse oltre la condizione umana, ponendoci su un piano di pura forza energetica. Infatti, utilizzando quelle nuove capacità raggiungemmo limiti ritenuti fino ad allora inaccessibili. Le nostre menti furono in grado di impiegare una nuova energia, prodotta coscientemente dal nostro cervello, che ci permise di raggiungere l’elaborazione dei concetti fondamentali della creazione).

Ma se quella nuova capacità ci condusse alla scoperta che ogni nostra potenza risiedeva in un minuscolo componente del nostro cervello, al quale fu assegnato il nome di “Modulo”, nello stesso periodo di tempo in cui si concluse questa parabola evolutiva, si deve registrare una lenta mutazione dell’indole in tutto il mio popolo.

(Non è dato sapere con certezza quali e quante cause confluirono a produrre questa mutazione, ma è probabile che a determinarne l’irreversibile trasformazione concorsero vari fattori, tra cui le vicende non certo liete che accaddero in tutto l’impero del 7^ Anello.)

L’inizio di quello che possiamo definire l’atto conclusivo dell’evoluzione verso forme più elevate, si riscontrò presumibilmente con la morte di Simun V° l’ultimo illuminato imperatore del 7° Anello.
Infatti non appena sepolto e insediatosi alla guida dell’impero, il suo delfino, (Appartenente ad una delle famiglie più potenti, prepotenti, indisciplinate e riformiste di tutto l’impero) si determinò un cambiamento così radicale da sconvolgere l’intera galassia.

Sin dal primo giorno in cui la civiltà del 7° Anello aveva visto la luce e fino alla morte di Simun V°, la incontaminata bellezza del mio pianeta e la sua storia, che annoverava splendori signorili e umanistici, lo avevano fatto eleggere quale sede politica, scientifica e religiosa dell’impero, con l’avvento della nuova nomenclatura politica, avvennero molte trasformazioni a causa di leggi, emanate senza alcuna verifica, che seppero soltanto riacutizzare vecchi rancori.

Il più azzardato di questi ordinamenti, che abrogava ogni libertà di ordine religioso, dette la stura a migliaia di sommosse più o meno violente, ma tutte soffocate nel sangue.
Con un'altra dissennata normativa, la classe scientifica del mio pianeta, fu estromessa da qualsiasi mansione, relegandola ad una esistenza di vassallaggio fisico e psicologico.

Con l’avvento del nuovo corso in tutto l’impero iniziò un lungo susseguirsi di rivolte, guerre, invasioni e scorrerie da parte di razze che, con il pretesto della ribellione all'arrogante politica della nuova classe dirigente, si scatenarono principalmente contro il mio pianeta.

La prima invasione ad opera di una razza di esseri alati, giunse dal profondo spazio e rese in schiavitù il mio popolo fino ad allora vanto di tutto l’impero.
Probabilmente la ragione di quelle invasioni deve essere ricercata nel fatto che; essendo il mio popolo l’unico ad avere mantenuto le caratteristiche fisiche, mentali e spirituali degli Onn, suscitava risentimenti e timori.

(Durante il periodo in cui il 7^ Anello poteva essere considerato a ragione il paradiso dell’universo conosciuto, per centinaia di secoli erano stati effettuati studi approfonditi alla ricerca della matrice della vita e soltanto sul mio pianeta erano state rinvenute lievi, ma inequivocabili tracce della presenza degli Onn.

(Razza riconosciuta come la più antica in senso assoluto e senza alcun dubbio matrice della vita su tutti i pianeti abitati).

Di loro si conosceva soltanto quanto era rimasto registrato su alcuni cubi, di un materiale sconosciuto, che proiettavano, automaticamente e in tempi prestabiliti, immagini olografiche mostranti il loro aspetto.

Quei cubi erano stati rinvenuti all’interno di una mastodontica costruzione sepolta ad oltre dodicimila metri sotto la superficie del mio pianeta e narravano la storia di esseri capaci di spostarsi nello spazio e nel tempo con la sola forza della mente e della loro capacità di manipolare la vita controllando la morte).

Ma se per la mia gente riconoscere in quel popolo la propria identità originaria fu un atteggiamento storico e non una compiacenza, per moltissime altre razze fu motivo di rancori, gelosie e tendenze politiche che, innalzandosi a presunte dottrine di superiorità di razza, sfociarono inevitabilmente nella corsa al controllo di quella nobile stirpe.

Alla luce di ciò risultò inevitabile che la nuova casta dirigente, onde evitare che altre razze potessero impossessarsi delle potenzialità che avevano posto il mio piccolo popolo nella posizione più prestigiosa dell’impero, si schierò apertamente contro chiunque tentasse di impadronirsi di G, scatenando così l’intolleranza che spinse il 7° Anello verso una guerra che ebbe un costo altissimo.

Vennero immolate miliardi di esistenze e un numero inimmaginabile di pianeti furono irrimediabilmente devastati in una cruenta lotta che ebbe termine (Circa un millenni più tardi) quando le forze imperiali imposero la loro pace agli esseri alati e ai loro alleati.

Alla pace sarebbe dovuto seguire un periodo di transizione in cui ogni popolo avrebbe dovuto preoccuparsi di ricostruire ciò che era andato perduto, ma come spesso accade i vincitori adottarono politiche illiberali che innescarono nuovi e gravi motivi di dissenso. I quali, manovrati da abili mani, dettero il via ad altre rivolte più o meno grandi, più o meno violente, ma tutte rivolte contro il mio pianeta.

Da allora di scorrerie e di invasioni su GAUSS ve ne furono moltissime. E tutte con il loro triste seguito di devastazioni, massacri e annientamenti che ridussero gran parte del pianeta in un luogo sterile.
Alcune di quelle invasioni furono particolarmente feroci, come quella dei popoli Rurr, che lasciarono traccia nelle leggende e nella grande cisterna della memoria popolare.

Quella guerra coinvolse più o meno tutti i pianeti appartenenti al 7° Anello, molti dei quali, pur non condividendone i fini politici, si allearono ai Rurr al solo scopo di contrastare il dominio della politica imperiale.
Gli schieramenti contarono più di duecento milioni di miliardi di esseri di ogni razza che si fronteggiarono con ogni tipo di armamento. E quando la guerra terminò, (Probabilmente a causa dell’esaurimento del materiale bellico) il 7° Anello, stremato e senza più confini, cadde alla mercé di chiunque avesse voluto esercitare un po’ di potere.

Fu pressappoco in quell’epoca che alcuni popoli nomadi, (Tenutisi sempre a debita distanza dai confini dell’impero) non più frenati dal potere costituito, iniziarono a dilagare e ad invadere ciò che restava dell’impero, accanendosi in modo particolarmente feroce contro G (Ritenuto l’unico responsabile della loro condizione nomade e di ogni altro torto compiuto nei loro confronti)

Per centinaia di secoli il mio popolo dovette trasformarsi in un popolo di castori e di formiche, ricominciando a riparare le nostre città distrutte dopo che l’ultima scorreria era finita e le rovine ancora fumanti.

Le sofferenze e principalmente quella esistenza precaria, mutarono la nostra struttura cerebrale trasformandoci da gente semplice e dedita agli studi, in una nuova potentissima razza con spiccati interessi politici e militari.
In conseguenza del malessere che era dilagato in tutto l’impero, esplosero nuovi contrasti che sfociarono in una nuova guerra totale in cui al mio popolo non restò che subire imposizioni.

I millenni trascorsi a piangere sulle nostre tragedie avevano cancellato la grande capacità di amare che ci aveva sempre distinti. E perfino la sacra istituzione della famiglia perse ogni funzione, sacrificando tutto e tutti alla ragion di stato.
L’amore, che prima colmava i nostri cuori, cessò di far parte del nuovo modo d’essere, tanto che perfino il rapporto tra di noi fu improntato e regolato da codici e leggi inflessibili.

Da allora la vita del 7° Anello si svolse all’insegna della stabilità originata soltanto dallo strapotere della nostra nuova potente razza...
Ma se il nostro dominio si estese a macchia d’olio perfino oltre i confini della galassia, imponendo ovunque il nostro volere, in realtà non tutti noi riuscimmo ad adeguarsi al nuovo corso.

Infatti si levarono numerose voci che invitavano a riconquistare il concetto del rispetto e dell’amore.
Tutto ciò, invece d’indurre il nuovo ordine ad un ripensamento, provocò l’isolamento dei dissidenti, i quali, pur di continuare vivere nel rispetto dei codici Onn, si videro costretti a lasciare il nostro pianeta.

Ne seguì fu una vera diaspora macchiata di sangue, poiché il nuovo corso, per evitare quelle fughe, adottò pene talmente inumane da giungere perfino alla mutilazione dei lobi cerebrali e della ipofisi.

Storicamente non è dato conoscere il numero esatto di quanti incorsero nei rigori di quella legge, ma una prudente stima riferisce che furono milioni gli individui catturati e puniti.

Per la verità neppure coloro che riuscirono ad allontanarsi furono in grado di vantare una vera vittoria, poiché con la patria persero anche le loro identità, giacché ovunque andarono e qualunque tipo di vita contattarono, non furono mai veramente padroni di pilotare i loro destini verso destinazioni liberamente scelte.

(Notizie riguardanti i gruppi che raggiunsero galassie distanti migliaia di anni luce dal nostro pianeta narrano che nel ciclo di alcuni secoli, in quella gente scomparve quella sorta di indipendenza interiore che ci aveva sempre distinti)

Tra coloro che in epoche diverse riuscirono ad abbandonare il pianeta, quello che interessa più da vicino la mia storia è l’avventura di un gruppo di uomini e donne che, pur appartenendo alle quattro classi sociali, sembra non fossero in grado di sostenere un contatto cosciente con il "Modulo".

(La terminologia terrestre definisce con quel sostantivo la misura sulla quale si basano alcune caratteristiche compositive di un’opera d’arte e sebbene nella terminologia del lio popolo la definizione "Modulo" equivalesse ad un concetto pressappoco simile, fu adottato per indicare quell’organo, presente in ogni razza dotata di intelligenza, al cui interno la natura ha provveduto a registrare ogni codice universale e con il quale soltanto pochissimi di noi erano in grado di avere un rapporto incondizionato tramite una particolare emissione energetica prodotta dallo stesso elemento.)

Il gruppo, utilizzando una nave stellare di costruzione extra GAUSSIANA, si allontanò dal pianeta dirigendo verso il punto conosciuto dalle mappe con la sigla [A].B.S.00.01 e com’era prevedibile furono intercettati da osservatori della nuova federazione, che imposero loro l’ordine di rientro sul pianeta.

A quel punto, dopo una rapida consultazione, i responsabili della comunità scelsero di non dare seguito all’ordine, ma di rischiare il tutto per tutto in una folle corsa a velocità di fuga, che si concluse quando la nave si addentrò in una galassia non identificata dalle mappe in dotazione.

Ridotta la velocità i sistemi di controllo iniziarono la ricerca di un sistema stellare che potesse offrire caratteristiche simili a quelle di G e poiché le prime ispezioni evidenziarono che nessuno dei 68 milioni di sistemi dotati di stelle multiple era in possesso di quelle qualità specifiche, fu allargato il campo di osservazione che li portò all’identificazione di una stranezza cosmica, ovvero due minuscoli sistemi periferici, ruotanti attorno a due giovani stelle gialle di media grandezza, che oltre ad essere in opposizione l’uno all’altro, distavano entrambi 33.000 anni luce dal centro della galassia.
Ma la stranezza superava ogni immaginazione quando si resero conto della loro assurda similitudine
Infatti non soltanto si rivelarono dotati ognuno di 10 pianeti, ma la loro collocazione astrale era talmente inconsueta da renderli invisibili l’uno all’altro.

A completare il quadro delle stranezze fu la conferma che soltanto uno di quei venti pianeti sembrava essere in possesso di caratteristiche che avrebbero potuto condurre al sorgere della vita.

Alla luce di quell’ultima indicazione fu scelto di effettuare analisi più dettagliate e così, dopo un altro balzo a velocità di fuga, che pose la nave in un orbita interna del sistema, collocato a Sud del centro della galassia, (Riferimento ottenuto calcolando la deriva in contrapposizione della collocazione astrale di GAUSS) iniziando il rilevamento dei dati.

Tra le decine di migliaia di analisi positive sintetizzate dall’elaboratore, soltanto tre risultarono potenzialmente negative, ma tanto bastò a far pendere la bilancia verso una rinuncia alla discesa sul pianeta.
La prima di queste analisi confermò la differente interazione tra le radiazioni elettromagnetiche e cosmotelluriche prodotte naturalmente dal pianeta, (7,83 hertz) e il sistema bioelettrico dei loro corpi. (Per la precisione, la diversità tra la frequenza dei loro corpi e quella prodotta dal pianeta era di circa + 0,003 hertz)

La seconda, che segnalava nell’atmosfera del pianeta una percentuale di azoto più alta, rispetto a quella del nostro pianeta avvalorò l’ipotesi di probabili difficoltà al normale sviluppo della loro vita biologica nei primi anni della crescita.

La terza, che tra l’altro registrava una temperatura media dell’aria (A livello del mare) di circa 8/ya (Pari a 18\20 gradi centigradi terrestri) più elevata delle zone abitate del mio pianeta, (Questa situazione venne presto modificata quando i sistemi automatici, allineati su comparazioni rimodulate, identificarono nell’emisfero Nord del pianeta alcune zone in cui la temperatura scendeva fino a raggiungere i livelli pressappoco identici a quelli ai quali erano abituati i loro corpi) in pratica determinò la rinuncia definitiva al pianeta quando fu definita l’ingente quantità di acqua di cui disponeva il pianeta.

(È bene ricordare che nelle zone abitate del pianeta GAUSS, tutte situate ad altitudini varianti tra i 6/8 mila metri di quota, l’acqua era conosciuta sotto il suo aspetto solido o al massimo poteva essere osservata nei bacini di raccolta, che se pur vasti, non superavano superfici superiori ai 4/5 mila metri quadrati)

Ma quando era ormai tutto predisposto al nuovo balzo, accadde qualcosa che modificò la situazione.

(Gli elementi in mio possesso non chiariscono la causa che determinò quella decisione, ma è probabile che fu la conferma che sul quel pianeta aveva avuto inizio la vita, partorendo un umanoide dal portamento eretto e molto vicino al nostro metabolismo, dovette sconvolgere un po’ tutti)

E tanto bastò perché i sistemi stazionassero la nave in un orbita di parcheggio attorno al pianeta.

Dal giorno di quella scoperta trascorsero decine di mesi in confronti e analisi sui pro e i contro e alla fine fu deciso che la nave avrebbe proseguito il viaggio.
Ma era destino che non dovessero allontanarsi dalla Terra, poiché nell’istante in cui la nave fu pronta al lancio in una traiettoria che l’avrebbe condotta verso la periferia della galassia, si verificò l’unica circostanza in grado di porre la parola fine alla prima parte della nostra odissea. Ovvero l’entrata in stallo del sistema di propulsione.

(Non vi sono prove certe che possano affermalo, ma un antico documento risalente ai tempi dell’esodo, riferisce di alcuni casi in cui fu verificata una caduta energetica del propellente – URTHORIO – addebitandone la causa ad alcuni agenti, non identificati, ristagnanti nell’atmosfera di pianeti molto giovani)

Ovviamente l’impossibilità di disporre di altre riserve di propellente (Forse anche a causa di una certa stanchezza psicologica) convinse il governo della comunità, composta ormai di ventimila unità, a programmare una immediata discesa sul pianeta dove erano state rilevate più evidenti le caratteristiche proprie del sistema di vita umana. E quando finalmente l’enorme nave si posò sul suolo di una immensa isola posta al centro d’un vasto oceano, il nostro viaggio ebbe termine.

Altri documenti magnetici, rinvenuti nella città segreta, descrivono quel sito come una delle poche aree disabitate del pianeta, ma l’unica nelle cui viscere fosse stata rilevata la presenza di una modesta quantità di una sostanza gassosa (Alla quale fu attribuito il nome di Helios_3.2) in grado di alimentare l’ultimo impianto funzionante per la produzione di energia subatomica stabile.

Su quell’isola, che occupava un vasto spazio dell’emisfero Nord tra il continente europeo e quello americano, (Oggi parte della Dorsale Media Atlantica) e alla quale fu assegnato il nome di YOYKOS, (Definizione che nell’antico lessico G può assumere vari significati tra cui casa, frontiera o addirittura nome di persona se sull’ultima vocale cade un accento cupo) edificarono la nostra prima città utilizzando gran parte delle strutture della nave stellare.

Mentre sull’isola si verificavano i fatti appena narrati, a qualche migliaia di chilometri di distanza, (Su quelli che sarebbero poi divenuti il continente Eurasiatico e Africano) gli scarsi indigeni che lo abitavano erano così duramente impegnati a sopravvivere tra difficoltà di ogni genere, che forse non ebbero il modo di accorgersi della discesa dal cielo di una sfera incandescente.

Interpretando liberamente altri documenti, si ritiene (Ma la notizia non è confortata da prove) che negli anni che ebbero a seguire, alcuni di quegli indigeni (Si suppone possa essere avvenuto casualmente) vennero in contatto con la nostra civiltà che visse e prosperò sull’isola per millenni.

(Forse si trattò soltanto di un caso, ma il fatto che dopo un viaggio di migliaia di anni luce quella nave fosse stata costretta ad atterrare sul pianeta Terra, imponendo così a ventimila miei confratelli l’habitat terrestre e considerando inoltre quale orientamento presero gli eventi successivi, si ha l’impressione che qualcuno desiderasse che tutto ciò accadesse.)


Trascorsero i millenni, ma se a causa delle civiltà contattate il mio popolo sparso in altre parti dell’universo non si resero mai veramente conto di perdere il concetto di patria e i ricchissimi contenuti delle nostre memorie, agli esuli sulla Terra accadde l’esatto contrario, poiché non soltanto mantennero vivi gli usi, le tradizioni ed ogni altro ricordo della loro patria, ma nacque in loro fortissima la vocazione del ritorno.

Con il tempo quegli stessi esseri pelosi che popolavano la Terra all’epoca in cui scese il mio popolo, acquistarono la coscienza delle loro maggiori attitudini rispetto alle altre razze viventi sul pianeta, progredirono fino configurare quella società che oggi governa le esistenze di questo pianeta.

Sfortunatamente non esistono testimonianze in grado di chiarire i reali motivi che determinarono l’abbandono dell’isola di YOYKOS, (Di cui oggi non vi è più traccia) ma se è certo che una volta lasciata l’isola il mio popolo si mescolò alle popolazioni indigene sparse su quasi tutti i continenti, il rinvenimento casualmente di un documento lascia supporre che circa 7600 anni fa, (Subito dopo l’ultima era glaciale) forse a causa dell’enorme massa d’acqua, dalla forza spaventosa (Pari a dieci mila cascate del Niagara) che si riversò nell’oceano Atlantico e quindi nel Mediterraneo, il livello dei mari si innalzò di alcune centinaia di metri sommergendo la grande isola assieme a gran parte del continente eurasiatico e quello medio orientale.

(Lo stesso documento, riferendo che questa situazione ebbe a protrarsi per oltre seicento giorni, lascia che alla mente torni il ricordo di due eventi che appartengono all’immaginario dell’intera umanità; il diluvio universale e la leggenda mitologica di Atlantide. Ed è alquanto strano che l’abbandono di YOYKOS sia coinciso con la scomparsa di Atlantide dalla faccia della Terra.)

L’unico dato certo di cui si dispone è che il mio popolo, una volta lasciata l’isola, si unì, nel rispetto dei loro codici morali, alle popolazioni indigene senza mai interferire (Tranne una o due volte) in quello che fu il naturale sviluppo della società terrestre.

Uno degli ultimi gruppi che lasciarono YOYKOS, trascinandosi dietro quanto erano riusciti a salvare della nostra civiltà, raggiunse (Dopo un viaggio di alcune decine di anni attraverso il continente europeo e il nord America) la parte meridionale del continente americano, dove, in un oasi inaccessibile di una valle del fiume Popuri, (Zona che alcuni millenni più tardi sarebbe divenuta la frontiera tra il Brasile e la Columbia) vi edificarono una nuova città, che, protetta dai nostri poteri e da un alta tecnologia, non fu mai rintracciata. (E da quanto mi è dato sapere, deve essere ancora li)

Nei primi anni del sedicesimo secolo, la mia gente dette vita ad un progetto che offrì, ad ogni discendente del appartenente al mio popolo, la possibilità di riunirsi in un gruppo omogeneo per dare inizio ad un piano che prevedeva il ritorno su G.

Naturalmente, per evitare che ciò potesse creare imbarazzo, fu lasciato ai singoli la scelta della decisione.
Quella soluzione evitò un nuovo e doloroso esodo e quando alcuni decenni più tardi le porte della città segreta si chiusero alle spalle dell’ultimo GAUSSIANO che aveva accettato di farne parte, (I residenti non superavano le centomila unità) iniziò la realizzazione del progetto “Ritorno”.

Sebbene le nostre menti esprimessero ancora imponenti capacità, l’ambizioso progetto, che prevedeva la realizzazione di un amplificatore di segnali neuronici, capace di raggiungere i confini di G, doveva considerarsi di proporzioni gigantesche considerati i problemi tecnologici da risolvere.

In pratica si trattava di realizzare una struttura di dimensioni ridotte, ma in grado di elaborare migliaia di milioni di operazioni.

Il primo problema fu di selezionare una équipe capace di decifrare codici ormai quasi dimenticati.
Il secondo fu di rintracciare, negli archivi mnemonici dei singoli abitanti la città, ogni notizia relativa all’esatta collocazione astronomica di GAUSS.

Per questo compito vennero costituiti gruppi di ricercatori della scienza dell’anima, (Secondo l’etimo greco) i quali, possedendo un notevole vantaggio rispetto agli studi che in seguito avrebbero guidato Gustav Fechner, Binet e Plavlov, seppero svincolare la ricerca dalla filosofia da tutte le ipoteche metafisiche.

Da allora trascorsero lunghi anni di studio e sacrifici durante i quali il progetto iniziò a prendere forma, ma quando giunse il momento di sottoporre il progetto al collaudo finale e ciò si verificò la notte del 10 Agosto del 1916, mentre i popoli della Terra si confrontavano in una atroce guerra, tutto quel gigantesco apparato cessò di avere importanza nell’istante stesso in cui l’amplificatore intercettò un segnale energetico di un laboratorio automatico G, il quale, penetrato nell’ammasso stellare contraddistinto dal sigla [Y]S11.10A3.A, (In parole povere la Via Lattea) stava effettuando rilevamenti di carattere scientifico.

Da quel preciso istante, tra la città segreta e il laboratorio automatico, iniziarono operazioni di interfacciamento che richiesero la realizzazione di nuove tabelle comparative e l’evoluzione di nuovi linguaggi concettuali.

A risolvere definitivamente il problema fu il laboratorio, il quale, rivoluzionando un sistema binario nel quale concatenò calcolo differenziale e frequenze musicali, consentì alle due parti un’intesa prossima al 100%.
Tramite quel codice gli abitanti della città riferirono a G la loro storia e il desiderio di rientrare in patria. Ma com’è facile immaginare, quel messaggio creò reazioni talmente diverse da suggerire al C. di R. l’invio sulla Terra di una risposta che, pur prevedendo un'operazione di rientro su G, in pratica ne condizionava l’attuazione alla elaborazione di un progetto da mettere a punto.

In realtà le cose presero una piega assai diversa, poiché il Consiglio di Reggenza programmò l’inserimento di una stazione artificiale nell’orbita di un pianeta (Il gemello della Terra) la cui posizione astrale, diametralmente opposta a quella della Terra rispetto al sole, lo rendeva assolutamente invisibile e dal quale alcuni osservatori scesero, inosservati, sul nostro pianeta per analizzarne ogni aspetto.
Dalla notte in cui si realizzò il primo contatto, trascorsero venti anni prima che G riprendesse i contatti con il pianeta Terra e fu allora che gli esuli seppero quanto era accaduto al pianeta dei loro padri. (Ma nessuno disse loro che quelle notizie erano ampiamente incomplete)

(Fin qui sono state riportate notizie, attinte dagli archivi della città segreta, riguardanti la storia del pianeta G e di coloro che scesero sulla Terra. Ciò che segue sono appunti estratti dalla relazione trasmessa da G alla Terra il 19 Giugno 1939; inizio trasmissione ora terrestre 07,30)

Quei mutamenti verificatisi nella loro indole li aveva stimolati a riconquistare ciò che era stato l’impero del 7° Anello e seguendo una nuova logica dominante, fu riplasmato e suddiviso in federazioni asservite ad un potere centrale.

E fu proprio quella capacità di guida che fornì l’alibi per la fondazione di un nuovo movimento politico – religioso – culturale, che predicando il totale abbandono della cultura Onnica, alla quale veniva addebitata ogni responsabilità per quanto aveva subito la loro razza, rese potente la nuova struttura sociale.
Certamente in epoche precedenti tutto ciò non si sarebbe potuto verificare, ma quel nuovo potente ego che ormai li dominava, seppe trasformare il fantasma del loro inconscio collettivo da figura astratta e perdente, a figura concreta e vincente.

Da allora la nazione crebbe e si rafforzò grazie ai nuovi poteri e ad una nuova arma. (Mai citata nei rapporti inviati alla Terra e che in seguito causò loro grossi guai.)
Per la verità, quella che abbiano appena definito arma, per sua stessa natura risultava essere assolutamente aliena a quanto fino ad allora era stata concepito con quel termine. Ciò nonostante, in qualsiasi modo la si volesse definire, in pratica si basava su tre sole caratteristiche

I^ Non ammetteva per principio la sconfitta.
II^ Era assolutamente fedele.
III^ Era irragionevolmente crudele.

Contro quell’arma fallirono tutte le difese conosciute e da quando iniziò ad operare, i circa duecento milioni di sistemi solari facenti parte del 7° Anello, furono riplasmati e modificati secondo schemi elaborati dalle menti di GAUSS.

(Ciò che segue è la sintesi di alcune relazioni di cui non è mai stato possibile attribuirne la paternità)

A dispetto dell’ordine imposto dal nuovo corso, non tutti i G si mostrarono favorevoli al rientro di quel gruppo di barbari della Terra, (Quell’aggettivo fu utilizzato quando si conobbe essere di oltre un milione di secoli il ritardo che separava le due civiltà) e ciò fu sufficiente a dar vita a due tendenze; i favorevoli al rientro e i contrari.

I favorevoli (La minoranza) giustificavano la loro scelta con la possibilità che in quel popolo fosse sopravvissuto lo spirito onnico.

I contrari invece ne davano per scontata l’immaturità, addebitando loro la responsabilità d’aver già, con la loro richiesta, indebolito lo stato forte.

Oltre alle due suddette fazioni esisteva un’altra frangia politica, (Che potremmo definire occulta, ma in grado di controllare parte dei componenti del Consiglio di Reggenza) la quale, ravvisando la possibilità di realizzare l’antico progetto di portare su G individui di sesso femminile, (Con l’evidente scopo di dare nuova linfa alla razza) non tardò ad attivarsi.

Ma poiché tra le due fazioni ufficiali si accesero contese che durarono anni, (Senza mai raggiungere un vero accordo) fu deciso il ricorso ad un plebiscito che, ben pilotato della frangia occulta, (Tutto l’universo è paese) condusse i favorevoli verso una schiacciante vittoria.
In conseguenza di ciò, ascoltato il parere dei Sistemi di programmazione e del consiglio, il Reggente suggerì d’inviare sul pianeta Terra l’unico essere in grado di mantenere nel tempo l’aspetto fisico.

La scelta di quell’essere, ovvero me medesima, (Tenuta lontano da GAUSS a causa della mia nascita, avvenuta in conseguenza di un rapporto fisico non autorizzato tra due esseri di sesso diverso) pur essendo in realtà l’unico essere ad avere buone possibilità di inserirsi nella struttura sociale terrestre, (Dove la procreazione avveniva ancora per effetto di rapporti sessuali tra maschio e femmina) scatenò una nuova battaglia silenziosa. Ovvero; i contrari riuscirono ad inserire nel programma potenti segnali di disturbo al fine di far fallire la missione, i favorevoli, preoccupati che la scelta del viaggiatore potesse compromettere l’esito della missione, (A causa della sua natura) pretesero l’innesto, nel programma di base, di pregiudiziali limitative.

Gli unici a non partecipare apertamente a quella bagarre furono i componenti della frangia occulta, ma che comunque inserirono i loro ordini nel programma.
In poche parole, chi per un motivo e chi per un altro, nessuno condivise la scelta d’inviare me sulla Terra, tranne lui, il Reggente.


Quel temutissimo essere dalle sembianze umane, ossia me medesima, giudicato pericoloso dall’etica del mio popolo, non era altri che una cuccioa di otto anni di età dal nome piuttosto insolito. (Il nome mi era stato impresso sull’addome da mia madre subito dopo la nascita)

Io ero il risultato di un rapporto sentimentale (Tanto raro quanto vietato da severe leggi) di due esseri, i quali, non desiderando avere un figlio manipolato dai Sistemi di Controllo, disobbedirono e, riacquistato segretamente l’aspetto fisico, si unirono in un rapporto sessuale da cui ebbe origine il concepimento.

Mia madre morì di parto, mentre mio padre, delfino designato alla sostituzione del Reggente, scampò alla pena prevista dalle leggi.
Quanto a me, non appena fui rintracciata tra le braccia di mia madre morente, venni consegnata alla legge e sottoposta ad un sommario processo, dal quale ne scaturì l’inevitabile condanna alla soppressione.

Condanna che non fu eseguita per il semplice motivo che qualcuno rispolverò una norma di attuazione della stessa legge, (Della quale si era persa memoria, ma mai abrogata) la quale negava il consenso giuridico alla soppressione di un essere vivente, se non dopo aver raggiunta l’età per comprendere le motivazioni della sentenza.

Dal momento che per rendere esecutiva la sentenza sarebbe dovuto trascorrere un tempo considerevole, il Consiglio di Reggenza deliberò che fossi addestrata e assegnata a svolgere quei compiti non propriamente legati all’etica Onnica.

La vera ragione di quella scelta, (Ovvero tenermi il più lontana possibile dal mio pianeta) non fu soltanto la conseguenza della mia nascita innaturale, ma principalmente per il timore che suscitò quando fu chiaro che oltre ad essere in possesso di nuove ed elevate capacità mentali, disponevo di potenzialità energetiche tali da sovvertire ogni legge universale conosciuta.
Compatibilmente con quanto riportato dagli innumerevoli rapporti pervenuti dal pianeta Terra, per la mia missione fu realizzato un programma di tipo KE. (Programma che prevedeva l’adattamento psico/fisico per ognuno degli stati comportamentali e mentali previsti nella società terrestre)

Tra le innumerevoli informazioni che mi furono registrate nella mente, spiccava il pericoloso esponente N (Introdotto segretamente dal gruppo dei contrari alla missione) al quale era stato assegnato, tra l’altro, il compito di rendere impossibile la rimozione automatica dello status di base. La qual cosa non soltanto mi avrebbe causato dolori fisici di notevole entità, ma avrebbe generato nel mio subconscio una seconda pericolosissima personalità che si sarebbe contrapposta alla prima.

Infine la frangia occulta registrò nella mia mente un secondo programma, (Inaccessibile ad ogni chiave di lettura) il quale, oltre che utilizzare la mia stessa energia vitale, (Energia modulata) con lo scopo di scompaginare i piani dall’esponente N, al compimento del diciottesimo anno di età mi avrebbe imposto di condurre sul mio pianeta le sole femmine in possesso dei requisiti previsti da alcuni test predeterminati.

Ignara di quanto stesse accadendomi, mi preparai diligentemente sostenendo migliaia di analisi ed ogni altra terapia prevista dalle procedure e quando finalmente i miei tormenti ebbero termine e fui ritenuta pronta ad essere trasferita sulla Terra, mio padre, il Reggente, chiese di vedermi.

Trascorsi nella casa di mio padre (Edificata sulla montagna più alta del pianeta) sei giorni e sette notti, ma di cosa ci dicemmo o facemmo nessuno ha mai avuto notizia, nemmeno io.
A proposito di quell’incontro nacquero un’infinità di leggende che (Alcune delle quali veramente fantasiose) indicavano in me l’ultimo discendente degli Onn.

Naturalmente si tratta soltanto di fiabe, ma ciò che sembra degno di attenzione è la storia nella quale si narra che quando lasciai quella casa, nella mia mente vi fossero tre programmi.

La leggenda prosegue riferendo di una profezia, incisa sulla parete della montagna, che avrebbe previsto che se qualora in me si fossero verificate determinate ricorrenze, quell’ultimo programma mi avrebbe aiutata ad opporre una valida barriera ai crudeli effetti dell’esponente N e a quanto disposto dalla frangia occulta.
Per concludere sembra doveroso riferire di una annotazione, rinvenuta a piè di pagina di un documento d’incerta provenienza, che facendo esplicito riferimento alla menzionata predizione chiude con una considerazione;

“...ma affinché quest’eventualità possa concretizzarsi, la ragazza dovrà avvalersi di uno strumento forgiato di un insieme di fattori morali, spirituali e intellettuali; qualità che all’atto del trasferimento sulla Terra risultano essere totalmente estranei al suo ego GAUSSIANO.”

Ed ora eccomi qua… sarò capace di condurre in porto il progetto che mi è stato affidato?


FINE
view post Posted: 9/3/2021, 10:28     Un amore di Pianeta (Notizie...) - Narrativa
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Notizie sul mio pianeta nativo e inizio della mia vita sulla Terra


Per chiarire e porre nella giusta luce la mia presenza sulla Terra, (Il mio nome è Cristi, me lo scrisse mia madre sul ventre prima di morire e sono una femmina.) è indispensabile che vi riporti alcune notizie riguardanti la storia di G (chiamerò cosi il mio pianeta).
GAUSS è il secondo pianeta di un sistema stellare multiplo della costellazione del 7° Anello.
Alcune di queste notizie le ho ricavate da documenti custoditi negli archivi di una città che chiamerò “La città segreta”, luogo in cui tuttora vivono alcuni discendenti della mia gente che scese sulla Terra circa 15.000 anni prima della nascita di Cristo. Altre indicazioni le ho attinte dalle lacunose relazioni che gli attuali responsabili del mio pianeta trasmisero al mio popolo della Terra, nell’intento di nascondere il vero scopo della mia missione.
Il rimanente è uno stralcio della traduzione (Purtroppo non integrale) di un messaggio proveniente dal mio Pianeta.

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Come già accennato, G è il secondo pianeta in ordine di distanza dai due soli (I cui nomi non li riporterò in quanto assolutamente intraducibili e che, per un paradosso cosmico, non ruotando l’uno attorno all’altro, non provocano anomalie gravitazionali), attorno ai quali si muovono altri 27 corpi celesti. Sebbene indizi certi dimostrano che il mio sistema vide il sorgere della vita in epoche che si perdono nella notte dei tempi, GAUSS è l’unico pianeta, sul quale furono rinvenute tracce della evoluzione di una razza il cui aspetto fisico era del tutto simile a quello terrestre.
Notizie risalenti a milioni di secoli prima che iniziasse la mia storia, descrivono G come un pianeta (Per quanto riguarda le condizioni attuali non mi è possibile averne un riscontro) avvolto da un atmosfera composta di vari elementi tra i quali l’ossigeno, nella quantità del 24,5%, l’azoto del 70,5%, l’idrogeno, anidride carbonica, ozono ecc. ecc.
Per quanto concerne il suo raggio equatoriale posso affermare, con sufficiente approssimazione, che tuttora debba essere calcolato attorno ai 162.271 Km terrestri.
In epoche lontane l’habitat di GAUSS era controllato da un così perfetto eco sistema da renderlo un vero paradiso; i suoi tre continenti, emergenti da un unico oceano, erano interamente coperti di lussureggianti foreste, di altissime montagne e vasti laghi d’acqua dolce.
Il suolo fertile, ricco di messi e di sterminati pascoli ubertosi, ospitava interminabili teorie di greggi. Dalle profonde foreste vergini, dove era possibile udire lo svolgersi della vita animale, libera e incondizionata, si levavano in volo frotte di uccelli dai più vivaci colori che popolavano e allietavano le riviere, i giardini e le dolci colline dei centri abitati, ed è per questa ragione che meritò l’appellativo di pianeta della pace, delle scienze e culla di una nobilissima civiltà che illuminava l’intero 7° Anello.
(Molto prima che iniziasse la mia storia, le cose sul mio pianeta erano notevolmente cambiate a causa di innumerevoli guerre che lo avevano deturpato. Tra gli errori più tragici che la scelleratezza degli esseri che popolavano il 7^ Anello ebbero a causargli, il peggiore fu la modifica dell’angolo del suo asse, la qual cosa, oltre che a mutarne l’orbita da ellittica in circolare, rallentò drasticamente il suo moto di rivoluzione con l’inevitabile riduzione della distanza dai i due soli. Ciò coincise con l’aumento della temperatura che determinò la totale scomparsa della vegetazione, quindi degli animali vegetariani e successivamente dei carnivori.
Altro tragico effetto fu l’evaporazione del grande oceano che in breve si ridusse ad lago talmente piccolo e così salato, da non occupare più del 0005% dell’emisfero Nord. Ovvero la parte non direttamente colpita dai raggi dei due soli
Quello che era stato l’emisfero meridionale si trasformò in un unica enorme fornace dove le temperature oscillavano tra i 212 e i 300 gradi Fahrenheit terrestri.
Di conseguenza, in seguito, anche il mio popolo subì notevoli mutazioni e i 5 milioni di esseri che, all’epoca dell'inizio della mia storia restavano del grande popolo, si erano raggruppati in poche città edificate attorno alla calotta polare artica, dove le temperature notevolmente basse consentivano un minimo di sopravvivenza.)
Godendo della capacità di utilizzare il 64% del potenziale cerebrale, (Che ci concesse la supremazia tecnologica e scientifica su di ogni altra razza appartenente al 7^ Anello) la mia razza offrì la sua intera conoscenza al benessere dell’intera galassia, ove una quantità innumerevole di razze diverse nell’aspetto e nello spirito, riuscivano a convivere pacificamente.
(Per mantenere quello stato di benessere, le autorità centrali si videro costrette a prendere severi e crudeli provvedimenti nei confronti di razze nomadi e di altre razze appartenenti a galassie meno fortunate, per scoraggiare mire espansionistiche.)
Mentre i popoli del 7° Anello si giovarono di quanto la mia razza metteva a loro disposizione, la mia gente non soltanto scelse di dedicare ogni suo interesse allo studio e alla ricerca, ma di rimanere al di fuori di qualsiasi bega politica, commerciale o militare che fosse.
Con il passare di innumerevoli generazioni e senza che nessuno se ne rendesse veramente conto, in alcuni esseri di G iniziarono ad affiorare capacità così elevate e sorprendenti da permetterci di utilizzare il 98% del nostro potenziale neuronico.
(Se si tiene conto che la maggior parte del mio popolo era in grado di sfruttare normalmente il 64% di quel potenziale, è indubbio come ciò ci elevasse oltre la condizione umana, ponendoci su un piano di pura forza energetica. Infatti, utilizzando quelle nuove capacità raggiungemmo limiti ritenuti fino ad allora inaccessibili. Le nostre menti furono in grado di impiegare una nuova energia, prodotta coscientemente dal nostro cervello, che ci permise di raggiungere l’elaborazione dei concetti fondamentali della creazione).
Ma se quella nuova capacità ci condusse alla scoperta che ogni nostra potenza risiedeva in un minuscolo componente del nostro cervello, al quale fu assegnato il nome di “Modulo”, nello stesso periodo di tempo in cui si concluse questa parabola evolutiva, si deve registrare una lenta mutazione dell’indole in tutto il mio popolo.
(Non è dato sapere con certezza quali e quante cause confluirono a produrre questa mutazione, ma è probabile che a determinarne l’irreversibile trasformazione concorsero vari fattori, tra cui le vicende non certo liete che accaddero in tutto l’impero del 7^ Anello.)
L’inizio di quello che possiamo definire l’atto conclusivo dell’evoluzione verso forme più elevate, si riscontrò presumibilmente con la morte di Simun V° l’ultimo illuminato imperatore del 7° Anello.
Infatti non appena sepolto e insediatosi alla guida dell’impero, il suo delfino, (Appartenente ad una delle famiglie più potenti, prepotenti, indisciplinate e riformiste di tutto l’impero) si determinò un cambiamento così radicale da sconvolgere l’intera galassia.
Sin dal primo giorno in cui la civiltà del 7° Anello aveva visto la luce e fino alla morte di Simun V°, la incontaminata bellezza del mio pianeta e la sua storia, che annoverava splendori signorili e umanistici, lo avevano fatto eleggere quale sede politica, scientifica e religiosa dell’impero, con l’avvento della nuova nomenclatura politica, avvennero molte trasformazioni a causa di leggi, emanate senza alcuna verifica, che seppero soltanto riacutizzare vecchi rancori.
Il più azzardato di questi ordinamenti, che abrogava ogni libertà di ordine religioso, dette la stura a migliaia di sommosse più o meno violente, ma tutte soffocate nel sangue.
Con un'altra dissennata normativa, la classe scientifica del mio pianeta, fu estromessa da qualsiasi mansione, relegandola ad una esistenza di vassallaggio fisico e psicologico.
Con l’avvento del nuovo corso in tutto l’impero iniziò un lungo susseguirsi di rivolte, guerre, invasioni e scorrerie da parte di razze che, con il pretesto della ribellione all'arrogante politica della nuova classe dirigente, si scatenarono principalmente contro il mio pianeta.
La prima invasione ad opera di una razza di esseri alati, giunse dal profondo spazio e rese in schiavitù il mio popolo fino ad allora vanto di tutto l’impero.
Probabilmente la ragione di quelle invasioni deve essere ricercata nel fatto che; essendo il mio popolo l’unico ad avere mantenuto le caratteristiche fisiche, mentali e spirituali degli Onn, suscitava risentimenti e timori.
(Durante il periodo in cui il 7^ Anello poteva essere considerato a ragione il paradiso dell’universo conosciuto, per centinaia di secoli erano stati effettuati studi approfonditi alla ricerca della matrice della vita e soltanto sul mio pianeta erano state rinvenute lievi, ma inequivocabili tracce della presenza degli Onn.
(Razza riconosciuta come la più antica in senso assoluto e senza alcun dubbio matrice della vita su tutti i pianeti abitati).
Di loro si conosceva soltanto quanto era rimasto registrato su alcuni cubi, di un materiale sconosciuto, che proiettavano, automaticamente e in tempi prestabiliti, immagini olografiche mostranti il loro aspetto.
Quei cubi erano stati rinvenuti all’interno di una mastodontica costruzione sepolta ad oltre dodicimila metri sotto la superficie del mio pianeta e narravano la storia di esseri capaci di spostarsi nello spazio e nel tempo con la sola forza della mente e della loro capacità di manipolare la vita controllando la morte).
Ma se per la mia gente riconoscere in quel popolo la propria identità originaria fu un atteggiamento storico e non una compiacenza, per moltissime altre razze fu motivo di rancori, gelosie e tendenze politiche che, innalzandosi a presunte dottrine di superiorità di razza, sfociarono inevitabilmente nella corsa al controllo di quella nobile stirpe.
Alla luce di ciò risultò inevitabile che la nuova casta dirigente, onde evitare che altre razze potessero impossessarsi delle potenzialità che avevano posto il mio piccolo popolo nella posizione più prestigiosa dell’impero, si schierò apertamente contro chiunque tentasse di impadronirsi di G, scatenando così l’intolleranza che spinse il 7° Anello verso una guerra che ebbe un costo altissimo.
Vennero immolate miliardi di esistenze e un numero inimmaginabile di pianeti furono irrimediabilmente devastati in una cruenta lotta che ebbe termine (Circa un millenni più tardi) quando le forze imperiali imposero la loro pace agli esseri alati e ai loro alleati.
Alla pace sarebbe dovuto seguire un periodo di transizione in cui ogni popolo avrebbe dovuto preoccuparsi di ricostruire ciò che era andato perduto, ma come spesso accade i vincitori adottarono politiche illiberali che innescarono nuovi e gravi motivi di dissenso. I quali, manovrati da abili mani, dettero il via ad altre rivolte più o meno grandi, più o meno violente, ma tutte rivolte contro il mio pianeta.
Da allora di scorrerie e di invasioni su GAUSS ve ne furono moltissime. E tutte con il loro triste seguito di devastazioni, massacri e annientamenti che ridussero gran parte del pianeta in un luogo sterile.
Alcune di quelle invasioni furono particolarmente feroci, come quella dei popoli Rurr, che lasciarono traccia nelle leggende e nella grande cisterna della memoria popolare.
Quella guerra coinvolse più o meno tutti i pianeti appartenenti al 7° Anello, molti dei quali, pur non condividendone i fini politici, si allearono ai Rurr al solo scopo di contrastare il dominio della politica imperiale.
Gli schieramenti contarono più di duecento milioni di miliardi di esseri di ogni razza che si fronteggiarono con ogni tipo di armamento. E quando la guerra terminò, (Probabilmente a causa dell’esaurimento del materiale bellico) il 7° Anello, stremato e senza più confini, cadde alla mercé di chiunque avesse voluto esercitare un po’ di potere.
Fu pressappoco in quell’epoca che alcuni popoli nomadi, (Tenutisi sempre a debita distanza dai confini dell’impero) non più frenati dal potere costituito, iniziarono a dilagare e ad invadere ciò che restava dell’impero, accanendosi in modo particolarmente feroce contro G (Ritenuto l’unico responsabile della loro condizione nomade e di ogni altro torto compiuto nei loro confronti)
Per centinaia di secoli il mio popolo dovette trasformarsi in un popolo di castori e di formiche, ricominciando a riparare le nostre città distrutte dopo che l’ultima scorreria era finita e le rovine ancora fumanti.
Le sofferenze e principalmente quella esistenza precaria, mutarono la nostra struttura cerebrale trasformandoci da gente semplice e dedita agli studi, in una nuova potentissima razza con spiccati interessi politici e militari.
In conseguenza del malessere che era dilagato in tutto l’impero, esplosero nuovi contrasti che sfociarono in una nuova guerra totale in cui al mio popolo non restò che subire imposizioni.
I millenni trascorsi a piangere sulle nostre tragedie avevano cancellato la grande capacità di amare che ci aveva sempre distinti. E perfino la sacra istituzione della famiglia perse ogni funzione, sacrificando tutto e tutti alla ragion di stato.
L’amore, che prima colmava i nostri cuori, cessò di far parte del nuovo modo d’essere, tanto che perfino il rapporto tra di noi fu improntato e regolato da codici e leggi inflessibili.
Da allora la vita del 7° Anello si svolse all’insegna della stabilità originata soltanto dallo strapotere della nostra nuova potente razza...
Ma se il nostro dominio si estese a macchia d’olio perfino oltre i confini della galassia, imponendo ovunque il nostro volere, in realtà non tutti noi riuscimmo ad adeguarsi al nuovo corso.
Infatti si levarono numerose voci che invitavano a riconquistare il concetto del rispetto e dell’amore.
Tutto ciò, invece d’indurre il nuovo ordine ad un ripensamento, provocò l’isolamento dei dissidenti, i quali, pur di continuare vivere nel rispetto dei codici Onn, si videro costretti a lasciare il nostro pianeta.
Ne seguì fu una vera diaspora macchiata di sangue, poiché il nuovo corso, per evitare quelle fughe, adottò pene talmente inumane da giungere perfino alla mutilazione dei lobi cerebrali e della ipofisi.
Storicamente non è dato conoscere il numero esatto di quanti incorsero nei rigori di quella legge, ma una prudente stima riferisce che furono milioni gli individui catturati e puniti.
Per la verità neppure coloro che riuscirono ad allontanarsi furono in grado di vantare una vera vittoria, poiché con la patria persero anche le loro identità, giacché ovunque andarono e qualunque tipo di vita contattarono, non furono mai veramente padroni di pilotare i loro destini verso destinazioni liberamente scelte.
(Notizie riguardanti i gruppi che raggiunsero galassie distanti migliaia di anni luce dal nostro pianeta narrano che nel ciclo di alcuni secoli, in quella gente scomparve quella sorta di indipendenza interiore che ci aveva sempre distinti)
Tra coloro che in epoche diverse riuscirono ad abbandonare il pianeta, quello che interessa più da vicino la mia storia è l’avventura di un gruppo di uomini e donne che, pur appartenendo alle quattro classi sociali, sembra non fossero in grado di sostenere un contatto cosciente con il "Modulo".
(La terminologia terrestre definisce con quel sostantivo la misura sulla quale si basano alcune caratteristiche compositive di un’opera d’arte e sebbene nella terminologia del lio popolo la definizione "Modulo" equivalesse ad un concetto pressappoco simile, fu adottato per indicare quell’organo, presente in ogni razza dotata di intelligenza, al cui interno la natura ha provveduto a registrare ogni codice universale e con il quale soltanto pochissimi di noi erano in grado di avere un rapporto incondizionato tramite una particolare emissione energetica prodotta dallo stesso elemento.)
Il gruppo, utilizzando una nave stellare di costruzione extra GAUSSIANA, si allontanò dal pianeta dirigendo verso il punto conosciuto dalle mappe con la sigla [A].B.S.00.01 e com’era prevedibile furono intercettati da osservatori della nuova federazione, che imposero loro l’ordine di rientro sul pianeta.
A quel punto, dopo una rapida consultazione, i responsabili della comunità scelsero di non dare seguito all’ordine, ma di rischiare il tutto per tutto in una folle corsa a velocità di fuga, che si concluse quando la nave si addentrò in una galassia non identificata dalle mappe in dotazione.
Ridotta la velocità i sistemi di controllo iniziarono la ricerca di un sistema stellare che potesse offrire caratteristiche simili a quelle di G e poiché le prime ispezioni evidenziarono che nessuno dei 68 milioni di sistemi dotati di stelle multiple era in possesso di quelle qualità specifiche, fu allargato il campo di osservazione che li portò all’identificazione di una stranezza cosmica, ovvero due minuscoli sistemi periferici, ruotanti attorno a due giovani stelle gialle di media grandezza, che oltre ad essere in opposizione l’uno all’altro, distavano entrambi 33.000 anni luce dal centro della galassia.
Ma la stranezza superava ogni immaginazione quando si resero conto della loro assurda similitudine
Infatti non soltanto si rivelarono dotati ognuno di 10 pianeti, ma la loro collocazione astrale era talmente inconsueta da renderli invisibili l’uno all’altro.
A completare il quadro delle stranezze fu la conferma che soltanto uno di quei venti pianeti sembrava essere in possesso di caratteristiche che avrebbero potuto condurre al sorgere della vita.
Alla luce di quell’ultima indicazione fu scelto di effettuare analisi più dettagliate e così, dopo un altro balzo a velocità di fuga, che pose la nave in un orbita interna del sistema, collocato a Sud del centro della galassia, (Riferimento ottenuto calcolando la deriva in contrapposizione della collocazione astrale di GAUSS) iniziando il rilevamento dei dati.
Tra le decine di migliaia di analisi positive sintetizzate dall’elaboratore, soltanto tre risultarono potenzialmente negative, ma tanto bastò a far pendere la bilancia verso una rinuncia alla discesa sul pianeta.
La prima di queste analisi confermò la differente interazione tra le radiazioni elettromagnetiche e cosmotelluriche prodotte naturalmente dal pianeta, (7,83 hertz) e il sistema bioelettrico dei loro corpi. (Per la precisione, la diversità tra la frequenza dei loro corpi e quella prodotta dal pianeta era di circa + 0,003 hertz)
La seconda, che segnalava nell’atmosfera del pianeta una percentuale di azoto più alta, rispetto a quella del nostro pianeta avvalorò l’ipotesi di probabili difficoltà al normale sviluppo della loro vita biologica nei primi anni della crescita.
La terza, che tra l’altro registrava una temperatura media dell’aria (A livello del mare) di circa 8/ya (Pari a 18\20 gradi centigradi terrestri) più elevata delle zone abitate del mio pianeta, (Questa situazione venne presto modificata quando i sistemi automatici, allineati su comparazioni rimodulate, identificarono nell’emisfero Nord del pianeta alcune zone in cui la temperatura scendeva fino a raggiungere i livelli pressappoco identici a quelli ai quali erano abituati i loro corpi) in pratica determinò la rinuncia definitiva al pianeta quando fu definita l’ingente quantità di acqua di cui disponeva il pianeta.
(È bene ricordare che nelle zone abitate del pianeta GAUSS, tutte situate ad altitudini varianti tra i 6/8 mila metri di quota, l’acqua era conosciuta sotto il suo aspetto solido o al massimo poteva essere osservata nei bacini di raccolta, che se pur vasti, non superavano superfici superiori ai 4/5 mila metri quadrati)
Ma quando era ormai tutto predisposto al nuovo balzo, accadde qualcosa che modificò la situazione.
(Gli elementi in mio possesso non chiariscono la causa che determinò quella decisione, ma è probabile che fu la conferma che sul quel pianeta aveva avuto inizio la vita, partorendo un umanoide dal portamento eretto e molto vicino al nostro metabolismo, dovette sconvolgere un po’ tutti)
E tanto bastò perché i sistemi stazionassero la nave in un orbita di parcheggio attorno al pianeta.
Dal giorno di quella scoperta trascorsero decine di mesi in confronti e analisi sui pro e i contro e alla fine fu deciso che la nave avrebbe proseguito il viaggio.
Ma era destino che non dovessero allontanarsi dalla Terra, poiché nell’istante in cui la nave fu pronta al lancio in una traiettoria che l’avrebbe condotta verso la periferia della galassia, si verificò l’unica circostanza in grado di porre la parola fine alla prima parte della nostra odissea. Ovvero l’entrata in stallo del sistema di propulsione.
(Non vi sono prove certe che possano affermalo, ma un antico documento risalente ai tempi dell’esodo, riferisce di alcuni casi in cui fu verificata una caduta energetica del propellente – URTHORIO – addebitandone la causa ad alcuni agenti, non identificati, ristagnanti nell’atmosfera di pianeti molto giovani)
Ovviamente l’impossibilità di disporre di altre riserve di propellente (Forse anche a causa di una certa stanchezza psicologica) convinse il governo della comunità, composta ormai di ventimila unità, a programmare una immediata discesa sul pianeta dove erano state rilevate più evidenti le caratteristiche proprie del sistema di vita umana. E quando finalmente l’enorme nave si posò sul suolo di una immensa isola posta al centro d’un vasto oceano, il nostro viaggio ebbe termine.
Altri documenti magnetici, rinvenuti nella città segreta, descrivono quel sito come una delle poche aree disabitate del pianeta, ma l’unica nelle cui viscere fosse stata rilevata la presenza di una modesta quantità di una sostanza gassosa (Alla quale fu attribuito il nome di Helios_3.2) in grado di alimentare l’ultimo impianto funzionante per la produzione di energia subatomica stabile.
Su quell’isola, che occupava un vasto spazio dell’emisfero Nord tra il continente europeo e quello americano, (Oggi parte della Dorsale Media Atlantica) e alla quale fu assegnato il nome di YOYKOS, (Definizione che nell’antico lessico G può assumere vari significati tra cui casa, frontiera o addirittura nome di persona se sull’ultima vocale cade un accento cupo) edificarono la nostra prima città utilizzando gran parte delle strutture della nave stellare.
Mentre sull’isola si verificavano i fatti appena narrati, a qualche migliaia di chilometri di distanza, (Su quelli che sarebbero poi divenuti il continente Eurasiatico e Africano) gli scarsi indigeni che lo abitavano erano così duramente impegnati a sopravvivere tra difficoltà di ogni genere, che forse non ebbero il modo di accorgersi della discesa dal cielo di una sfera incandescente.
Interpretando liberamente altri documenti, si ritiene (Ma la notizia non è confortata da prove) che negli anni che ebbero a seguire, alcuni di quegli indigeni (Si suppone possa essere avvenuto casualmente) vennero in contatto con la nostra civiltà che visse e prosperò sull’isola per millenni.
(Forse si trattò soltanto di un caso, ma il fatto che dopo un viaggio di migliaia di anni luce quella nave fosse stata costretta ad atterrare sul pianeta Terra, imponendo così a ventimila miei confratelli l’habitat terrestre e considerando inoltre quale orientamento presero gli eventi successivi, si ha l’impressione che qualcuno desiderasse che tutto ciò accadesse.)
Trascorsero i millenni, ma se a causa delle civiltà contattate il mio popolo sparso in altre parti dell’universo non si resero mai veramente conto di perdere il concetto di patria e i ricchissimi contenuti delle nostre memorie, agli esuli sulla Terra accadde l’esatto contrario, poiché non soltanto mantennero vivi gli usi, le tradizioni ed ogni altro ricordo della loro patria, ma nacque in loro fortissima la vocazione del ritorno.
Con il tempo quegli stessi esseri pelosi che popolavano la Terra all’epoca in cui scese il mio popolo, acquisitarono la coscienza delle loro maggiori attitudini rispetto alle altre razze viventi sul pianeta, progredirono fino configurare quella società che oggi governa le esistenze di questo pianeta.
Sfortunatamente non esistono testimonianze in grado di chiarire i reali motivi che determinarono l’abbandono dell’isola di YOYKOS, (Di cui oggi non vi è più traccia) ma se è certo che una volta lasciata l’isola il mio popolo si mescolò alle popolazioni indigene sparse su quasi tutti i continenti, il rinvenimento casualmente di un documento lascia supporre che circa 7600 anni fa, (Subito dopo l’ultima era glaciale) forse a causa dell’enorme massa d’acqua, dalla forza spaventosa (Pari a dieci mila cascate del Niagara) che si riversò nell’oceano Atlantico e quindi nel Mediterraneo, il livello dei mari si innalzò di alcune centinaia di metri sommergendo la grande isola assieme a gran parte del continente eurasiatico e quello medio orientale.
(Lo stesso documento, riferendo che questa situazione ebbe a protrarsi per oltre seicento giorni, lascia che alla mente torni il ricordo di due eventi che appartengono all’immaginario dell’intera umanità; il diluvio universale e la leggenda mitologica di Atlantide. Ed è alquanto strano che l’abbandono di YOYKOS sia coinciso con la scomparsa di Atlantide dalla faccia della Terra.)
L’unico dato certo di cui si dispone è che il mio popolo, una volta lasciata l’isola, si unì, nel rispetto dei loro codici morali, alle popolazioni indigene senza mai interferire (Tranne una o due volte) in quello che fu il naturale sviluppo della società terrestre.
Uno degli ultimi gruppi che lasciarono YOYKOS, trascinandosi dietro quanto erano riusciti a salvare della nostra civiltà, raggiunse (Dopo un viaggio di alcune decine di anni attraverso il continente europeo e il nord America) la parte meridionale del continente americano, dove, in un oasi inaccessibile di una valle del fiume Popuri, (Zona che alcuni millenni più tardi sarebbe divenuta la frontiera tra il Brasile e la Columbia) vi edificarono una nuova città, che, protetta dai nostri poteri e da un alta tecnologia, non fu mai rintracciata. (E da quanto mi è dato sapere deve essere ancora li)
Nei primi anni del sedicesimo secolo, la mia gente dette vita ad un progetto che offrì, ad ogni discendente del appartenente al mio popolo, la possibilità di riunirsi in un gruppo omogeneo per dare inizio ad un piano che prevedeva il ritorno su G.
Naturalmente, per evitare che ciò potesse creare imbarazzo, fu lasciato ai singoli la scelta della decisione.
Quella soluzione evitò un nuovo e doloroso esodo e quando alcuni decenni più tardi le porte della città segreta si chiusero alle spalle dell’ultimo GAUSSIANO che aveva accettato di farne parte, (I residenti non superavano le centomila unità) iniziò la realizzazione del progetto “Ritorno”.
Sebbene le nostre menti esprimessero ancora imponenti capacità, l’ambizioso progetto, che prevedeva la realizzazione di un amplificatore di segnali neuronici, capace di raggiungere i confini di G, doveva considerarsi di proporzioni gigantesche considerati i problemi tecnologici da risolvere.
In pratica si trattava di realizzare una struttura di dimensioni ridotte, ma in grado di elaborare migliaia di milioni di operazioni.
Il primo problema fu di selezionare una équipe capace di decifrare codici ormai quasi dimenticati.
Il secondo fu di rintracciare, negli archivi mnemonici dei singoli abitanti la città, ogni notizia relativa all’esatta collocazione astronomica di GAUSS.
Per questo compito vennero costituiti gruppi di ricercatori della scienza dell’anima, (Secondo l’etimo greco) i quali, possedendo un notevole vantaggio rispetto agli studi che in seguito avrebbero guidato Gustav Fechner, Binet e Plavlov, seppero svincolare la ricerca dalla filosofia da tutte le ipoteche metafisiche.
Da allora trascorsero lunghi anni di studio e sacrifici durante i quali il progetto iniziò a prendere forma, ma quando giunse il momento di sottoporre il progetto al collaudo finale e ciò si verificò la notte del 10 Agosto del 1916, mentre i popoli della Terra si confrontavano in una atroce guerra, tutto quel gigantesco apparato cessò di avere importanza nell’istante stesso in cui l’amplificatore intercettò un segnale energetico di un laboratorio automatico G, il quale, penetrato nell’ammasso stellare contraddistinto dal sigla [Y]S11.10A3.A, (In parole povere la Via Lattea) stava effettuando rilevamenti di carattere scientifico.
Da quel preciso istante, tra la città segreta e il laboratorio automatico, iniziarono operazioni di interfacciamento che richiesero la realizzazione di nuove tabelle comparative e l’evoluzione di nuovi linguaggi concettuali.
A risolvere definitivamente il problema fu il laboratorio, il quale, rivoluzionando un sistema binario nel quale concatenò calcolo differenziale e frequenze musicali, consentì alle due parti un’intesa prossima al 100%.
Tramite quel codice gli abitanti della città riferirono a G la loro storia e il desiderio di rientrare in patria. Ma com’è facile immaginare, quel messaggio creò reazioni talmente diverse da suggerire al C. di R. l’invio sulla Terra di una risposta che, pur prevedendo una operazione di rientro su G, in pratica ne condizionava l’attuazione alla elaborazione di un progetto da mettere a punto.
In realtà le cose presero una piega assai diversa, poiché il Consiglio di Reggenza programmò l’inserimento di una stazione artificiale nell’orbita di un pianeta (Il gemello della Terra) la cui posizione astrale, diametralmente opposta a quella della Terra rispetto al sole, lo rendeva assolutamente invisibile e dal quale alcuni osservatori scesero, inosservati, sul nostro pianeta per analizzarne ogni aspetto.
Dalla notte in cui si realizzò il primo contatto, trascorsero venti anni prima che G riprendesse i contatti con il pianeta Terra e fu allora che gli esuli seppero quanto era accaduto al pianeta dei loro padri. (Ma nessuno disse loro che quelle notizie erano ampiamente incomplete)
(Fin qui sono state riportate notizie, attinte dagli archivi della città segreta, riguardanti la storia del pianeta G e di coloro che scesero sulla Terra. Ciò che segue sono appunti estratti dalla relazione trasmessa da G alla Terra il 19 Giugno 1939; inizio trasmissione ora terrestre 07,30)
Quei mutamenti verificatisi nella loro indole li aveva stimolati a riconquistare ciò che era stato l’impero del 7° Anello e seguendo una nuova logica dominante, fu riplasmato e suddiviso in federazioni asservite ad un potere centrale.
E fu proprio quella capacità di guida che fornì l’alibi per la fondazione di un nuovo movimento politico – religioso – culturale, che predicando il totale abbandono della cultura Onnica, alla quale veniva addebitata ogni responsabilità per quanto aveva subito la loro razza, rese potente la nuova struttura sociale.
Certamente in epoche precedenti tutto ciò non si sarebbe potuto verificare, ma quel nuovo potente ego che ormai li dominava, seppe trasformare il fantasma del loro inconscio collettivo da figura astratta e perdente, a figura concreta e vincente.
Da allora la nazione crebbe e si rafforzò grazie ai nuovi poteri e ad una nuova arma. (Mai citata nei rapporti inviati alla Terra e che in seguito causò loro grossi guai.)
Per la verità, quella che abbiano appena definito arma, per sua stessa natura risultava essere assolutamente aliena a quanto fino ad allora era stata concepito con quel termine. Ciò nonostante, in qualsiasi modo la si volesse definire, in pratica si basava su tre sole caratteristiche
I^ Non ammetteva per principio la sconfitta.
II^ Era assolutamente fedele.
III^ Era irragionevolmente crudele.
Contro quell’arma fallirono tutte le difese conosciute e da quando iniziò ad operare, i circa duecento milioni di sistemi solari facenti parte del 7° Anello, furono riplasmati e modificati secondo schemi elaborati dalle menti di GAUSS.
(Ciò che segue è la sintesi di alcune relazioni di cui non è mai stato possibile attribuirne la paternità)
A dispetto dell’ordine imposto dal nuovo corso, non tutti i G si mostrarono favorevoli al rientro di quel gruppo di barbari della Terra, (Quell’aggettivo fu utilizzato quando si conobbe essere di oltre un milione di secoli il ritardo che separava le due civiltà) e ciò fu sufficiente a dar vita a due tendenze; i favorevoli al rientro e i contrari.
I favorevoli (La minoranza) giustificavano la loro scelta con la possibilità che in quel popolo fosse sopravvissuto lo spirito onnico.
I contrari invece ne davano per scontata l’immaturità, addebitando loro la responsabilità d’aver già, con la loro richiesta, indebolito lo stato forte.
Oltre alle due suddette fazioni esisteva un’altra frangia politica, (Che potremmo definire occulta, ma in grado di controllare parte dei componenti del Consiglio di Reggenza) la quale, ravvisando la possibilità di realizzare l’antico progetto di portare su G individui di sesso femminile, (Con l’evidente scopo di dare nuova linfa alla razza) non tardò ad attivarsi.
Ma poiché tra le due fazioni ufficiali si accesero contese che durarono anni, (Senza mai raggiungere un vero accordo) fu deciso il ricorso ad un plebiscito che, ben pilotato della frangia occulta, (Tutto l’universo è paese) condusse i favorevoli verso una schiacciante vittoria.
In conseguenza di ciò, ascoltato il parere dei Sistemi di programmazione e del consiglio, il Reggente suggerì d’inviare sul pianeta Terra l’unico essere in grado di mantenere nel tempo l’aspetto fisico.
La scelta di quell’essere, ovvero me medesima, (Tenuta lontano da GAUSS a causa della mia nascita, avvenuta in conseguenza di un rapporto fisico non autorizzato tra due esseri di sesso diverso) pur essendo in realtà l’unico essere ad avere buone possibilità di inserirsi nella struttura sociale terrestre, (Dove la procreazione avveniva ancora per effetto di rapporti sessuali tra maschio e femmina) scatenò una nuova battaglia silenziosa. Ovvero; i contrari riuscirono ad inserire nel programma potenti segnali di disturbo al fine di far fallire la missione, i favorevoli, preoccupati che la scelta del viaggiatore potesse compromettere l’esito della missione, (A causa della sua natura) pretesero l’innesto, nel programma di base, di pregiudiziali limitative.
Gli unici a non partecipare apertamente a quella bagarre furono i componenti della frangia occulta, ma che comunque inserirono i loro ordini nel programma.
In poche parole, chi per un motivo e chi per un altro, nessuno condivise la scelta d’inviare me sulla Terra, trannQuel temutissimo essere dalle sembianze umane, ossia me medesima, giudicato pericoloso dall’etica del mio popolo, non era altri che una cuccioa di otto anni di età dal nome piuttosto insolito. (Il nome mi era stato impresso sull’addome da mia madre subito dopo la nascita)
Io ero il risultato di un rapporto sentimentale (Tanto raro quanto vietato da severe leggi) di due esseri, i quali, non desiderando avere un figlio manipolato dai Sistemi di Controllo, disobbedirono e, riacquistato segretamente l’aspetto fisico, si unirono in un rapporto sessuale da cui ebbe origine il concepimento.
Mia madre morì di parto, mentre mio padre, delfino designato alla sostituzione del Reggente, scampò alla pena prevista dalle leggi.
Quanto a me, non appena fui rintracciata tra le braccia di mia madre morente, venni consegnata alla legge e sottoposta ad un sommario processo, dal quale ne scaturì l’inevitabile condanna alla soppressione.
Condanna che non fu eseguita per il semplice motivo che qualcuno rispolverò una norma di attuazione della stessa legge, (Della quale si era persa memoria, ma mai abrogata) la quale negava il consenso giuridico alla soppressione di un essere vivente, se non dopo aver raggiunta l’età per comprendere le motivazioni della sentenza.
Dal momento che per rendere esecutiva la sentenza sarebbe dovuto trascorrere un tempo considerevole, il Consiglio di Reggenza deliberò che fossi addestrata e assegnata a svolgere quei compiti non propriamente legati all’etica Onnica.
La vera ragione di quella scelta, (Ovvero tenermi il più lontana possibile dal mio pianeta) non fu soltanto la conseguenza della mia nascita innaturale, ma principalmente per il timore che suscitò quando fu chiaro che oltre ad essere in possesso di nuove ed elevate capacità mentali, disponevo di potenzialità energetiche tali da sovvertire ogni legge universale conosciuta.
Compatibilmente con quanto riportato dagli innumerevoli rapporti pervenuti dal pianeta Terra, per la mia missione fu realizzato un programma di tipo KE. (Programma che prevedeva l’adattamento psico/fisico per ognuno degli stati comportamentali e mentali previsti nella società terrestre)
Tra le innumerevoli informazioni che mi furono registrate nella mente, spiccava il pericoloso esponente N (Introdotto segretamente dal gruppo dei contrari alla missione) al quale era stato assegnato, tra l’altro, il compito di rendere impossibile la rimozione automatica dello status di base. La qual cosa non soltanto mi avrebbe causato dolori fisici di notevole entità, ma avrebbe generato nel mio subconscio una seconda pericolosissima personalità che si sarebbe contrapposta alla prima.
Infine la frangia occulta registrò nella mia mente un secondo programma, (Inaccessibile ad ogni chiave di lettura) il quale, oltre che utilizzare la mia stessa energia vitale, (Energia modulata) con lo scopo di scompaginare i piani dall’esponente N, al compimento del diciottesimo anno di età mi avrebbe imposto di condurre sul mio pianeta le sole femmine in possesso dei requisiti previsti da alcuni test predeterminati.
Ignara di quanto stesse accadendomi, mi preparai diligentemente sostenendo migliaia di analisi ed ogni altra terapia prevista dalle procedure e quando finalmente i miei tormenti ebbero termine e fui ritenuta pronta ad essere trasferita sulla Terra, mio padre, il Reggente, chiese di vedermi.
Trascorsi nella casa di mio padre (Edificata sulla montagna più alta del pianeta) sei giorni e sette notti, ma di cosa ci dicemmo o facemmo nessuno ha mai avuto notizia, nemmeno io.
A proposito di quell’incontro nacquero un’infinità di leggende che (Alcune delle quali veramente fantasiose) indicavano in me l’ultimo discendente degli Onn.
Naturalmente si tratta soltanto di fiabe, ma ciò che sembra degno di attenzione è la storia nella quale si narra che quando lasciai quella casa, nella mia mente vi fossero tre programmi.
La leggenda prosegue riferendo di una profezia, incisa sulla parete della montagna, che avrebbe previsto che se qualora in me si fossero verificate determinate ricorrenze, quell’ultimo programma mi avrebbe aiutata ad opporre una valida barriera ai crudeli effetti dell’esponente N e a quanto disposto dalla frangia occulta.
Per concludere sembra doveroso riferire di una annotazione, rinvenuta a piè di pagina di un documento d’incerta provenienza, che facendo esplicito riferimento alla menzionata predizione chiude con una considerazione;
“...ma affinché quest’eventualità possa concretizzarsi, la ragazza dovrà avvalersi di uno strumento forgiato di un insieme di fattori morali, spirituali e intellettuali; qualità che all’atto del trasferimento sulla Terra risultano essere totalmente estranei al suo ego GAUSSIANO.”
Ed ora eccomi qua… sarò capace di condurre in porto il progetto che mi è stato affidato?

view post Posted: 15/12/2020, 09:52     Artù, il mio amico - Narrativa



Artù, il mio amico - FIABE 3




Oggi voglio raccontarvi una storia che forse arrivò ai giorni nostri ma di cui nessuno ne ha mai sentito parlare… Avalon, dove dorme re Artù.

Sapete cos'è Avalon? (Il brontolone c'è stato) Vi abitavano i Celti... un popolo importante... ma state a sentire... E godetevi Enya, la più bella voce Celtica.

C'era una volta un'isola...per la verità c'è ancora, ma nessuno sa dove sia finita...Ora voi direte che un'isola non può sparire, e invece vi sbagliate e ve lo dimostrerò...Però prima fatemi fare una breve cronistoria di quella parte di umanità che nei secoli passati ha ospitato tra le più belle leggende della cavalleria...la Gran Bretagna.

Questa fiaba è dedicata a tutti gli amici di Armia... L'ho tratta dagli archivi di "APOSTROFO" (poi un giorno vi racconterò cos'era "APOSTROFO"...

Ebbene iniziamo con il dire che la storia dell'uomo in Gran Bretagna si perde nella notte dei tempi tra invasioni, guerre e domini, come quelle dei Celti dei Vichinghi e dei Romani.

Nel 43/44 d.C. la Gran Bretagna fu conquistata e sottomessa dall'impero romano, che nel breve volgere di una decina d'anni, da vita ad una relativamente tranquilla provincia di Britannia, ma quando nel 407, le legioni romane tornano sul continente per combattere le invasioni barbare, allora per quella provincia iniziano i veri guai, invasioni soprattutto, che nonostante una resistenza disperata (e qui nasce la leggenda di re Artù), i bretoni sono sottomessi dai conquistatori germanici (sassoni e angli) e il territorio si divide in sette regni, che soltanto nell'825 Egberto riunisce a favore del Wessex.
Secondo l'antica leggenda, nell'anno 537, Artù muore e viene sepolto sull'isola di Avalon, (che la leggenda popolare vuole situata 11 miglia a nord-ovest di Cadbury) assieme a Ginevra, la moglie infedele, e al suo esercito di cavalieri dalle armature scintillanti.

Ed ora veniamo alla nostra storia...Si racconta che poco meno di mille anni più tardi, su quell'isola da sempre sonnacchiosa e alla quale qualcuno cambiò nome, (e che per questa ragione chiameremo isola della montagna verde) viveva un giovane che era il settimo di sette figli di un pastore brettone.
Per la verità lui ce l'aveva un nome, non uno di quei bei nomi importanti, ma semplicemente Robin.
Personalmente non ci credo perché sono un invidiosissimo figlio unico, ma qualche buontempone racconta ancora che da quando il mondo è mondo, quei settimi figli ricevano una speciale benedizione delle fate, e pensate un po', sulla quarantanovesima parte del loro corpo. (Chissà poi perché soltanto sulla 49ma...e non di più o di meno, mah!)

Ora, essendo Robin al corrente di quella panzana ben raccontata che si tramandava sull'isola delle fate di generazione in generazione, un giorno decise di lasciare la sua casa, per andare a far fortuna nella terra dei Celti oltre il vallo di Adriano, nel Nord della Gran Bretagna.
Il ragazzo ci si mise di buzzo buono, lavorò come un forsennato per oltre un anno, e racimolato un piccolo gruzzolo, attraversò la sua isola con indosso le uniche cose che possedeva; un paio di sandali, un paio di brache (vorgalmente soprannominati anche pantaloni) una casacca di pelle di daino e una borsa che teneva appesa al collo, con i pochi spiccioli che possedeva.
A circa metà strada fu colto da un temporale con lampi e fulmini, e un pastore gli chiese un aiuto per ricoverare il gregge nell'ovile.
Grato dell'aiuto il pastore lo pregò di restare suo ospite per quella notte, offrendogli una cena a base di pane formaggio e birra.

Il giorno successivo il pastore chiese a Robin se avesse voluto fargli il favore di portare un gregge di pecore nella città degli uomini dai capelli color dell'oro, città che si trovava alcune leghe oltre la grande muraglia che ancora all'epoca qualcuno riconosceva come il vallo di Adriano.

«È un piccolo gregge che non ti darà fastidio, ed io mi fido di te ragazzo, hai gli occhi chiari e la testa sulle spalle» disse l'uomo «mi consegnerai il denaro quando ripasserai da queste parti, inoltre, da quanto mi hai raccontato, sei il settimo di sette figli, e questo fa di te un sicuro giovane fortunato. Con un buon cane e un bastone in mano saresti il principe dei pastori. Il cane se lo vuoi te lo regalo io, ma non so dove andare a trovare un bastone adatto a te»
«Non ho bisogno di cani, e lascia che al bastone ci pensi io» disse il giovane.
Si arrampicò su di un poggio e tagliò da un ramo di quercia il più bel bastone che si potesse trovare. Non aveva né incrinature né fessure, era alto e flessibile e allo stesso tempo così forte che i bastoni che aveva lasciato ai suoi fratelli somigliavano a pagliuzze consumate, ma soprattutto era di un verde fuori del normale.

Salutato il pastore riprese il cammino assieme al suo piccolo gregge, riuscì a farsi trasportare con tutto il gregge oltre il braccio di mare, dove finalmente, qualche tempo dopo, consegnò il gregge al destinatario nella città degli uomini dai capelli d'oro. Gli fu pagato il prezzo pattuito che nascose nella sacca di pelle che aveva appeso al collo, e cominciò a gironzolare per la città, ma mentre se ne stava pensando a ciò che avrebbe dovuto fare, un uomo lo fermò domandogli da dove venisse.
«Dall'isola della montagna verde» rispose lui semplicemente, e questo perché il pastore gli aveva raccomandato d'essere molto prudente in terra straniera.
«E come ti chiami?» chiese l'uomo.
«Mi chiamo col nome che mio padre mi ha dato»
«Immagino che anche il tuo bastone venga di la»
«Certamente!»
«E tu sapresti ricordare dove si trova l'albero da cui l'hai preso?»
« forse si o probabilmente no!»
«Che ne diresti se ti raccontassi che con questo bastone potresti guadagnare oro e argento?»
«Penserei che siete una persona che ha voglia di scherzare»
«E faresti male a pensarlo!» disse l'uomo «Ascolta attentamente, io conosco la tua isola e riconosco in questo bastone una certa quercia tra le cui radici potrebbe essere stato nascosto un grande segreto e un immenso tesoro»
E raccontò di una certa quercia cresciuta in un luogo solitario e protetta dalle fate dell'isola.
«Se mi ci porti, ed è la quercia che tutto il mondo sta cercando, avrai la tua parte di tesoro»
«O che dite? Vi ci porto su du piedi, e se vi par poco, vi ci porto anche in collo!»
disse il giovane. «Son venuto apposta per fare fortuna!»

Senza bisogno di aggiungere altro partirono alla volta dell'isola verde che raggiunsero qualche tempo dopo.
Dopo alcuni giorni di cammino il giovane indicò all'uomo dove aveva tagliato il suo bastone.
Era un ramo cresciuto su una vecchia quercia che dominava una vasta collina; si vedeva ancora la parte tagliata, gialla come oro e larga come un grosso fagiolo.
Mentre l'uomo iniziò a scavare con buona lena, Robin si recò a versare al pastore il dovuto della vendita del gregge.
Quando tornò alla quercia l'uomo aveva già portato alla luce una grossa lastra di pietra scura. Sollevata la pietra videro un passaggio nel quale, in lontananza, si scorgeva un bagliore.

«Vai avanti tu» disse Robin all'uomo, poiché è buona regola che un abitante dell'isola verde debba essere sempre prudente.
S'infilarono nel corridoio e si diressero verso la luce.
A metà del lungo tunnel videro penzolare dal soffitto una grossa campana di bronzo. L'uomo si fermò e voltandosi verso il ragazzo disse:
«Per nessun motivo devi far rintoccare quella campana, altrimenti potrebbe accadere una disgrazia»

Poco dopo raggiunsero la parte centrale della grotta.
Era una sala immensa, talmente spaziosa da non riuscire a vederne i contorni, e quel che più sorprese il giovane Robin fu ciò che vide in quel luogo: era pieno di guerrieri dall'armatura scintillante, stesi a terra e addormentati. Essi formavano un primo cerchio esterno di migliaia di uomini, e uno interno di centinaia, le teste rivolte verso la parete di roccia, i piedi allungati verso il centro. Ciascuno di loro aveva una spada, uno scudo, una scure da guerra e una lancia, e più distanti c'erano i loro cavalli.

Beh...immagino vi domanderete come i nostri due riuscissero a vedere tutto così chiaramente?
Ebbene, le armi e le armature dei cavalieri scintillavano come torce, e le bardature dei cavalli brillavano di una luce simile a quella della luna in una notte d'autunno.
Al centro dei due cerchi c'era un cavaliere con in testa una corona tempestata di gemme e tra le mani una enorme spada.

«Non toccare quella spada,» lo ammonì l'uomo «potresti rischiare di bruciarti. Quella spada possiede un potere magico, e può essere brandita soltanto da Artù»
Al giovane non sfuggì che nella grotta c'erano grandi mucchi di monete d'oro e d'argento e stava per raccoglierne, quando l'uomo lo consigliò di attendere un istante.
«Prendi da un mucchio oppure dall'altro» lo avvertì «ma non prenderne da entrambi»
Il ragazzo dimenticò subito la corona e la spada e si riempì tasche, taschine, borse e boselli di monete d'oro finché non riuscì a portarne nemmeno una in più.
Con sua sorpresa l'uomo non prese nulla
«L'oro e l'argento non rendono saggi» disse
Al ragazzo, però, questo sembrò più presunzione che saggezza; tuttavia non disse nulla e insieme si avviarono verso l'uscita.
L'uomo gli ricordò di fare attenzione a non sfiorare la campana.
«Cosa potrebbe accadere?» chiese Robin
«Ce la potremmo vedere brutta se uno o più guerrieri si svegliassero
«Potrebbero svegliarsi? Oh per S.Patrizio, e che gli accadrebbe?»
«Beh...se alzassero la testa chiedendo «È questo il giorno?» e gli rispondessimo «No, continuate a dormire», probabilmente riabbasserebbero la testa e noi potremmo andarcene in santa pace»
«Con tutto l'oro?»
«Sissignore, con tutto l'oro» rispose l'uomo

E così accadde. Il ragazzo si era riempito le tasche d'oro a dismisura e non riuscì a oltrepassare la campana senza toccarla con il braccio.
Il suono destò uno dei guerrieri, il quale alzò la testa e chiese:
«È questo il giorno?»
«No» rispose il giovane «continua a dormire»
Subito il guerriero abbassò la testa e si addormentò.

I due riemersero alla luce del sole non senza prima essersi voltati indietro a guardare, poi rimessa la pietra al suo posto. l'uomo salutando il ragazzo gli disse:
«Usa bene la tua ricchezza e vedrai che ti basterà per tutta la vita. Se però vorrai tornare a prenderne dell'altro, e suppongo che lo farai, attingi solo dal mucchio d'argento...e ricorda di non far suonare la campana, ma se dovesse accadere e un guerriero ti chiedesse: «La corona è in pericolo?», devi rispondere: «Non ancora, dormi!»
«Grazie amico, mi atterrò ai tuoi consigli»
«Però mi raccomando, per nessun motivo dovrai tornare una terza volta nella grotta»
«Lo farò...Ma ora toglimi una curiosità, chi sono quei guerrieri?» chiese il giovane. «E chi è quel cavaliere con la corona che dorme?»

«È il rè Artù, e intorno a lui ci sono gli uomini dell'Isola dei Potenti. Dormono con i loro cavalli e le loro armi in attesa del giorno in cui la terra e il cielo risuoneranno del rumore di un esercito che vorrà invadere la nostra terra, e sarà allora che la campana suonerà; i guerrieri guidati da Artù usciranno al galoppo per combattere il nemico nel momento in cui la nostra terra sarà in pericolo...E dopo la vittoria, Dio volendo, regnerà la pace e la giustizia in tutto il mondo»
«Può darsi che un giorno possa accadere davvero,» disse il giovane Robin «oggi però ho il mio oro»

Il ragazzo tornò alla sua casa facendo felice la sua famiglia e i suoi amici...ma ben presto tutto l'oro finì.
Il giovane tornò alla quercia, entrò per la seconda volta nella grotta e prese un grosso carico d'argento. Di nuovo toccò con il gomito la campana e tre guerrieri alzarono la testa.
«La Corona è in pericolo?» La voce del primo era lieve come quella di un uccellino, quella del secondo cupa come quella di un bue e quella del terzo talmente minacciosa da incutere paura a chi doveva rispondere.
«Non ancora» disse il giovane «Continuate a dormire»
Lentamente, tra sospiri e mormorii, abbassarono il capo, i loro cavalli nitrirono e scalpitarono, ma in fine nella grotta tornò il silenzio.

Il giovane rimase tranquillo per parecchi anni ripetendosi di continuo:
«Ora amico mio non devi più entrare nella grotta o saranno guai»
Ma i buoni propositi spesso restano soltanto buoni proponimenti, poiché un anno o due più tardi, l'argento aveva fatto la fine dell'oro e il giovane si ritrovò sotto la quercia con la vanga tra le mani.
Entrò nella grotta per la terza volta e prese con sé oro e argento.
Per la terza volta urtò la campana con il gomito.
Quando suonò tutti i guerrieri si alzarono, e con loro anche i cavalli, causando un trambusto incredibile.
La voce di Artù risuonò:
«Non è ancora giunto il momento» disse Artù indicando il giovane carico d'oro e d'argento «Volete forse mettervi in marcia per colpa di costui?»
Un cavaliere stava per afferrare Il povero Robin per scagliarlo contro la roccia, quando Artù glielo proibì ordinando soltanto di cacciarlo dalla grotta.

Vi assicuro che non ce ne fu bisogno, poiché Robin se la filò via come un coniglio, ripercorse il passaggio, chiuse dietro di se la pietra che lo sigillava e continuò a correre fino al giorno successivo, e dovettero trascorrere molti anni prima che qualcuno riuscisse ad indurlo a raccontare la sua storia.

Poi si sa come sono fatti certi uomini, un bicchiere tira l'altro e una sera tornò con un amico alla quercia, ma per quanto si desse da fare, non riuscì più a trovare la pietra che copriva la galleria.

Insistette nell'affermare che la sua avventura era vera, ma l'amico gli rise in faccia, e quando, nonostante seguitasse a raccontare la sua storia, l'amico lo rincorse per dargliele di santa ragione, se la dovette dare rapidamente a gambe.

E' una storia senza senso direte voi, vero?

Beh, non so cosa dirvi, a me l'hanno raccontata così...anzi, vi dirò che sebbene sull'isola delle fate nessuno creda più alla storia dell'esercito di cavalieri dalle armature scintillanti e del settimo figlio di sette figli...si racconta che una certa vecchia signora, che dovrebbe ancora vivere da qualche parte dell'isola, alcuni anni addietro confessò d'aver visto, all'inizio degli anni '40 del secolo scorso, una lunghissima colonna di cavalieri, guidati da un imponente condottiero, attraversare la striscia di mare che separa l'isola di Avalon dalla Gran Bretagna.

Ah…dimenticavo una cosa importante. Non si sa bene che senso avessero le sue parole, ma pare che quella vecchietta fosse assolutamente sicura che negli anni '40/'41, la battaglia d'Inghilterra fu vinta anche dai cavalieri di re Artù.


view post Posted: 19/10/2020, 14:51     Annunci d'Inverno - by Mcb - Poesia


Annunci d'inverno - by Mcb


Or vanno lontane
le silenti culle
di quelle tue fredde
e bianche labbra,
le stesse che posi
nel vuoto dell’insonnia,
d'un vicino lago.

Così,
come rintocchi di campane,
mille echi si diffusero
nell’aria e mi colmano il cuore
del loro suono
di risonanti foreste.

Poi, d'improvviso,
voci e confessioni
passano dal vuoto dell'insonnia
al suono dolce del Champlain,

dove, nella bruma meridiana,
gli alberi si piegavano
al soffio dell'autunno
e come materne rovine
dei fragili rami
del mio essere
annunciavano l'inverno.

Così, mentre io vivevo,
aggrappato alle pallide speranze
che tu poetavi…
alleluia…
si posava la neve sulla
rossa culla del mio cuore.

Ove, nel gelo insolito
dell'annunciato inverno,
trascinando i finti raggi
del vergine tramonto,
mentre un incantesimo
di colori
dispiegando le catene,

mi scortava verso
il freddo sole
di un lontano cielo.

view post Posted: 8/10/2020, 15:13     +1Dal mio diario - Narrativa

1° Dal mio diario


A proposito della casa nel Vermont, c’è da riferire che avendo nelle vene sangue Italiano, per essere preciso Toscano, quindi fumino, avevo scelto di vivere la mia vita al di fuori degli interessi della comunità statunitense, facendomi non pochi nemici.

Sono nato in un piccolo paesino a due passi da Lucca, "Ripafratta" e a tre passi da una collina che mi ha sempre ricordato la mia schiatta… ovvero "Monte Cotrozzi", dove sono cresciuto armato di quell'educazione onesta e romantica, ma sempre rigorosa, che tanti anni fa gli uomini di campagna davano ai loro figli, allevando uomini forti nel fisico e nello spirito.

Seguendo tanti altri connazionali, emigrai negli USA alla ricerca di una possibilità di sopravvivenza, ma considerando che non ero il tipo avvezzo a chiedere favori a nessuno, nei miei primi anni americani dovetti rassegnarmi a svolgere i lavori più umili e a stringere la cintura dei pantaloni.

Poi, con un po’ di fortuna e tre anni di studio notturno, che mi permisero di parificare gli studi italiani, entrai a far parte del corpo insegnante in una scuola di New York City, dove accumulai notevoli esperienze pedagoteoretiche e psicodidattiche.

Successivamente mi trasferii a Richmond in Virginia, quindi in Alabama ed infine a Branson, nel Missouri.
Non trovai mai il tempo per prendere moglie, ma mi rimase il rimpianto di non aver potuto riversare su di un figlio tutto l’amore di uomo sensibile.
All’età di quarantatre anni, una serie di vicissitudini che mi provarono nel morale e una lunga malattia polmonare, mi costrinsero ad abbandonare tutto ciò che mi era più caro.
Anche in quell'occasione non volli favori, preferendo andarmene alla ricerca di un luogo dove ritrovare la serenità perduta per riprendere a coltivare la voglia di vivere.

Viaggiai in lungo e in largo per l'America, fin quando trovai ciò che cercavo in una grande e sconosciuta valle, la "Valle Champlain".
Per la verità ormai ero stanco di bighellonare e siccome scoprii d’essermi innamorato di quei luoghi (Non potrete mai credermi cosa sia quello stato se non andrete a vederlo con i vostri occhi), accettai di trasformarmi in contadino pur di non allontanarmene.

Alcuni anni più tardi, ormai completamente integrato, investii i miei risparmi acquistando una fattoria a trenta miglia da una piccola città rurale e a due passi dalla Green Mountains National Forest, dove, godendo di un'aria pura e fresca che ritemprò il mio fisico, riacquistai lentamente la serenità perduta.
Quella divenne la mia casa, la casa che per anni avevo sognato per me e per la mia famiglia.

In quegli anni, ormai avevo superato i cinquantacinque anni, intuendo che da solo non sarei mai riuscito a farcela, presi in moglie la vedova Amelia Dewey, una maestra elementare non più giovanissima con la quale condividevo l'amore per la terra, la natura e la lettura.
L'anno successivo, mentre passeggiavamo lungo il nostro vigneto che rasentava un piccolo lago naturale, trovammo il corpo abbandonato di una bambina di otto o forse nove anni, ormai più morta che viva per le bastonature ricevute e per metà immersa nell'acqua.
La prendemmo su e la portammo nella nostra casa, certi ormai che non ce l'avrebbe fatta, e fu soprattutto merito di Amelia se la bambina riuscì a trovare la forza di riaccendere l'ultimo barlume di vita che gli avevano lasciato.

Infatti, abbandonando ogni altra attività Amelia trascorse giorni e notti intere al suo capezzale, regalandole spunti d'incredibile amore, parlandole e tenendo il suo corpicino a contatto con il suo per donarle il suo calore, curando le terribili ferite del corpo e della mente… e infine, dopo alcuni mesi, quell'incredibile donna la rimise in piedi.

Non avevo mai assistito a un miracolo e dovetti ricredermi sulle enormi capacità dell'amore e forse fu anche opera della meravigliosa natura che ci circondava.

Una volta ripresasi, la bambina ci raccontò di essere stata rapita e poi fuggita da una comunità di nomadi ma di non sapere né chi fosse né dove vivesse la sua famiglia.
Da quel momento fu difficile distaccarla dalle gonne di Amelia.

Lasciai a loro il letto matrimoniale ritirandomi nella stanza degli ospiti, ma durò poco, poiché in poco meno di un mese la bambina volle che tornassi in quel lettone, fin quando non decise lei stessa trasferirsi nella stanza degli ospiti.
A quel punto, non volendola abbandonare facemmo delle ricerche che si rivelarono tutte infruttuose e alla fine, d’accordo con le autorità, decidemmo di tenere la bambina con noi, dandole il mio cognome, per ridarle, pian piano, i suoi processi cognitivi su percezioni, memoria e recupero emozionale.
Dato che non ricordava il suo nome, le scegliemmo un nome… Sara, in realtà fu la bambina stessa che lo scelse, e da quel momento, quell’insieme di pietre, calce, legno e calore umano, avvolse la bambina a tal punto da meritare una breve descrizione.


Quando acquistai quella proprietà, scoprii che aveva un nome; “New Land’s” e sebbene all’epoca quel nome fosse ormai caduto in disuso, voglio riportarlo per dovere di cronaca.

La casa, la cui architettura si rifaceva vagamente al primo stile Vittoriano, era stata edificata interamente in pietra e a buon diritto poteva vantarsi d’essere tra le più grandi e solide case della contea.
In epoche precedenti l’esterno era stato rivestito di larghe doghe di legno curiosamente verniciate di un bel colore rosso cupo e in contrapposizione a quella tinta così viva, tutti gli infissi erano stati dipinti di bianco e contornati da una larga banda dello stesso colore.
Quelle tinte sono sicuramente comuni in quella parte di America, ma se qualcuno fosse tentato di credere che l’accostamento di due colori così decisi e carichi di significato, potessero aver conferito alla casa un aspetto bizzarro si sbaglia di grosso, poiché non soltanto riuscivano a collocare armoniosamente la severa linea architettonica della casa nella natura che la circondava e ispirare sentimenti così profondi da turbare l’animo di chiunque si trovasse a passare da quelle parti.

Inoltre, se si aveva la fortuna di ammirarla in autunno, quando sembrava divenire un tutt’uno con i purpurei e grandi aceri che la circondavano, o in primavera, nel verde che dominava la scena, si aveva l’immediata impressione d’essere penetrati in uno spazio in cui il bello era la normalità e il normale era un insolito sentimento d’amore.

Alla casa si accedeva attraversando un piccolo orto racchiuso da una bassa staccionata, sul fondo del quale alcuni gradini in pietra scura immettevano su di un'ampia veranda sulla quale si aprivano due porte.

Dalla porta di sinistra (la più piccina) si aveva accesso in un’ampia cucina, mentre la più grande immetteva in una vasta sala al cui centro signoreggiava un'imponente, tavola di legno grezzo.

Sembra impossibile, ma in chiunque varcasse quella soglia, quella stanza suscitava sentimenti d’incredulità e stupore, e non tanto per una strana luminosità che sembrava scaturire dalle pareti su cui erano appesi dipinti, ma per la grande scala che conduceva al piano superiore e che sembrava essere l’esatta copia di quella che ancora oggi può essere ammirata nella cappella delle suore di Loreto di Santa Fe ed è chiamata la scala per il paradiso.

Infine, sull’angolo più lontano, due poltroncine fronteggiavano un sontuoso camino in pietra scura.

Il piano terreno era completato da un secondo locale utilizzato come dispensa e da una terza stanza, attigua alla parete del camino, nella quale erano stati collocati i servizi e una grande vasca in legno.

Al piano superiore, su di un vano squadrato, vi erano alloggiate tre camere da letto, delle quali una disposta sul lato destro (riservata agli ospiti) e due sul lato sinistro. Sulla parete di fondo, ovvero quella che divideva la struttura abitativa dal granaio (Utilizzato come fienile e rimessa per un trattore, un carro a quattro ruote e un vecchio furgone) era ancora visibile l’arco di una porta, ormai sbarrata, che in passato doveva aver permesso l’accesso al corpo posteriore della casa. Inoltre, sullo stesso vano, utilizzando una scala retrattile, ma così ben nascosta da doverne conoscere l’esistenza per poterla utilizzare, si poteva accedere a un ampio sotto tetto.

Sul retro della casa vi era l’altra struttura il cui piano terra era utilizzato come stalla per i tre cavalli, cinque mucche da latte, alcuni vitelli, tacchini, galline e conigli, mentre il piano superiore, sebbene vi fossero state ricavate alcune stanze, era inutilizzato a causa di quella porta sbarrata al primo piano della struttura abitativa.
Il resto della proprietà comprendeva, al di qua e al di là, di una piccola collina che fronteggiava la casa, una decina di acri di buona terra in gran parte dissodata e coltivata.

Ben presto a quella collina. A causa di una delle mie storie "Monte Cotrozzi" che raccontai a Sara. Lei prese a chiamarla con quel nome che ricordava tanto la vera collina che mi ero lasciato alle spalle della mia vita.

Incredibilmente la bambina s'integrò talmente bene che una volta rimessasi definitivamente, iniziò ad arrampicarsi su "Monte Cotrozzi" dove se ne restava, dopo aver svolto i suoi compiti in casa, ore intere.

In breve tempo entrò con pieno diritto a far parte della nuova famiglia chiamando me "papà" e Amelia "mamma Amelia", e quando le raccontai che ero nato davvero a due passi da Lucca e a tre passi da "Monte Cotrozzi" volle sapere ogni cosa riguardasse quel luogo che aveva il mio cognome, arrivando a farmi giurare che prima o poi saremmo tornati in Italia per condurla a visitare quel luogo, che una fantasia popolare racconta, ancora oggi, sia il luogo dove era scesa, dal cielo, un'antica razza umana.

Quel 16 Aprile, pur essendo nato del tutto simile ai giorni che lo avevano preceduto, rimase scolpito nella memoria di Sara come un faro.

La giornata era iniziata come il solito; io nei campi e lei, dividendosi i compiti con "mamma Amelia", aveva preso a gironzolare per la stalla, la legnaia, pulizie in casa, riordinare le stanze e tutto il resto. Poi, sul tardi della mattinata, dopo aver condotto le mucche nel recinto per il pascolo e rifornito d’acqua il serbatoio, salì al piano superiore per tinteggiare quella parte del soffitto imbrattata da un'infiltrazione d’acqua piovana.

Iniziò le grandi manovre preparando pennelli e il tino con la tinta che già da qualche tempo, avevo acquistato in città. Poi, con buoni propositi e qualche sforzo supplementare, trascinò fin lassù la scala a compasso, ma quando ebbe tutto a portata di mano ed era già sulla scala, pronta a dare il primo colpo di pennello, notò, sull’angolo più buio del soffitto il pannello che nascondeva alla vista la scala per accedere nel locale sotto il tetto.

A prima vista le parve fosse un pannello applicato per sostituire una parte danneggiata del soffitto, ma quando si accostò per osservarlo meglio, con sorpresa scoprì una nicchia ricavata nel legno di una delle sue estremità.
Di lì, ad infilare due dita in quella nicchia e tirare a se fu questione di due secondi, esattamente quanti gliene occorsero per volare sul pavimento quando, aprendosi con uno scatto, quel pannello la spinse giù dalla scala.
Era ancora seduta sul pavimento a massaggiarsi il fondo schiena, pronta a spararne quattro delle sue, quando rimase letteralmente a bocca spalancata a osservare una minuscola scala discendere lentamente verso di lei.

Inutile dire che dimenticò pennelli e tinta per arrampicarsi su quella scala, arrestandosi soltanto quando, introdotta la testa in un ambiente in penombra, ma impregnato di profumi per lei assolutamente sconosciuti, se ne uscì con una delle sue esclamazioni.
– Porca miseria e questo cos’è! – E ancor prima che i suoi occhi riuscissero ad abituarsi alla lieve luminosità che filtrava da una piccola finestra circolare, si arrampicò fin dentro godendo di quei profumi ad occhi chiusi.

Quando li riaprì e si trovò circondata da una quantità inverosimile di oggetti d’ogni genere, fu colta da una lieve vertigine.
– Mio Dio! Ma questo è il paradiso? – Mormorò un istante prima che la sua curiosità si scatenasse aprendo e chiudendo casse, cassettoni, bauli e armadi osservandone attentamente il contenuto e riempiendo l’aria di esclamazioni.
In poco meno di un’ora riuscì a mettere le mani dappertutto, ma quando raggiunse la zona più in ombra, restò ammutolita di fronte ad uno scaffale colmo di libri.

Le notizie in suo possesso le confermarono che i proprietari di quelle case si dotavano sempre di librerie, ma mai avrebbe immaginato che prendere tra le mani uno di quei volumi avessero potuto procurarle lo stesso imbarazzo di quando strinse per la prima volta tra le mani i grossi capezzoli delle mammelle di una mucca.

Lentamente aprì il volume e mentre con mani tremanti iniziò a sfogliarlo, un profumo nuovo pervase l’aria.
Portò il libro al volto e annusandolo avidamente sussurrò.
– È buono porca miseria!

Quando finalmente quella specie di ubriacatura si placò e sedette sul pavimento accanto alla finestra, iniziando i suoi primi tentativi di lettura, il tempo parve arrestarsi.
Con una cocciutaggine davvero monumentale provò a decifrare alcune di quelle pagine, ma quando sollevò gli occhi dalla scrittura, per dare un significato a ciò che aveva appena visto, si arrabbiò alla sua maniera scoprendo di non aver compreso assolutamente nulla.
Anche in quell'occasione fu il suo orgoglio a non permetterle di rinunciare.
E se quell’ostica esperienza terminò con il definitivo innamoramento per la lettura, il merito va in gran parte attribuito alla pazienza e all'amore di "mamma Amelia", poiché riuscì a riportare alla sua memoria le ormai lontane nozioni di lettura.

C’è da dire inoltre che nei primi giorni di quella nuova esperienza, si trovò spesso a dover risolvere un problemino niente affatto divertente; ovvero come riuscire a seguire lo scritto, senza perdersi in fastidiosissimi salti di riga e conoscendola non è difficile immaginare quali possano essere state le sue reazioni.
Ad ogni modo anche quella volta le venne in soccorso "mamma Amelia" che le insegnò a servirsi della guida dell’occhio, adottando una tecnica decisamente poco elegante, ma certamente valida, il dito indice come pilota.
E così, avendo iniziato a leggere, finì per trascorrere molto del suo tempo libero sulla collina portandosi dietro sempre qualche libro.
Tra quei volumi trovò davvero di tutto. Inoltre, su di un ripiano isolato, rinvenne due volumi; la Bibbia e il Corano.

Ovviamente la scoperta di quella stanza finì per crearle l’ennesimo problema del tipo; “È corretto invadere un universo che non mi appartiene?”
A risolvere il quesito le venne in soccorso la solita onnipresente "mamma Amelia", ricordandole quella frase che avevo sempre detto e ripetuto nei primissimi giorni della sua vita in quella casa, “Qui non ci sono padroni, quello che è mio è anche tuo e di Amelia.”

Alcuni di quei libri le dettero risposte alle molte domande che per varie ragioni aveva sempre evitato di porsi, il significato di before christ, ma la cosa straordinaria fu che, pur comprendendo che molte di quelle letture avrebbero potuto influenzare la sua natura, lasciò che ciò accadesse.

Ormai non era più l’essere arrogante e refrattario che avevamo raccolto, ma giorno dopo giorno si dotava di una singolare sensibilità che a volte le procurava scomodi inconvenienti, come quando "mamma Amelia" la coccolava o quando la sera, seduta sul pavimento accanto al camino, leggendo qualche pagina, le accadeva d’essere sopraffatta dalla commozione.
Allora, per difendersi dalla sofferenza, piangeva silenziosamente serrando forte gli occhi, per escludere il chiaro della luna e la notte silenziosa… e allora toccava a me stringerla tra le braccia, per depositarla delicatamente nel suo letto.

Quella mattina fu il sole a svegliarla da un sonno profondo. Si vestì in fretta e senza fare colazione uscì in giardino sperando di raggiungermi prima che mi recassi nei campi, ma non vedendomi stava per rientrare in casa quando udì dei rumori provenire dalla rimessa.

Mi trovò che stavo trafficando con il carro
– Se mi dai dieci minuti ti preparo qualcosa per il pranzo – Disse lei dopo aver fatto lentamente il giro del carro
– Non ce n’è bisogno, ci ha già pensato Amelia – Risposi
– Scusami, ma stamani non sono riuscita a svegliarmi. È da molto che sei in piedi?
– Un paio d’ore
– E come mai sei ancora qui?
Alzai le spalle senza rispondere.
– Lo so io perché – Borbottò lei sorridendo
– Perché non lo fai sapere anche a me?
– Perché non puoi iniziare la giornata senza il mio bacio
Scossi il capo borbottando qualcosa di assolutamente incomprensibile.
– Hai qualcosa da portare nei campi? – Chiese ancora lei
– Cosa te lo fa pensare?
– Dovrà pur servirti a qualcosa quel carro, no? – Continuò lei per nulla scoraggiata
– Un carro serve anche per andare in città.
– Mi domando perché non prendi il furgone? Faresti prima e ti stancheresti meno
– Forse sarò un testone, ma quegli aggeggi non mi piacciono. Inquinano l’aria – Risposi senza voltarmi

Lei si accostò alle mie spalle tirandomi la camicia – Non sei un testone, sei mio padre... Mi dai il bacio?
– Spetta a te – Brontolai io
Sorridendo lei mi costrinse a piegarmi e tenendosi stretta al mio collo mi fissò un bacio sulla fronte.

Quella sera le due donne uscirono da casa assieme venendomi incontro e appena le raggiunsi diedi il solito bacio ad Amelia e presi tra le braccia Sara, che vi si accoccolò.
– Papà raccontaci una storia
Guardai Amelia e notando il suo sorriso e un lievissimo cenno affermativo, iniziai a raccontare…

– “In quel lontano paese situato proprio nel punto dove il cielo e la Terra si sfiorano, viveva un uomo semplice di cuore e di modeste condizioni. Era rimasto vedovo molto presto e quella disgrazia l’aveva costretto a crescere una figlia dovendole fare da padre e da madre.
Non fu un compito agevole, ma mettendo in campo tutto il suo coraggio e un infinito amore, seppe fondere in se così magistralmente quei due doveri che tra lui e la sua bambina sbocciò un vincolo assolutamente indescrivibile, una sorta di legame sentimentale che li unì oltre ogni umana comprensione.
Abitavano una graziosa casupola ai margini di un bosco vivendo del duro lavoro dei campi e allevando animali.
Non avevano molto, ma erano sempre pronti ad aiutare chiunque fosse stato in difficoltà. E questo fece della loro casa l’approdo per chi, meno fortunato, domandasse un aiuto.

Il buon uomo visse tutti i suoi anni nella consapevolezza di non essere perfetto e quando gli fu chiesto di lasciare questa vita per salire in cielo, egli salutò la sua bambina e accettò serenamente la morte.
Informato del suo prossimo arrivo, ed essendo stato messo al corrente che, la vita terrena del brav’uomo occupava assai più pagine di quante non ne occupassero quelle di uomini più illustri...”

– Com’è possibile conoscere la storia di una persona? – Chiese lei interrompendo il racconto
– Perché è scritta in un grosso volume. Posso andare avanti?
– Certo, scusami

– “... Dio volle inviare sulla Terra due dei suoi migliori angeli con l’incarico di raccoglierne l’anima e accompagnarla tra i beati... tutti sanno che in cielo non si ha bisogno di nulla e che una volta nella casa di Dio nessuna delle passioni umane può più gravare lo spirito, ma sebbene fossero trascorsi alcuni giorni dal suo ingresso in paradiso, il pover’uomo sentiva di non essere capace di abbandonare alcune di quelle esigenze che erano state parte della sua veste umana e questo, a dir la verità, gli procurava una profonda tristezza.
Per un po’ nessuno si accorse di quanto accadeva al pover’uomo, ma un giorno, andando a far visita ai suoi ospiti, com’era solito fare, Dio notò sulle guance dell’uomo due lucenti lacrime che scivolavano pigre, pigre.

Fu talmente sorpreso che non poté fare a meno di chiederne il motivo.
– Perché quelle lacrime? Non c’è ragione d’esser tristi nella mia casa
Dispiaciuto d’essersi fatto sorprendere in lacrime, l’uomo si asciugò in fretta e in furia gli occhi.
– Hai ragione, – Rispose cercando un sorriso che proprio non voleva saperne d’ingentilire le sue labbra – ma cosa posso farci se sono rimasto un pover’uomo sciocco.
– Ti conosco, so bene che non lo sei – Rispose Dio pregandolo di sedersi – Credo invece che tu abbia qualcosa da dirmi che valga la pena d’essere ascoltato.
– Non è assolutamente nulla d’importante
– Non ti andrebbe di parlarne?
– Come posso permettere che perdiate il vostro tempo con i miei problemi.
– Cos’altro credi abbia da fare un Dio se non risolvere i problemi dei suoi figli? – Rispose Lui sedendogli accanto
– È che... ecco... non sono stato capace di abbandonare tutti i miei ricordi di uomo.
– A volte accade, ma se avrai pazienza, vedrai che le cose si metteranno a posto da sole. Posso chiederti quali sono i ricordi che ti disturbano?
– Oh no Signore, non mi disturbano affatto, mi rendono soltanto una gran pena
– Capisco, ed è un ricordo importante?
– È la cosa che ho più amato e che ho dovuto lasciare sulla Terra
– Ma cosa avrai mai lasciato di così importante da farti piangere? Forse le tue ricchezze?
– Oh no! Non sono mai stato un uomo ricco
– La tua potenza?
– È una parola di cui non conosco il senso.
– La gloria?
– La gloria e vivere nella tua casa
– Non ti andrebbe di dirmi cosa hai mai lasciato sulla Terra? – Chiese Dio sempre più incuriosito
– L’amore della mia bambina
– Ah si, capisco, conosco bene la tua bambina
– Era tutta la mia vita
– È una gran brava ragazza
– Un amore di bambina con un visetto fresco e profumato come i petali di un fiore. Era la mia più grande gioia terrena, ed io l’adoravo
– Non è più una bambina, ora ha un marito ed è in attesa di un figlio
– Che gioia saperlo, ora la mia mancanza non la rattristerà.
– Non è esatto, tua figlia ti ama ancora dello stesso sentimento di quando eri tu a occuparti di lei. Tu sei ancora nei suoi pensieri e se può farti piacere saperlo la sera canta ancora per te.
– Tu mi ridoni la pace. Sapessi Signore... quand’era una bambina mi amava di un amore così grande che se qualche contrarietà mi affliggeva lei mi confortava con le sue canzoni. La sua voce cristallina era per me la migliore delle medicine... era l’unica capace di rendermi un uomo felice
– E ora non sei più felice?
– Lo sono, ma sento un gran vuoto dentro di me.
– Capisco – Replicò Dio annuendo – e magari starai pensando che non avrei dovuto chiamarti nella mia casa.
– No! È giusto così, ma cosa posso farci se sono soltanto un pover’uomo, sapessi quant’è difficile dimenticare... era la mia bambina e un padre non dovrebbe mai abbandonare i suoi figli.
– Uhm, ho l’impressione che tu desideri che io faccia qualcosa per te, non è così?
– Sono sicuro che sarebbe una cosa da nulla
– Beh, sentiamola questa cosa da nulla
– Ecco...
– Avanti, – Lo incoraggiò Dio – ti ascolto.
– Se soltanto potessi ascoltare ancora la sua voce e magari riabbracciarla per un solo piccolissimo attimo.
– Ti rendi conto di cosa mi hai chiesto?
– Credi sia impossibile?
– Per fare quanto mi hai chiesto dovrei sovvertire ogni regola universale.
– E questo immagino non sia possibile
– Beh, non è esatto, si potrebbe, ma sarebbe un bel da farsi
– Allora è meglio che tu dimentichi la mia preghiera.
– Mi metti in imbarazzo... e se trovassi la maniera di far venire tua figlia nella mia casa?
– Oh no! No, non sarebbe giusto, lei è così giovane, ha ancora da vivere tutti i suoi anni e poi ora aspetta un figlio... no Signore lasciala alla sua famiglia.
– Allora non resta altro da fare che mutare ogni regola universale.
– No Signore, non posso chiederti una simile cosa.
– Non vuoi più ascoltare la tua bambina?
– Oh Signore, lo desidero con tutte le mie forze, ma non è giusto che per un mio capriccio tu debba sconvolgere l’universo.
– E se trovassi un’altra soluzione? Sarebbe una specie di accomodamento, ma potrebbe andare.
– Sarebbe magnifico
– Potrei aprire le porte del cielo in modo che si possa ascoltare la sua voce.
– Credi sia una cosa possibile?
– Mah! Cosa debbo dirti, non s’è mai fatto e non so neppure se sarà possibile entrare nei suoi sogni, la Terra è assai lontana
– Allora cos’altro si può fare?
– Dovresti avvicinarti alla Terra, ma questo non è prudente, comporta qualche rischio.
– Che genere di rischio?
– Potresti esserne attratto e se ciò dovesse accadere potresti perdere il paradiso
– Certo sarebbe un bel guaio, io desidero rimanere nella tua casa
– Non dovrei essere io a dirtelo, ma so che qui in paradiso c’è qualcuno che conosce il modo per avvicinarsi alla Terra senza correre troppi rischi.
– Chi? – Chiese il buon uomo

Dio scosse la testa, si alzò e prima di avviarsi borbottò
– Dovrai cercarlo figlio mio, a me non resta che augurarti buona fortuna e ricordarti che il momento in cui verranno aperte le porte del cielo sarà di notte e tu dovrai essere di ritorno prima che faccia giorno

Detto ciò Dio riprese il suo cammino.

Trascorse un’ora, un’altra ancora e quando il buon uomo ne perse il conto si rivolse ad un suo vicino intento a raccogliere fragole chiedendo – Quando farà buio?
L’uomo interruppe il suo lavoro sollevando il capo per guardarlo.
– In cielo non fa mai buio, – Rispose guardandolo serio – ora il nostro tempo segue cicli assai diversi da quelli ai quali eravamo abituati sulla Terra.
– Allora non si apriranno mai le porte del cielo?
– L’unica cosa che posso dirti è che scendendo verso il fondo di quella valle è possibile vedere tramontare il sole
– Cosa c’è laggiù?
– Lo chiamano purgatorio. Io non ci sono mai stato, ma ho sentito dire che vi sono le anime di coloro che sono in attesa di salire in paradiso
– Credi sia prudente scendervi?
– Qualcuno è tornato
– Allora è meglio che mi avvii prima che si aprano le porte del cielo
– Se vuoi un consiglio cerca di essere al coperto quando si apriranno le porte o rischierai di cadere sulla Terra.
– Puoi suggerirmi un modo per evitarlo?
– So che in fondo alla valle vi sono delle grotte, scegline una e aspetta che faccia buio, ma mi raccomando, non uscire per nessuna ragione fin tanto che non saranno richiuse le porte, hai capito bene?
– Farò come tu dici
– Un’altra cosa, se dovessi sentire il desiderio di avvicinarti ancora di più, cerca di resistere, quelle grotte sono la parte più bassa del cielo e in qualche modo sono influenzate dal tempo della Terra.
– Cosa potrebbe accadermi?
– Potresti non trovare più la strada per tornare in paradiso.
– Ho capito, vedrò di seguire i tuoi consigli.
– Toglimi una curiosità, ma perché vuoi rischiare il paradiso per ascoltare una canzone?
– Non è per una canzone, è per ascoltare la voce di mia figlia.
– Allora buona fortuna amico mio, ne avrai bisogno.

Il brav’uomo si avviò lungo un viottolo che scendeva verso il basso e dopo un viaggio piuttosto avventuroso si trovò dinanzi la prima delle grotte sull’ingresso della quale era seduta una donna.
– Cosa ti porta quaggiù? – Chiese lei
– Vorrei ascoltare la voce della mia bambina.
– Vive sulla Terra?
– Si
– Allora dovrai scendere ancora. Di qui non udrai nulla
Qualche ora più tardi raggiunse la seconda grotta.
– C’è nessuno? – Chiese a voce alta
– Cosa vuoi? – Domandò un’altra donna affacciandosi

Per farla breve dovette scendere ancora e ancora e quando ormai la stanchezza stava per vincerlo, di lontano vide una piccola grotta a ridosso di una collina brulla e pietrosa.
– Speriamo sia la volta buona – Borbottò tra se prima che una voce dietro di se lo facesse trasalire.
– Non avrai intenzione di entrare la dentro? – Chiese un vecchio con una gran barba bianca.
– Beh, l’intenzione sarebbe quella
– Di dove vieni? – Chiese ancora il vecchio
– Di lassù
– Avresti dovuto restarci, ma perché sei sceso fin quaggiù?
Il buon uomo raccontò la sua storia e alla fine il vecchio commentò laconicamente.
– Brutto affare amico mio. Sarebbe stato meglio se tu avessi dimenticato.
Il buon uomo finse di non avere udito e chiese – Credi che debba scendere ancora?
– Se scendi ancora un po’ torni a casa tua e ti assicuro sarebbe la peggiore cosa che tu possa fare. A noi non è permesso disturbare chi ancora vive in quella condizione.
– Quindi non potrò più ascoltare la voce della mia bambina?
– Cosa vuoi che ti dica, se il capo ha detto che è possibile perché dubitare?
– È tutto così difficile, nessuno sa dirmi cosa fare.
– Benedetto uomo, devi renderti conto che sei il primo ad aver fatto una simile richiesta, non è mica uno scherzo organizzare un simile spettacolo
– Hai ragione, devo avergli creato un sacco di problemi.
– A lui? Non pensarlo neppure, il problema è tuo, sei tu che dovrai trovare il modo di arrivare il più vicino possibile alla Terra senza perdere la strada per tornare
– Credi che se scendessi in quella grotta sarei al sicuro?
– Sono stato anch’io lì dentro e ti assicuro che non è uno scherzo, però è l’unico posto da cui è possibile ascoltare le voci della Terra senza correre troppi pericoli. Certo è talmente angusta che quando sarai in fondo avrai meno pelle di quanto non ne abbia ora
– Questo non ha importanza
– Allora non posso che augurarti buona fortuna.
Impiegò alcune ore per trascinarsi fino in fondo della caverna e benché quando vi giunse fosse pieno di dolorosi graffi sanguinanti, la splendida visione dell’universo lo rallegrò.
– Ora capisco perché Dio non può cambiare le regole, occorrerebbero milioni di secoli per riuscirvi – Si disse mentre provò a sistemarsi in una posizione più comoda. Poi, una volta trovata la meno dolorosa, si mise in attesa armato di tutta la sua pazienza.

Mai l’attesa fu tanto lunga e penosa. Soprattutto perché dovette combattere con un milione di pensieri che gli affollarono la mente, ma quando vide spalancarsi le porte del cielo e Dio, che con un cenno della mano fece cessare ogni rumore e ogni suono nell’universo intero, seppe di avere tutto il suo amore.
Era ancora stordito da tanta grandezza quando una debole melodia colmò il silenzio che lo circondava e mentre quelle note acquistavano vigore, giunse la calda e melodiosa voce della sua bambina.

In un attimo rivisse tutta la sua vita e i dolcissimi momenti trascorsi al suo fianco e fu allora che pianse le sue ultime calde lacrime d’uomo.
Poi, quando sulla Terra scese la notte e le figlie degli uomini che erano in cielo, caddero nel sonno, un prodigio s’impossessò dei loro spiriti incidendovi la tenera e struggente emozione di un lunghissimo abbraccio che rimase nei loro cuori per il resto della vita…”

Quando terminai di raccontare, lei chiese con un filo di voce.
– Perché hai scelto questa storia?
– Non lo so, è una storia come tante altre.
– Perché papà? – Insistette lei

Amelia si accostò e salendo sulla veranda mi tolse dalle braccia la bambina e dopo averle sorriso, borbottò…
– Forse perché voleva dirti che quando si ama e si ama con la mente e con il cuore, non esiste alcuna legge, si ama e basta.

La bambina prese tra le sue una delle mani di "mamma Amelia" e la strinse forte mentre sentì nel petto qualcosa che saliva e le toglieva il respiro.
Durò soltanto un attimo, poi tirò su col naso e si sentì più leggera.
– È bello stare con voi. – Sussurrò con un filo di voce – Mi fate sentire viva.

Amelia borbottò un frettoloso…
– Si è fatto tardi, dovremmo aver già cenato e tu essere a letto!

Quella notte Sara sognò "monte Cotrozzi". Quel grumo di terra verde somigliava al suo papà e a "mamma Amelia" e lei vi si arrampicava gridando i loro nomi.
Quella collina era la sua famiglia e lei non avrebbe permesso a nessuno di salirvi.
Io, "Mamma Amelia" e quella collina eravamo i suoi grandi amori e loro erano cosa sua…

Continua…


Dal mio diario - by Mario Cotrozzi Batacchi -



Il tempo trascorse senza accorgercene. Sara riacquistò tutta la sua vitalità e fece di noi due esseri felici di averla come figlia.

Una mattina di qualche tempo dopo Sara uscì presto ma sull'aia trovò me ad aspettarla.
– Come mai sei ancora qui? – Mi chiese
– Hai voglia di venire con me?
– Certo! Dove si va?
– Sulla collina…
– Con te vengo anche in capo al mondo!

Annuendo mi avviai lungo il sentiero che aggirando il meleto raggiungeva la collina e lei mi seguì aggrappandosi alla mia mano.

Percorremmo quel tratto di terreno senza che nessuno dei due pronunciasse una sola parola, ed io, che non mi stancavo di stringere e carezzare la piccola mano, non staccai un solo attimo gli occhi da quel volto sul quale l'unica traccia del dramma subito poteva essere letta nell'inconoscibile profondità dei suoi occhi, che sebbene fossero tornati a risplendere di luce vivissima, lasciavano trasparire l'immagine di una prova che l'aveva indelebilmente segnata.
Raggiunta la sommità della collina mi lasciai scivolare seduto ai piedi della quercia
– Siediti – Dissi masticando la pipa
– Ancora un attimo, – Rispose lei – lascia che goda della vista della mia amica quercia.

In quei primi giorni di Settembre il grande albero iniziava ad assumere il suo bel rosso regale e lei, seguendo un rituale che si rinnovava ogni volta che si trovava al cospetto della grande pianta, memorizzò l'incisione a fuoco della tavola affissa al fusto.

QUERCIUS RUBRA L.
QUIVI INTERRATA DA
ISAAC L. PADGETT
4 luglio a.d. 1901

Per alcuni minuti parve che nessuno di noi avesse voglia d'infrangere il silenzio che ci circondava.
Io mi ero perso in una delle nuvole azzurre che soffiavo verso l'alto, mentre lei, in piedi con la schiena poggiata al fusto della pianta, lasciava che il suo sguardo scivolasse sul meleto sottostante.
– Vuoi una mela? – Chiesi porgendogliela
Sara prese la mela continuando a far vagare lo sguardo fino agli alberi che circondavano la casa, poi, improvvisamente, emise un rumoroso
– Oooh si!
– Qualcosa non va? – Chiesi voltandomi a guardarla
– Cosa? Oh no, va tutto bene, sono felice
– Qualche motivo particolare?
– La tua casa, Dio che bella!
– Quella è anche la tua casa – Soggiunsi

Lei annuì addentando la mela
– Si, la nostra casa è grande e bella
– Non è importante che una casa sia bella o molto grande, ciò che conta è che sappia essere una vera casa – Borbottai.
– La nostra lo è. Lei è stata mia madre e mio padre, mi ha protetta quando ne avevo bisogno
– Non farti sentire da Amelia, non lo apprezzerebbe.
– Qual è il segreto per essere una buona casa?
– È difficile stabilire una regola che possa essere valida per tutti, generalmente è la nostra sensibilità e quanto possediamo nel cuore a darle un valore. Per alcuni possono essere emozioni così travolgenti da identificarla con la madre... mentre per altri può essere difficile perfino coglierne le virtù più semplici
– Io credo che ne serberò il ricordo in eterno...
– Non dirmi che siamo già alle lacrime – Commentai con un velato senso d'ironia nella voce.
– Tu non cambierai mai, vero? – Borbottò lei alla svelta asciugandosi gli occhi con le mani.
Me la risi tentando un difficile recupero
– Perché l'hai edificata così grande? Avevi intenzione di avere una grande famiglia?
– No, qui ti sbagli... quella casa non è opera mia, non ne sarei stato capace. Fu Isaac a tirarla su.
– Com'era?
– Chi? Lui?... Beh... era brutto da far spavento
– Come te? – Soggiunse lei sorridendo
– Oh no! Molto peggio!
– Era nato in questa valle?
– No, si trasferì da queste parti all'inizio del secolo.
– Veniva dal sud?
– Dall'Inghilterra
– Non amava la sua terra?
– La amava come pochi, ma fu costretto ad abbandonarla per dare una possibilità in più alla sua famiglia. Non conosco tutti i motivi che lo spinsero in questa valle, ma lui raccontava che dalle sue parti il terreno era acido e che per fare il contadino bisognava sputare sangue.
– Non credo possa essere un buon motivo per lasciare la propria terra.
– Forse no, ma quando si hanno una moglie e tre figli da sfamare, a volte si devono fare scelte dolorose.
– Com'era questa valle all'inizio del secolo? Te l'ha mai descritta?
– No, ma non doveva essere molto diversa da quella che vediamo oggi. Beh, certo non c'erano i trattori e l'elettricità, ma in compenso la terra era a buon mercato. Acquistò questo fondo con due soldi e impiegò quindici anni per edificare quella casa.
– Quindici anni per costruire una casa?
– Un po' troppi è vero, ma guarda cos'è riuscito a fare. In tutta la valle non ve ne sono di altrettanto belle e solide.
– La tirò su da solo?
– Quando arrivò da queste parti, i suoi figli erano ancora troppo piccini per aiutarlo, ma con l'aiuto della moglie riuscì a tirarne su una di calce e tronchi d'albero. Poi, quando i ragazzi furono in grado di dar loro una mano e con un po' di aiuto esterno, pietra su pietra finì per renderla così com'è ora. La stalla e la parte superiore venne più tardi. Nei suoi progetti, avrebbe dovuta servire ai figli e alle loro famiglie.
– Una buona idea per non separarsi da loro... ma perché ora quella parte è chiusa? Non credi sia giusto riaprirla?
– Abbiamo già una stanza in più, cosa potremmo farcene delle altre?
– Oh papà, quelle stanze sono costate fatica, non è giusto lasciarle abbandonate, devono sentirsi amate
– Si, però tu avreste qualche stanza in più da tenere in ordine
– E tu credi che la cosa possa spaventarci? Io e "mamma Amelia abbiamo spalle robuste.
– Ne sono convinto, però... D'accordo, apriremo quelle porte.
– Sono certa che Isaac ne sarebbe felice
– Si, immagino di si
– Piantò anche il meleto?
– Quel diavolo d'uomo non soltanto piantò il meleto e alcuni degli alberi attorno alla casa, ma dissodò i campi e...
– Piantò questa quercia – Completò lei
– Come l'hai indovinato?
– È scritto qui. Quell'uomo doveva amare molto la natura se ha voluto portare fin qui un simile spettacolo.
– Per la verità fu sua moglie a volerla quassù.
– L'avrei fatto anch'io
– Perché?

Lei si strinse nelle spalle

– Forse per dare un po' di belletto a questa collina verde.
– Aveva un coraggio da leone e un cuore grande come la sua casa. Povero Isaac, con lui la sorte non fu generosa, i suoi due figli morirono in Francia nel 1917, sui campi di battaglia e dopo qualche anno la figlia si sposò lasciandolo solo con la moglie. Erano bravi nel loro lavoro, ma dovettero scegliere se rimanere o vendere la proprietà e alla fine scelsero di mandare avanti la fattoria da soli.
– Come facciamo noi?
– Pressappoco, ma con un problema in più, l'età. Infatti, dopo qualche anno sua moglie si ammalò e nel giorno del suo sessantesimo compleanno lo lasciò.
– Oh mio Dio! Rimase solo
– Qualche mese più tardi arrivai io da queste parti, e lui mi offrì di aiutarlo nel suo lavoro. Avevamo tutti bisogno di aiuto; la fattoria di due braccia in più, lui di compagnia e io di un motivo per ricominciare a vivere. All'inizio ero deciso a rimanere soltanto qualche mese e invece m'innamorai di questa valle, della casa, del lavoro e dell'amicizia che lui seppe offrirmi.
– Lavorasti per lui?
– In pratica divenni suo dipendente, ma il rapporto che ci legò fu qualcosa di straordinario. Ci unì un grande rispetto e una profonda stima. Egli m'insegnò tutti i segreti della campagna, ed io, quando la sera si rientrava dai campi, leggevo per lui i classici greci e latini… Cos'hai da scuotere la testa? – Chiesi vedendola ripetere quel gesto
– Nulla! – Rispose lei sorridendo – Ti prego continua.
– Andammo avanti così fin quando la sua fibra cedette e si ammalò gravemente. Telegrafai a sua figlia e lei venne a prenderlo per condurlo con sé in California.
– Allora questa casa è di Isaac?
– No, prima di partire quel testone mi fornì l'ultima prova della sua straordinaria amicizia, volle cedermi legalmente la proprietà a un prezzo che riuscii a sostenere con i miei risparmi e sai una cosa? Ancora oggi mi chiedo come accidenti poteva sapere quanto denaro possedessi?

– Sentisti la sua mancanza? – Disse lei guardandomi negli occhi.
– Accidenti se la sentii. Per giorni e giorni continuai a parlargli come se fosse stato ancora presente e la sera continuavo a leggere Platone e Omero.
– Venivate mai quassù?
– A volte si veniva per portare un fiore a sua moglie.
– A sua moglie? – Chiese Sara sorpresa
– Credo di non avertelo mai detto, ma prima di morire chiese di essere sepolta sotto quest'albero.
– Ecco perché sono sempre in buona compagnia – Rise Sara
– Ora il suo corpo non c'è più, se la portò via con se.
– I loro spiriti sono ancora qui, lo sento, ma tu cosa venivi a fare quassù?
– A volte semplicemente per guardarmi attorno, magari mangiando una mela o due. In autunno sono deliziose
– Perché mi racconti queste cose? – Domandò lei senza guardarmi
– Forse perché è un bel po' che non parlo della mia vita.
– Mio Dio papà! Continua il tuo racconto, è la tua storia
– Davvero t'interesso ancora?
– Oh smettila, vuoi farmi star male?
– Sai perché scelsi questa valle?
– Dimmelo!
– Era già qualche anno che gironzolavo per il mondo e il Vermont era l'ultima tappa di un viaggio che avevo iniziato per fuggire a un'infinità di ricordi.
– Fuggivi dai tuoi ricordi? Oh mio Dio, perché?
– Non da tutti, ma da quelli più dolorosi... la malattia, l'esonero dal mio lavoro e tutto il resto. Quando giunsi su questa collina, era una stupenda sera... il 4 di Agosto se ricordo bene. L'aria era tiepida e c'era una grande pace. Decisi di trascorrervi la notte, ma quando l'indomani aprii gli occhi, mi trovai dinanzi Isaac, con in mano uno schioppo più grande di lui. Per un po' ci guardammo senza parlare, poi lui dovette accorgersi del disagio che provavo di fronte a quel ferro vecchio e rimettendoselo a tracolla mi chiese se avessi già fatto colazione.
– Dovevo immaginarlo che c'era di mezzo la mia collina.
– Sai una cosa? Ho sempre creduto che in questa valle risieda l'anima della Terra.
– Cosa te lo fa pensare? – Mormorò lei prima di voltarsi a guardarmi.
– Non lo so, ma tra questi boschi accadono cose incredibilmente belle. A volte mi domando se Dio non l'abbia scelta per compiervi i suoi esperimenti.
– E magari questa collina è il suo trono – Concluse lei.

Annuii

– Potrebbe essere, quassù è tutto così diverso, così pulito. Si ha l'impressione di vivere una dimensione di qualità superiore.
– Lo senti anche tu?
– Beh, non so con precisione cosa senta, ma qui sto bene.
– Oh papà, tu meriti questo privilegio
– E tu?
– Io sono una sciocca, ho impiegato troppo tempo per comprendere che questa terra è stata la mia culla. È qui che sono nata e sapessi come la amo. Ho scelto un nome a ogni filo d'erba, a ogni pietra. Ogni parte di lei è parte di me. Credimi papà, non esiste nulla di più bello.
– Oh beh
– Ne dubiti?
– No, ti credo
– Dio ha fatto un buon lavoro quassù
– Già, – Soggiunsi – e con te ha compiuto il suo capolavoro.
– Oh smettila! Sai mentire così bene che mi fai rabbia
– Avrai modo di accorgertene
– Invece di perdere il tuo tempo in chiacchiere senza senso, perché non mi parli di te. Sai che della tua vita mi hai raccontato pochissimo? Di quel periodo mi hai detto poco o nulla, non so neppure da quanti anni sei nella valle.

– Fu l'anno del lungo inverno. – Mormorai e nel tentativo di riportare alla mente ricordi lontani mi leccai le labbra sperando di richiamare anche quella sopita sensazione del gusto di mela. – Accidenti se fu lungo e che freddo! Quell'anno venne giù tanta di quella neve che dovetti liberarne di continuo il tetto per evitare che ci crollasse sulla testa...

Intuendo che non le avrei detto nulla più di quanto già non conoscesse, lasciò che lo sguardo scivolasse fin verso la valle, oltre il meleto, dov'era possibile vedere una parte della casa e le grosse cataste di legna che troneggiavano al sole vivido.

Le verdi montagne, che già si stagliavano nell'azzurro del cielo, sembravano essersi fatte più leggere e più basse e mentre dal piano saliva il fruscio del torrente e lo stormir di foglie, ravvivata da una brezza odorosa, la valle sembrava fremere, come se dopo aver giaciuto priva di sensi per un intera notte, ora, al calore del sole, si riavesse al fervore della vita.
Improvvisamente la mia voce la sottrasse al sogno e lei, sentendo nascere in se il rimpianto per l'incanto ormai irrimediabilmente interrotto, scivolò in ginocchio volgendo verso di me il volto imbronciato.
– Qualcosa non va? – Chiesi

Sara mi fissò con aria confusa e nel riconoscere il mio volto il rimpianto svanì – Sei tu. – Sussurrò – Scusami, ma è così bello godere di quest'incanto che la mente è volata via.
– Perché non ti siedi, ti verrà male alle gambe se resti in quella posizione.

Sara sedette massaggiandosi furiosamente le ginocchia indolenzite.

– Va tutto bene? – Domandai
– Ohi ohi! Povere le mie ginocchia, che male
– Dov'era la tua testolina? – Chiesi
– Qua e la. Quest'armonia mi ha distratta dal tuo racconto
– Non hai perduto nulla d'importante
– Non sei arrabbiato? – Chiese lei sorpresa
– Dovrei?
– Si che dovresti! Stavi parlandomi della tua vita
– Erano soltanto vecchi ricordi
– Si, ma erano i tuoi ricordi
– Sai qual è il peggiore difetto dei vecchi? Quello di credere che il mondo sia interessato a ciò che dicono, mentre invece non li ascolta nessuno.
– Dai, non farmi sentire colpevole. Ti ascoltavo, ma come al solito eviti sempre di raccontare cose che ti riguardano personalmente
– Non è vero, ti ho detto molto di me
– Soltanto quello che desideravi io sapessi.
– E allora? Cosa posso farci se nella mia vita non c'è nulla che valga la pena d'essere raccontato.
– Tu racconta e lascia che sia io a giudicare.
– D'accordo, cosa vorresti conoscere?
– Ogni cosa che ti riguardi intimamente, com'eri, cosa pensavi e se facevi la corte alle ragazze.
– Beh, – Borbottai facendo l'atto di alzarmi – credo sia ora di tornare giù, abbiamo una infinità di cose da fare. Ad ogni modo è meglio scendere per controllare il trattore.
– Cos'ha? Non mi dirai che è di nuovo fermo?
– Beh, in questi ultimi giorni ha fatto qualche capriccio.
– Il trattore, eh? Non sarà una scusa per non parlarmi delle tue avventure con le ragazze?
– Non essere impertinente! – Reagii borbottando parole incomprensibili e avviandomi verso il sentiero che scendeva sul fianco ripido della collina.
– Si può sapere perché vuoi scendere da quella parte? – Domandò lei raggiungendomi – Il viottolo è ostruito dal ramo dell'abete. Non dirmi che l'hai tolto
– No, credo sia ancora li, ma non fa nulla, vedremo di farlo ruzzolare di sotto.
– Non è una buona idea, da quella parte il terreno è umido e c'è poco spazio per quell'operazione. Possiamo farlo domani tirandolo giù dal basso. Dai retta, scendiamo di la, è più agevole
– Si può sapere cos'hai stamani?
– Cos'hai tu! Non fai altro che borbottare – Ribatté lei.
– Io non borbotto mai
– Ah no? Allora cos'erano quei versacci?
– Pensavo
– Ad alta voce?
– Oh! Sta a vedere che non posso più pensare come meglio mi garba.
– Anche tu oggi non scherzi, eh?

Preferii non rispondere, ma quando una decina di metri più in basso il sentiero si restrinse, mi voltai porgendole il braccio.
– Tieniti a me e fai attenzione a dove metti i piedi.

Sara rifiutò sdegnosamente il braccio puntando i talloni nel terreno fangoso.
– Non pensare a me, – Esclamò risentita – piuttosto stai attento tu. Il terreno è viscido
– Scusami, volevo soltanto essere gentile
– Ti ringrazio, ma so cavarmela da sola

Avevamo appena superato lo sperone di roccia che fummo costretti ad arrestarci a causa del grosso ramo che ostruiva il sentiero.
– Visto se avevo ragione? – Esclamò lei – Ora dovremo tornare indietro. Sei il solito di testone
– Qual è il problema? Ora gli affibbio un paio di spinte e vedrai come andrà giù.
– Ma come cavolo pensi di spingerlo? Non vedi che s'è impigliato nella siepe?
– Ora vedrai
– Accidenti a tutte le teste dure! Stai attento, non ho alcuna intenzione di raccoglierti giù nel meleto.

Fingendo di non averla udita poggiai la schiena alla roccia per acquistare più stabilità e poi provai a spingere il ramo con un piede, ma fatti tre o quattro inutili tentativi, mi volsi verso di lei dondolando il capo.
– Non va giù questo figlio di un cane – Borbottai.
– Allora cosa si fa? – Chiese lei con un malcelato sorriso sulle labbra.
– Si torna indietro – Rispose lui senza guardarla.
– Fai provare me, è sufficiente districare il ramo dalla siepe per mandarlo giù – Insistette lei sentendo di potersi prendere una rivincita.

Risentito, dal tono beffardo della sua voce, mi chinai nel tentativo di liberare con le mani il ramo, ma prima ancora di rendermene conto, con un guizzo improvviso, un serpente si avventò contro il mio braccio.

In una frazione di secondo Sara vide il balenio dei denti della serpe e nello stesso istante sentii spingermi all'indietro dal mio corpo, che sotto la violenza dell'attacco ritrassi addossandomi alla parete di roccia.

Pietrificata dallo spavento Sara restò a osservare l'ombra screziata della serpe che, ritta sul corpo, spostava, ora a destra e ora a sinistra, la testa seguendo le mosse del mio ginocchio.

Superato quel primo istante di panico e temendo che la serpe avrebbe nuovamente attaccato, con una rapida mossa Sara avanzò di un passo, sollevò un piede e lo abbassò con violenza schiacciando la testa della serpe sotto la grossa scarpa.
– Mi ha morso! – Dissi con voce roca sollevando la manica della camicia per esaminare il braccio.

Con orrore vedemmo due punture sull'avambraccio leggermente macchiate di sangue.
– Sono un grosso imbecille. – Sussurrai – Avrei dovuto immaginarlo
– Papà, mio Dio, cosa possiamo fare? – Esclamò lei tenendomi il braccio
– Non è nulla, resta calma, so quello che debbo fare.
Sara annuì facendo fatica a controllare le sue emozioni – Lascia che provveda io, – Disse tirando a se il braccio – tu non puoi lasciarmi.
– Ssst, ti prego sii brava, so come cavarmela.
Senza dire altro m'inginocchiai, cavai il coltello dalla tasca del giubbotto, estrassi la lama e porsi avanti il braccio destro.

L'avambraccio era già gonfio e stava annerendo rapidamente. Tirai un grosso respiro e, trattenendo il fiato, con la lama affilata praticai un'incisione a croce al centro delle due punture.

Un fiotto di sangue nero sgorgò dalla ferita che rapido portai alle labbra succhiando e sputando alle mie spalle.

Ancora stordita e inorridita da quanto stava accadendo, Sara seguì ogni mossa nel più completo silenzio, ma quando comprese che stavo per praticare un'altra incisione nel punto di massimo gonfiore, esplose in un grido tentando d'impedirmelo.
– Papà no! Non farlo, non servirebbe a nulla
– Silenzio – Dissi con voce roca
– Non fare il bambino. Ti prego, non farmi morire di spavento
Senza darle ascolto praticai l'incisione
– Sono soltanto poche gocce di sangue, – Dissi con un sorriso stentato sulle labbra – è quello che contiene la maggior parte del veleno, sta tranquilla non è nulla – Sussurrai prima di riprendere a succhiare le ferite e a sputare alle mie spalle.

– Se vuoi fare qualcosa per me, vai a casa, prendi il vaccino che è nella ghiacciaia e porta una coperta. Avrò bisogno di calore e per qualche ora non potrò muovermi. Sii brava, andrà tutto bene, ora va… e non dire nulla ad Amelia.

Sara non se lo fece ripetere due volte, con un balzo superò il ramo che ostruiva il sentiero e si lanciò di corsa lungo il viottolo, per scoprire che quella non doveva essere la sua giornata migliore.
Aveva appena percorso una ventina di metri che, incespicando in una grossa radice, finì con un piede oltre il ciglio del sentiero.
Con una torsione del busto tentò di recuperare l'equilibrio afferrandosi al fusto di un giovane arbusto, ma non fu abbastanza rapida e un secondo più tardi iniziò a ruzzolare lungo la scarpata.

Si arrestò a ridosso del primo melo con un tonfo che non lasciò prevedere nulla di buono e quando poco dopo riprese fiato e tentò di rimettersi in piedi, un acuto dolore alla caviglia la costrinse ad aggrapparsi all'albero per non finire nuovamente in terra.
Con la manica del maglione asciugò il rivolo di sangue che colava da una ferita poco sopra il sopracciglio, poi, serrando i denti per non urlare dal dolore, si avviò verso casa saltellando sul piede sano.

Bene o male raggiunse la sua camera, prese dal letto due coperte e in cucina l'antidoto, poi, prima di riprendere il cammino saltellando verso la collina, applicò una manciata di sale sulla ferita.

Se per ruzzolare giù dal pendio aveva impiegato pochi secondi, per inerpicarsi con le due coperte sulle spalle e la caviglia dolorante, la cosa si fece decisamente più lunga.
Un paio di volte le sfuggirono di mano le coperte obbligandola a tornare indietro e quando finalmente stava per issarsi sulla cima, le sfuggì l'appiglio dalla mano.
Piena di dolori e colma di rabbia si sentì persa.
– Dio aiutami – Singhiozzò riuscendo ad arrivare sulla cima.

Io ero disteso in terra e mi lamentavo debolmente.
Seguendo l'istinto Sara m'iniettò nel braccio il siero senza troppi complimenti, mi coprì con le coperte e dopo essersi tolta il maglione che indossava, me lo pose sotto il capo.
Per un attimo aprii gli occhi e le sorrisi.
– Cos'altro posso fare? – Chiese lei con voce tremante
– Porta dell'acqua, dovrai darmi spesso da bere.

Singhiozzando Sara tornò nuovamente a valle tentando di escludere dalla mente il dolore alla caviglia. Raggiunto il pozzo riempì d'acqua una fiasca e poi di nuovo su per il sentiero mordendosi le labbra ad ogni passo.

Quando risalì ero caduto in una sorta d'incoscienza smaniosa e la temperatura del mio corpo era salita vertiginosamente. Sara mi bagnò continuamente le labbra e la fronte cercando di tenermi sveglio.
Un'intollerabile paura s'impossessò di lei e quando comprese di non essere più in grado di combatterla, si inginocchiò e sollevati gli occhi al cielo gridò con quanta voce avesse in corpo
– "Mamma Amelia" aiutaci.

Forse non fu quella la volta che mi avvicinai alla morte, perché trascorremmo le prime ore aggrappandoci entrambi ai ricordi più belli.

D'un tratto, risvegliatomi da uno stato di sonno agitato, mi resi immediatamente conto che le mie condizioni stavano velocemente peggiorando.
A quel punto Sara non volle pensare, raccolse ogni sua energia e cominciò a pregare rovesciando il capo all'indietro urlando con voce roca.

– «Ti prego, non punirmi ancora... aiutami!»

L'eco di quelle parole non si era ancora perso nel buio che la valle si arrestò come pietrificata e mentre i nostri corpi furono avvolti da una debole luminosità, lei riprese a pregare a voce alta «Non abbandonarci, salvalo» – Sussurrò ormai svuotata di energie mentre anche l'aria parve farsi di pietra.
Da quell'istante trascorse un tempo infinito, poi, improvvisamente, un raggio di luce vivissima saettò dall'alto avvolgendoci, mentre il silenzio fu infranto da un tuono possente.

Pochi attimi dopo era nuovamente china sul mio corpo.
– «Papà» – Sussurrò con voce sommessa
– Sei tu? – Reagii al suono della sua voce
– «Si» – Bisbigliò lei con una voce le cui emanazioni produssero sul mio cuore un effetto simile a una carezza.
– Aiutami se mi ami, non ce la faccio più. Questo dolore mi uccide… – Riuscii a mormorare.

– «Ssst, – Sussurrò lei accostando le labbra al mio orecchio – Sta salendo "mamma Amelia"... voi non potete saperlo, – Riprese lei – ma la vostra vita è la mia stessa vita e non dovrete temere… io raggiungerò il cielo se sarà necessario… ma non vi lascerò mai.»

Poi soffiò sulla mia fronte e mi sentii sprofondare in una stanchezza indicibile, ma prima ascoltai le sue parole.
– «Ora dormi, riposa e non temere mio dolcissimo padre, quando ti sveglierai io sarò con te»

Trascorse la notte, poi, al mattino aprii gli occhi sui visi cerei e preoccupati di Sara e di Amelia.
– Tesoro come stai? – Chiese Amelia sorridendomi
– Molto meglio di ieri sera – Sussurrai sfiorando le mani di Sara che piangendo disse – Papà! Non farci più di questi scherzi, la prossima volta potremmo non farcela.

Mi sollevai a sedere e la presi tra le braccia mentre lei piangendo mormorò
– Non lasciarmi Papà, non lasciarmi mai più.
– Cosa avete fatto tutto questo tempo? – Chiesi
– Cosa avremmo dovuto fare? Siamo rimaste con te
– Mi dispiace… Avete avuto paura?
– Non ne ho mai provata tanta – disse Amelia carezzando i nostri volti.

– Vi ho lasciate sole per una intera notte! Santo cielo, sono proprio un vecchio babbeo buono a nulla.
– Tu non lo sarai mai e poi non eravamo sole, un angelo era con noi.
– Sai che gran cosa? Non sarei potuto essere meno inutile. E dove avete dormito?
– Qui! Sotto le coperte con te
– Avreste dovuto tornare a casa e dormire nei vostri letti
– E lasciarti solo? – Chiese Amelia scandalizzata
– E allora?
– Allora un accidente, quassù è pieno di lupi. Tu devi essere fuori di testa. Neanche per un posto in paradiso ti avremmo lasciato solo, avresti potuto avere bisogno di aiuto.
– Questa frase mi pare d'averla già udita. Cosa ne dici, vogliamo scendere?
– Sei certo di riuscire a farcela?
– No, ma non ho alcuna intenzione di rimanere qui in terra a fare il babbeo. E poi se ricordo bene, ho un conto in sospeso con un certo ramo. Ohi ohi! Il mio stomaco brontola vergognosamente.
– Ora ce ne andremo a casa e ti metterai a letto.
– Letto? Con tutto quello che c'è da fare?
– Se ho detto che andrai a letto, tu andrai...
– ... a letto. Va bene! Basta che la smetta di brontolare
– Lo farai? – Chiese Sara guardandomi sorpresa
– Certo, a patto però che sia soltanto per un giorno.
– Niente da fare, rimarrai a letto fin quando non ti avrà visitato il dottore. Più tardi andrò a Middlebury col carro – Disse Amelia
– Ehi ehi ferma tutto! Quale dottore?
– Papà, hai dimenticato d'essere stato morso da una serpe?
– Oh poverina! Sarà sicuramente morta per over dose.
– Accidenti a te! – Borbottò Amelia – Almeno una volta vuoi farmi stare tranquilla? Non sei più un ragazzo
– Chi lo dice?
– Lo hai detto tu che sei un vecchio babbeo... Scusa, però se non vuoi vedermi morire devi smetterla di fare sempre di testa tua.
– Mia madre me l'ha data per farla funzionare.
– Di questo ne sono certa, però deve essersi dimenticata di dirti che non serve soltanto per tenerci il cappello...
– E va bene! – Urlò lei – Non volevo essere scortese con tua madre, scusami… Tu mi farai morire
– Non mettere tutto in tragedia, non ho alcuna intenzione di privarmi della tua compagnia.
– Allora promettimi che te ne starai a letto
– E il lavoro?
– Una cosa alla volta, per ora il nostro lavoro sei tu
– Anche voi non scherzate in fatto di testa dura.
– A furia di frequentare gli zoppi s'impara a zoppicare
– Invece di dire scemenze perché non mi aiuti a rimettermi in piedi, sono stanco di stare sdraiato sul duro, ho tutte le ossa rotte – Brontolai sorreggendomi alle sue spalle.
– Sapessi quanto pagherei per vedere cosa c'è in quella zucca che hai al posto della testa – Borbottò lei aiutandomi

Senza degnarle di una risposta provai a camminare avviandosi lentamente verso il sentiero.
– Ora dove stai andando? – Chiese Sara
– Dobbiamo scendere o no!
– Maledizione, ma allora tu ce l'hai con noi! Vuoi farti entrare nella zucca che non sei in grado di scendere da quella parte
– Va bene, sono un testone... però non c'è bisogno che me lo ripetiate continuamente – Risposi gridando quanto lei.

Stringendosi nelle spalle Sara sorrise, ma quando mi voltai verso di lei, dovette farsi venire un attacco di tosse per mascherare meglio la ferita sulla fronte.
– Come te la sei procurata? Fa vedere

Schivando la mia mano Sara si allontanò di corsa lungo il sentiero
– Ehi dove vai? – Urlai
– A preparare la colazione! Fate in fretta
– Vai piano incosciente, potresti ruzzolare di sotto.
– Già fatto – Mormorò fra se Sara sfiorandosi la fronte con la mano.

Io e Amelia riprendemmo lentamente il cammino sorreggendoci l'un l'altra.
Superato il meleto ci arrestammo a guardare lo scempio arrecato da Sara ai viticci.
– Cosa vuoi farci, – Disse Amelia sorridendo – sai com'è quella benedetta figlietta, magari domani verrà a chiedere scusa a quelle piante.

Quando raggiungemmo i gradini della veranda, ero sfinito.
– Dai lumaconi, cosa aspettate a salire? Ancora un po' e sarà tutto freddo – Gridò Sara dalla cucina.

Inspirai col naso l'aria profumata che proveniva dall'alto
– Dovrebbero essere uova fritte con lardo... – Borbottai ad Amelia
– ... e salsa piccante! – Terminò Sara affacciandosi alla porta.

Sorridemmo e scuotendo il capo riprendemmo a salire le scale mentre Amelia, grattandosi furiosamente la testa borbottò.
– Grazie a Dio è finita bene.

view post Posted: 25/9/2020, 07:36     +1Annunci d'inverno - video poesie


Annunci d'inverno



Or vanno lontane
le silenti culle
di quelle tue fredde
e bianche labbra,
le stesse che posi
nel vuoto dell’insonnia,
d'un vicino lago.

Così,
come rintocchi di campane,
mille echi si diffusero
nell’aria e mi colmano il cuore
del loro suono
di risonanti foreste.

Poi, d'improvviso,
voci e confessioni
passano dal vuoto dell'insonnia
al suono dolce del Champlain,

dove, nella bruma meridiana,
gli alberi si piegavano
al soffio dell'autunno
e come materne rovine
dei fragili rami
del mio essere
annunciavano l'inverno.

Così, mentre io vivevo,
aggrappato alle pallide speranze
che tu poetavi…
alleluia…
si posava la neve sulla
rossa culla del mio cuore.

Ove, nel gelo insolito
dell'annunciato inverno,
trascinando i finti raggi
del vergine tramonto,
mentre un incantesimo
di colori
dispiegando le catene,

mi scortava verso
il freddo sole
di un lontano cielo.


view post Posted: 24/9/2020, 09:05     +1I miei Inverni in Vermont - video poesie



I miei inverni in Vermont - by vert/Mcb



...giungevano in silenzio,
un giorno dopo l'altro,
e mentre attorno tutto si assopiva,
io vivevo intimamente il suo arrivare.

Dapprima era l'aria a perdere il tepore,
poi il mattino che tardava a farsi chiaro,
gli echi della valle che smarrivano il vigore,
e le sere che invitavano al riparo.

In cielo a volte si accendeva un lampo,
oppure sulle cime brontolava un tuono.
Di lontano qualche temporale
e alla sera sempre un po' di vento.

Ma quando lui arrivava guidando il carro bianco,
era come se il mondo intero volesse riposare.
E lei, mamma neve,
silenziosamente ammantava la mia valle.

Quella era l'ora degli addii ai campi riarsi al sole,
agli aceri infuocati e alle corse folli,
ai canti a viva voce
e ai giochi nella valle.

Vivevo un mondo un po' bambino
in cui la vita non cambiava.
Come al solito
non c'era un'ora dell'intero giorno,
che non avessi un compito da fare.

All'alba nella stalla ad accudire agli animali,
mungere le mucche,
poi fuori a tagliar legna
o nel fienile a sistemar le balle.

Riparare gli steccati
o rinforzare i tetti per la neve.
Gli animali lungo i pascoli
e poi rifare i letti.

Ramazzare un po' le stanze,
poi al torrente col bucato,
il pane da infornare,
preparare da mangiare.

Senza dire delle serre,
dove c'era da estirpare,
trapiantare, raccogliere,
pulire ed irrigare.

Pomeriggio rammendavo
i miei maglioni,
i calzini,
i pantaloni e le camice di mio padre.

A volte le stiravo recitando Shakespeare,
e a volte,
(mi vergogno a confessarlo)
sognando d'essere Giulietta.

Nei giorni in cui la neve non dava moto al passo
perfino piatti nuovi provavo ad inventare.
Provavo e riprovavo,
ma la zuppa non cambiava.

Mondo nuovo in cui tutto mai mutava.
L'aria, la terra,
ma soltanto con le letture
il mio spirito volava.

Indimenticabili sere degli inverni miei,
com'era dolce udire le faville schioccare nel camino
mentre le inseguivo su, nell'antro,
verso il cielo, smaniosa di volare in loro compagnia.

Quanto silenzio,
quanta pace,
quanto amore,
quanto lavoro...
…ma che gioia vivervi,
inverni miei!


Ciao!

view post Posted: 22/9/2020, 00:19     +1Il Mondo di Tars - mcb




Il mondo di Tars



Questa storia ha il suo inizio in epoche remotissime, pressappoco quando attorno al nostro sole ruotavano, assieme ad altri otto mondi, due pianeti, ovvero il terzo e il quarto, dall'aspetto assai simile, seppure molto diversi tra di loro e questo semplicemente perché il terzo pianeta, identificato come Terra, si era formato soltanto da 4.6 miliardi di anni e aveva avuto un processo evolutivo più complicato rispetto a quanto era invece accaduto al quarto pianeta, il suo gemello di nome Tars.
Per questa ragione Terra era ancora un inferno di fuoco e fiamme quando Tars, raggiunto il culmine della sua evoluzione, aveva iniziato a trasformarsi in un pianeta di una bellezza ineguagliabile e dando origine a varie forme di vita.
Il suo clima, controllato da un perfetto eco sistema, lo rese in breve un vero paradiso.
I suoi cinque continenti, emergenti da un unico oceano, erano coperti di lussureggianti foreste, di altissime montagne e vasti laghi d’acqua dolce.
Il suolo fertile, ricco di messi e di sterminati pascoli ubertosi, ospitava interminabili teorie di greggi. Dalle profonde foreste vergini, dov'era possibile udire lo svolgersi della vita animale libera e incondizionata, si levavano in volo frotte d'uccelli dai più vivaci colori che popolavano e allietavano le riviere, i giardini e le dolci colline abitate dai primi uomini e per questa ragione, Tars meritò, prima di scomparire nell'oblio, l’appellativo di pianeta della pace, delle scienze e culla di una nobilissima civiltà che illuminò l’intero sistema solare.
Ma purtroppo e Tars non fece eccezione, sembra che tutto ciò che è bello e valga la pena d'essere difeso, non appena viene sfiorato da mano umana…immancabilmente si avvii verso un inevitabile declino a causa della stupidità degli uomini…Infatti, un infausto giorno, a causa d'interminabili guerre nate da insensate e presunte ragioni di superiorità e di armi incredibilmente potenti, Tars finì per esplodere portando con se tutta la sua storia e la sua millenaria civiltà…tranne una piccolissima parte di se, che da allora iniziò a ruotare attorno alla Terra e alla quale fu assegnato il nome di Luna.

Di Tars si era persa ogni memoria nella notte dei tempi e nessuno seppe mai della sua esistenza…fino a che un giorno, alcuni astronauti, inviati sulla Luna a fare ricerche, non s'imbatterono nel più grande segreto.
Quegli uomini ebbero la fortuna di ritrovare, nelle viscere del piccolo satellite, il ricordo di Tars e di una parte della sua storia.

Non tutta s'intende, se ne recuperarono alcune porzioni; principalmente quella riguardante la storia della vita primitiva e più pura che germogliò su Tars…inoltre furono recuperate altre notizie riguardanti i successivi secoli di vita e purtroppo anche la parte più triste, ovvero la fredda cronaca di una fine annunciata.
A leggerla si ha l'impressione che riguardi senza mezzi termini la storia della nostra umanità e questo fa supporre che nel momento della disgraziata fine di quel mondo, qualcosa sia giunto a noi.
Come è perché sia arrivata non pretendo di saperlo né d'immaginarlo, però è arrivata e speriamo che almeno possa servire a mantenere nell'animo degli uomini un sacrosanto rispetto dell'unica casa comune di cui la natura ci ha fatto dono…questo ancora stupendo pianeta.

Io ho potuto leggere, ascoltare e vedere quelle vestigia ritrovate sulla Luna e oggi qualcuno mi chiede di raccontare quello di cui sono venuto a conoscenza.
Compito assolutamente arduo considerando la mia età, però vorrei provarci…visto mai che si riesca a cambiare ciò che di sbagliato l'uomo sta facendo?

All'inizio del primo millennio dell'era della luce, avvenne la scoperta dell'amore e della coscienza.

«….ancora oggi, sull’isola del sole, vi sono notti in cui uomini dalle antiche memorie si radunano sulle spiagge e attorno ai fuochi raccontano la leggenda di Hiyvv il gabbiano e della bambina che venne dal mare…e mentre attorno scende un gran silenzio, ogni giovane donna rivive nel suo cuore la loro storia d’amore.»

«Tanti, tanti anni fa, quando nel cielo ruotava assieme al pianeta Tars l'altro pianeta chiamato Terra (per la verità sembra che il nome con cui veniva identificato fosse Gaia, ma di questo ne parleremo più avanti) i primi uomini di Tars decisero di dividersi gli spazi (che per nostra comodità chiameremo terre) di quel pianeta.
Della bellezza di quel pianeta se ne parlava dappertutto e tutti volevano avere una parte di quelle terre su cui crescere e allevare i propri figli…La voce arrivò perfino in fondo al mare, dove una piccola cellula, (non si conosce il suo nome e per questo la chiameremo soltanto cellula) nata nelle profondità del buio oceano, interessata anch'essa all'idea di vivere su quel paradiso, provò a chiedere a suo padre, il terribile dio delle acque, di lasciarla salire alla superficie per iniziare una nuova vita e diventare donna.

Ovviamente suo padre si oppose energicamente e fece di tutto per dissuaderla, ma della sua risolutezza la piccola cellula fu così determinata, che mettendo in campo ogni sua risorsa e tanta pazienza, riuscì, alla fine, ad ottenere il consenso…e un giorno, abbracciate le numerosissime sorelle e suo padre, che la osservava allontanarsi preoccupato e orgoglioso di quella coraggiosa figlia, la piccola cellula iniziò, sola soletta, ma con tanta esultanza nel cuore, a salire verso la luce.

La strada che dovette percorrere fu davvero lunga e non priva di ostacoli… se non addirittura di pericoli, ma il suo coraggio vinse su tutto e quando finalmente si affacciò alla luce del sole…per poco non le capitò di morire arrostita.
In fretta e furia fu costretta a modificare il suo stato evolutivo di creatura marina in quello più lento e complesso di creatura terrestre, dovendo imparare all’istante a respirare l'atmosfera di Tars ed alimentarsi in modo appropriato per non morire.

Tra l’infinità di cose nuove che dovette sforzarsi di comprendere alla svelta, ve ne furono alcune di difficile interpretazione, mentre altre furono più vicine al suo spirito semplice.
Imparò così ad amare e rispettare ciò che la circondava, beandosi di alcuni piaceri a lei sconosciuti; come quello del contatto con la sabbia dorata e meravigliosamente calda.

Certo i primi momenti di quella nuova vita non furono del tutto tranquilli, ed ebbe bisogno di tutto il suo coraggio per uscirne indenne senza sentirsene troppo scossa.
I primi periodi che visse su quel nuovo mondo trascorsero in un susseguirsi di scoperte, di gioie e qualche piccola delusione.
Imparò a riconoscere tutte le creature innocue che popolavano la spiaggia, ed anche quelle che, invece, l'accolsero con scarsa amicizia.
Imparò a difendersi, comprendendo che da ciò poteva dipendere la sua vita, imparò a riconoscere uno ad uno quei singolari esseri che sembravano essere gli unici veri dominatori di quella splendida isola e che volteggiando incessantemente nell’aria erano alla continua ricerca di cibo.

Quelle creature volanti l’affascinarono fin dal principio e sebbene il loro aspetto elegante potesse far pensare ad esseri miti e pacifici, ben presto dovette riconoscere in loro il più pericoloso dei suoi avversari.
E fu proprio per evitare di finire preda dei loro enormi becchi che dovette cercarsi un riparo per poter meglio difendersi dai loro attacchi.

Per sua fortuna, poco distante dal tratto di spiaggia su cui era emersa, scoprì una cavità, a ridosso del costone sabbioso che separava il litorale da un vasto bosco d'alberi sempre verdi e di li, dove ebbe modo di trovare una sistemazione adatta al suo sviluppo, oltre che imparare varie tecniche per confondere quei cacciatori alati capì come poteva procurarsi il cibo necessario alla sua sopravvivenza.

Per la verità in più di un'occasione fu ad un passo dall’essere preda dei loro becchi e la volta che credette d’essere ormai spacciata, uno di quegli strani animali, ma così giovane da non essere ancora esperto nell’arte del volo, divenne suo amico e la difese contro ogni attacco dei suoi compagni affamati.

Il tempo trascorse lentamente sia per lei sia per il giovane gabbiano che divenne enorme e meravigliosamente bianco e quando le forze glielo permisero, lui iniziò a condurla con se (ben sistemata tra le piume del collo) in tutte le sue avventure di volo.

Crebbe anche lei e pian piano acquistò l’aspetto di una bellissima bambina, i cui capelli dorati e gli occhi d’un color turchino fecero innamorare il povero gabbiano che ne divenne il precettore, il compagno di giochi e il confidente… e per lei, il suo primo sentimento d’amore.

- Hiyvv! - Chiese lei mentre dall’alto del costone osservavano il mare - Perché hai fatto la sciocchezza d’essere mio amico? I tuoi compagni non hanno gradito questa tua difesa nei miei confronti…Perché lo hai fatto?
Il povero gabbiano non seppe cosa rispondere. Non poteva certo dirle che l’amava, sarebbe stato stupito soltanto immaginarsi che lei avesse mai potuto ricambiare quel sentimento…e allora dette a quella domanda una semplice risposta.
- Perché non si ha tutti lo stesso cuore

Trascorse dell’altro tempo e lei, la bambina, crebbe divenendo una splendida ragazza che fece innamorare ancor di più il povero gabbiano.
- E tu perché mi concedi la tua compagnia? - Chiese lui un giorno mentre osservavano un gruppo di giovani uomini avvicinarsi al mare
- Perché sei mio amico…e per me un amico è più importante d’ogni altra cosa
- È sciocco e tu non devi sentirti impegnata in alcun modo… - Replicò lui tentando di mascherare il piacere che quell'affermazione gli aveva procurato - Io non potrò esserti amico a lungo…alla mia razza non è concesso vivere quanto un uomo
- E questo cosa vuol dire?
- Che quando morirò tu rimarrai sola
- Tutto qui? - Rispose lei sorridendo - Allora puoi stare tranquillo, tu non potrai mai andare da nessun'altra parte perché ormai sei dentro il mio cuore…e di qui non ti permetterò più di uscire.

Trascorse dell’altro tempo, ma il pensiero di ciò che aveva detto Hiyvv e che presto sarebbe rimasta sola, iniziò a rattristarla…e a nulla valsero l’affetto e le continue dimostrazioni d’amicizia di cui Hiyvv la circondava. Inoltre, quando i giovani uomini che erano venuti per pescare furono pronti a far ritorno alle loro case, tentarono di tutto per farle comprendere che sarebbe stata cosa saggia se avesse abbandonato la spiaggia per andare a vivere nel loro villaggio…

«Non puoi restare sola…tu appartieni al popolo degli uomini…e nel nostro villaggio avresti protezione e cibo in abbondanza…Cosa potrai mai farne della tua vita quando il gabbiano ti lascerà…Non vivono a lungo quegli uccelli e tu presto resterai sola»

Dubbi e tristezza moltiplicarono i dolori del suo cuore e non fu facile superare indenne quel triste periodo, si sentiva confusa e incapace di prendere una decisione. Aveva compreso di appartenere alla razza degli uomini…ma troppi ricordi importanti la legavano a quella spiaggia e al suo caro Hiyvv.
Quegli uomini seppero insistere e le loro premure seppero renderle la vita un abisso di dubbi. Lasciò trascorrere alcuni giorni sempre pressata dalle loro insistenze e una mattina, dopo aver trascorso una notte di veglia, decise che avrebbe seguito quegli uomini.

- Addio amico mio… - Sussurrò carezzando il corpo del gabbiano - Non posso più restare con te…il mio corpo appartiene alla razza degli umani…e presto partirò con loro
- Credevo che gli amici non si abbandonassero mai - Replicò tristemente lui
- Io non potrò mai abbandonarti se resterai padrone del mio cuore. Per me tu non sei stato soltanto un amico… sei stato il mio coraggio, la mia forza e io ti debbo la vita
- Ma tu appartieni agli uomini… - Commentò tristemente lui evitando di guardarla negli occhi
- Tu mi hai insegnato che appartengo soltanto a me stessa…ed io non tradirò mai la tua amicizia
- Allora resta con me! - La pregò lui con le lacrime agli occhi
- Questo non puoi chiedermelo… - Singhiozzò lei - Il prossimo anno tu non ci sarai, ed io sarò sola
- Hai ragione…scusami… - Mormorò lui comprendendo d’averla persa - Ad ognuno di noi spetta la vita per cui è stato creato e nulla può cambiare questa certezza
- Addio mio cuore…- Sussurrò lei carezzandolo - non ti dimenticherò

Da quel giorno la vita della bambina cambiò completamente, imparò a vivere un’esistenza del tutto nuova, ebbe molti altri amici con i quali giocò e crebbe.
Ma se il suo volto mostrava d’essere felice e la sua vita era colma di gioiosa vitalità, ben presto cominciò a provare nostalgia del tempo trascorso sulla spiaggia, rammaricandosi d’aver lasciato cadere quel primo sentimento d’amore che ancora possente le riempiva il cuore.

Con quei ricordi trascorse infinite notti in lacrime e dovette vincere l’istinto di razza prima di sentirsi pronta a fuggire dal villaggio e alla fine decise di ascoltare il suo cuore.
Di soppiatto una sera lasciò la sua capanna e dopo una corsa a perdifiato che durò tutta la notte raggiunse la spiaggia gridando il nome del suo amore
- Hiyvv…Hiyvv…Oh Hiyvv!
Chiamò ed urlò quel caro nome, ma nessuno le rispose e lei si lasciò scivolare in lacrime sulla sabbia.

Trascorse il giorno in lacrime disperandosi e urlando il nome del suo amato…e poco prima del tramonto, mentre all’orizzonte il sole incendiava le basse nubi, le fu rivelato che Hiyvv si era dato la morte in mare lo stesso giorno in cui lo aveva lasciato per il mondo degli uomini.

Lei non volle credere d'essere stata causa della sua morte e continuò a chiamarlo nei giorni e nelle notti che seguirono.
Poi, quando quel dolore divenne insopportabile, lentamente si avviò in mare…e rinunciando al sogno d’essere donna, scelse di tornare in quell’oscurità dov’era nata e dove avrebbe ritrovato il suo perduto amore.»

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Pressappoco verso la fine del primo millennio dell'era della luce, sul continente Nord di Tars, iniziarono a verificarsi strani e misteriosi fenomeni.

All'inizio furono in molti a considerarli scherzi di qualche burlone, ma quando altri cominciarono ad argomentare che potessero essere opera di belzebù, capirete bene che la cosa prese una piega diversa e in verità la cosa cominciò ad allarmare anche i più scettici.
Le prime avvisaglie si ebbero sulla piccola isola della montagna verde. Nulla di preoccupante, soltanto qualche sparizione che somigliava a furtarelli da due soldi, però fu proprio lì che cominciarono a nascere le prime voci che misero in allarme le autorità del luogo e in particolare quelle religiose.
- Perché le autorità religiose, direte voi?
- Beh, state a sentire e poi capirete

Sull'isola della montagna verde, proprio sotto la sua ombra, nascosta da una minuscola ansa che ne impediva la vista a chi veniva da mare, c'era una minuscola spiaggia ben protetta dalle correnti fredde che scendevano dal nord del grande continente e sulla quale Gull il pescatore aveva la sua casa.
Gull era un ragazzone di circa vent'anni e quando all'alba rientrava con la barca da una notte di pesca, dopo una buona dormita amava trascorreva quasi tutto il suo tempo a curare un orticello che gli forniva verdure fresche e a migliorare la struttura di quella che con un certo orgoglio chiamava "la mia casa".
Beh, in realtà lo era, ma non dimentichiamoci che a quei tempi le case non era come le conosciamo oggi…erano un po' meno curate e non avevano grandi comodità, ma per il buon Gull era la sua casa perché l'aveva edificata suo padre e alla sua morte ne era diventato il padrone e sovrano.

Per la verità ci voleva un bel coraggio a vivere da solo su quella spiaggia lontana da tutto e da tutti, ma Gull era giovane, gli piaceva il suo lavoro e soprattutto era testardo.
Prima che suo padre morisse, gli fece promettere che avrebbe avuto cura di quella casa…di ammogliarsi…e di mettere al modo un paio di figli e lui faceva quello che poteva…aveva la massima cura della casa, ma di mogli e di figli nemmeno l'ombra…e sapete perché? Perché nessuna ragazza con la testa a posto avrebbe mai scelto di andare a vivere con lui su quella spiaggia lontana dal mondo.
Eppure a lui piacevano i bambini, ne era così incantato che inventava di continuo filastrocche divertentissime che recitava ai bambini dell'isola del sole.

Capitava raramente, ma di tanto in tanto Gull si recava con la barca sull'isola del sole dove aveva molti amici tra i bambini del villaggio, ai quali recitava le sue ultime filastrocche.

Gli uomini del villaggio, per prendersi gioco di lui, gli raccontavano sempre la vecchia storia della bellissima ragazza venuta dal mare che si era innamorata di un gabbiano, ma che un giorno era scomparsa misteriosamente dall'isola, facendogli poi sempre la stessa domanda
- La tieni nascosta sulla tua isola?
- Non ho nessuna ragazza sull'isola - Si difendeva lui diventando rosso in viso - Ma vedrete che un giorno o l'altro ve la ritroverò io quella ragazza
Lui ci scherzava e ci rideva, ma quando rientrava nella sua isola non faceva altro che pensare a quella storia della ragazza e a volte la lasciava perfino entrare nei suoi sogni.

La sua vita trascorreva monotona e tranquilla, ma un giorno d'inverno, visto che il mare non voleva proprio saperne di calmarsi, impedendogli così d'uscire con la barca, decise di impiegare il suo tempo a riparare il tetto della casa.
Quell'anno sembrava non volesse più smettere di nevicare e il tetto della casa cominciava a dare preoccupanti cenni di cedimento.
Pensò che con poche e buone assi di legno, avrebbe rafforzato la stabilità del tetto e soprattutto avrebbe eliminato tutti quei fastidiosi sgocciolii che durante le giornate di pioggia lo costringevano a sistemare, un po' per tutta la casa, bacili e catinelle affinché non si allagasse.
Quindi indossò il mantello di pelliccia, calzò gli stivali e con l'ascia sulle spalle si avviò verso le piane del bosco di Gull (sissignore ho detto Gull, poiché fu proprio suo padre a dare quel nome al bosco sotto la montagna) alla ricerca qualche buon tronco da cui ricavare il materiale per riparare il tetto.
Anche il mese precedente era salito fin lassù e tra l'altro aveva fatto una capatina in paese dove era stato messo al corrente di quelle strane cose che accadevano. Tutto il paese ne parlava, ma nessuno riusciva a capire chi potesse essere il mariuolo che le combinava.
Sentì parlare di fantasmi e di magie, ma lui non credeva né agli uni né alle altre…lui era un pescatore, quindi uno con la testa sulle spalle.

Aveva appena iniziato la sua ricerca arrancando tra la neve, quando un'improvvisa e fitta nebbia scese dalla montagna insinuandosi tra gli alberi.
Ormai Gull si trovava decisamente lontano dalla sua casa e non appena vide scendere quel nebbione, si affrettò a riprendere la strada del ritorno.
Non aveva certo nessuna delle paure che tormentavano gli abitanti del villaggio, ma neppure aveva intenzione di perdersi tra i boschi e dover poi trascorrere la notte al freddo, perciò si assestò sulle spalle il mantello di pelle di pecora, si calcò fin sulle orecchia il berretto e con l'ascia sulle spalle ripercorse la strada che avrebbe dovuto riportarlo verso la spiaggia.
Ben presto però si accorse d'essersi sbagliato; sul sentiero che stava percorrendo non vide le sue precedenti tracce sulla neve e tra l'altro sembrava andasse proprio in direzione opposta.
Infatti, quando scese la sera si accorse con una certa preoccupazione di essere ai piedi della montagna e di essersi smarrito.

- Bel marinaio che sei! - Si disse cercando di mantenersi allegro

Ad ogni modo le notti in mare gli avevano insegnato a non perdersi d'animo, cercò un anfratto che potesse offrigli un minimo di riparo e quando stava già per rannicchiarsi nella sua coperta, vide in lontananza un debole bagliore.
Decise di andare a vedere di cosa si trattava e riprese il cammino con passo deciso. Man mano che si avvicinava si accorse che la luce proveniva dalla finestra di una baita in pietra, di quelle che usano i pastori quando d'estate portano le greggi al pascolo.
- Qui troverò sicuramente un focolare e un posto caldo per trascorrere la notte - pensò Gull bussando alla porta.
Con sua grande sorpresa non rispose nessuno.
- Deve pur esserci qualcuno - rifletté - Le candele non si accendono certo da sole
Bussò ancora, ma anche allora, sebbene avesse sentito delle voci provenire dall'interno, non rispose nessuno.
Gull s'infuriò e gridò:
- Che razza di gente vive in questa casa se non vuole dare asilo ad un viandante stanco in una notte d'inverno come questa?
Per qualche istante sembrò che nulla si muovesse, ma poi sentì dei passi strascicati e vide la porta aprirsi di quel tanto che sarebbe bastato per far entrare un gatto.
Nello spiraglio della porta una vecchia lo squadrò severamente.
- Scusate buona donna potreste ospitarmi per questa notte? Credo di essermi perso? - Chiese molto cortesemente lui
- Neanche per sogno! - Rispose poco cortesemente lei
- Ma che accidenti avete nel cuore? Non ci sono altre case nel raggio di mezza giornata di cammino e se mi lasciate qua fuori domani morto attaccato alla vostra porta e voi scavare una fossa per darmi sepoltura
Forse spaventata da quel obbligo certamente faticoso, la vecchia spalancò la porta borbottando
- Entra e vai a scaldarti al fuoco, ma non c'è nulla da mangiare!

Gull entrò nel piccolo ricovero e sentì la porta richiudersi alle sue spalle con un tonfo.
Nel camino ardeva un bel fuoco, si accostò e fu allora che vide, sedute ad entrambi i lati del focolare, due vecchie che lo guardavano abbastanza contrariate.
- Scusatemi tanto care signore…non vi avrei disturbato se fuori non facesse tanto freddo
- Scusarti? E perché dovremmo scusarti…per colpa tua stasera non si berrà
- Non darle retta figliolo. - Borbottò la vecchia che l'aveva fatto entrare - Tu scaldati e vedi di addormentarti in fretta
Dopo di che le tre vecchie non gli rivolsero più neanche una parola, ma presero a bisbigliare tra di loro.
Lui si avvolse nella sua coperta e tentò di addormentarsi.
Però non riusciva a prender sonno perché non si trovava a suo agio nel piccolo ricovero e pensò che forse sarebbe stato meglio se avesse tenuto gli occhi aperti… quelle tre vecchiette non lo convincevano.
Ma vuoi per il calduccio o perché era veramente stanco, Gull chiuse gli occhi e si concesse un sonno leggero.
Appena il suo respiro rallentò mostrando d'essere addormentato, una delle vecchie si alzò e andò verso una grossa cassa di legno in un angolo della stanza.
Probabilmente si erano ormai convinte che l'ospite indesiderato si era addormentato, ma Gull aveva imparato a dormire con un occhio solo per tenere sotto controllo la lenza e quando vide la vecchia aprire il pesante coperchio, estrarne un mantello d'un bel colore scarlatto e indossarlo, decise di aprirli tutti e due gli occhi.
E fece bene poiché tutte e tre le vecchie si presero per mano e iniziarono a girare intorno alla cassa ballando e cantando una nenia ossessiva, poi all'improvviso si fermarono e gridarono con voce gracchiante
«Al castello, al castello!»

Con grande stupore Gull vide le tre vecchie dissolversi nell'aria in un batter d'occhio.
Un istante dopo Gull si ritrovò padrone della stanza.
- Vecchie streghe malefiche! - Borbottò tra se alzandosi per avvicinarsi alla cassa - Per la barba di belzebù, ma cosa c'è in questa cassa?
Al suo interno c'era soltanto un altro mantello scarlatto, esattamente uguale a quello che aveva indossato la vecchia. Curioso di sapere in quale mondo le tre streghe si fossero involate, indossò il mantello e dopo aver fatto su se stesso qualche giro di danza intonando le nenia che aveva udito, gridò forte come avevano fatto le altre:
«Al castello, al castello!»

Improvvisamente le pareti della stanza scomparvero e Gull ebbe l'impressione di sfrecciare velocissimo nell'aria fredda della notte.
Pensò che fosse arrivata la sua ora ed ebbe paura, ma ecco che d'un tratto senti mancare il sostegno sotto di se e con un grosso tonfo piombò al suolo. Guardandosi attorno dolorante, scoprì di trovarsi in una grande cantina dove le tre vecchie stavano sbevazzando smodatamente.
Appena videro Gull le tre arpie s'interruppero e gridarono:
«Alla cantina del curato!»
E immediatamente sparirono.

Per un po' Gull si massaggio le parti doloranti, poi decise di seguire le vecchie…e dopo un nuovo tonfo sul pavimento si trovò in un'altra cantina, un po' più piccina, ma ugualmente ben fornita, dove le tre avevano ripreso a sbevazzare.
Quando le vecchie videro di nuovo il giovane si presero per mano e urlarono
«Alla capanna, alla capanna, riportaci indietro!»

A quel punto Gull non aveva davvero più nessuna voglia di seguirle, quel luogo gli piaceva, era caldo e asciutto e l'indomani avrebbe raccontato a tutto il paese chi erano le ladre che combinavano guai in paese.
Osservò attentamente tutte le brocche e le bottiglie sugli scaffali, bevve un sorso ora da questa e ora da quella bottiglia, tirò giù dal soffitto un sostanzioso rosario di piccole e profumate salcicce e se ne riempì lo stomaco, poi si trascinò in un angolo addormentandosi profondamente.

La cantina nella quale Gull era misteriosamente arrivato, apparteneva al curato del paese.
La mattina dopo la domestica del curato scese in cantina a prelevare un po' di lardo per la colazione del sant'uomo e vedendo le bottiglie vuote disseminate per terra ebbe un moto di stizza.
- Santo cielo - Borbottò la vecchia - Già altre volte sono venute a mancare delle bottiglie dagli scaffali, ma non è mai accaduto che i ladri si comportassero in questo modo così sfrontato…questa volta si sono pappati anche una intera fila di salcicce. Oh corona del dolore E ora chi glielo dice al curato… Era già con pronta a precipitarsi di sopra quando vide Gull che se la dormiva in un angolo con il mantello scarlatto ancora sulle spalle e con in mano qualche salciccia
- Ora ti aggiusto io brutto ladro ubriacone - E cominciò a gridare con quanta voce avesse in corpo - Al ladro! Ho trovato il ladro! Aiuto, ora mi ammazza!
Al suono di quelle urla Gull si svegliò, ma non fece neppure in tempo ad alzarsi che fu raggiunto da una gran legnata sulla testa che lo tramortì.
Accorse altra gente che legarono le mani sulla schiena di Gull, gli incatenarono i piedi e lo trascinarono via come un'anatra pronta per la griglia.

Un imponente codazzo di paesani trascinò il prigioniero al cospetto del curato, ma prima di lasciarlo avvicinare al sant'uomo, gli strapparono il mantello dalle spalle, perché era mancanza di rispetto recarsi a far visita al curato con il mantello sulle spalle.
Gull fu interrogato, accusato di stregoneria e quindi condotto davanti al tribunale, che lo condannò al rogo.

Per non farsi credere pazzo si guardò bene dal raccontare la storia delle tre streghe, ma ogni sua difesa fu inutile e d'altra parte non c'era nessuna possibilità di perdono per chi era stato sorpreso con il corpo del reato tra le mani.
(Ragazzi miei dovete credermi, ma a quell'epoca la giustizia era una cosa seria e chi sbagliava pagava!)
Nella piazza del mercato venne ammucchiata una grande catasta di legna e sopra venne legato il povero peccatore
All'ora stabilita dell'esecuzione una grande folla si era radunata per vedere morire tra le fiamme il pericoloso ladro di vino nonché figlio di belzebù.

Gull si era già rassegnato alla sua triste sorte quando improvvisamente gli venne un'idea.
- Un ultimo desiderio! - gridò in lacrime - Non voglio andarmene all'altro mondo senza il mio mantello
- Mica ti facciamo morire tra le neve - Disse il boia - Avrai un bel foco a cui scaldarti
- Lo so, ma vedi amico mio, quel mantello me lo regalò mio padre…ed io non voglio lasciarlo qui…per favore…quando sarò in cielo pregherò per te
- Ma tu non andrai in cielo…a te spetta l'inferno!
- Per favore! - Disse lui - Pregherò belzebù di non venirti a cercare prima di cent'anni
- Giura!
- Giuro solennemente di ricambiare il tuo favore
- Allora va bene…Oh, ma bada di non dimenticarlo!

E così il boia gli concesse l'ultimo desiderio, gli mise sulle spalle il mantello e…Non appena Gull se lo sentì indosso lanciò un'occhiata disperata alle fiamme che già lambivano le punte dei piedi e gridò più forte che poté:
- Alla capanna, alla capanna, riportami indietro!
Con grande sorpresa del boia e di tutti quei bravi paesani (si fa per dire, vero?) e del curato, che nel veder sfumare la sua vendetta fu colto da un dolorosissimo attacco di bile, l'uomo e la catasta di legna scomparvero e non furono mai più visti sulla montagna.

Quando Gull ritornò in sé si ritrovò disteso sulla neve legato come un maialino alla catasta di legna, ma del vecchio ricovero e delle tre streghe non c'era più alcuna traccia.
- Accidenti alla mia curiosità, giuro che da oggi mi farò soltanto i fatti miei…E ora chi mi scioglie, se resto ancora un po' disteso sulla neve farò la fine del baccalà!
La giornata, dopo la nottata di neve, era tornata ad essere limpida e Gull vide avanzare verso di sé un vecchio contadino con l'ascia sulle spalle
- Eh amico! Mi puoi liberare da questa maledetta catasta di legna? - Chiese Gull al vecchio.
Il contadino fece come gli era stato chiesto.
- Ma perché diavolo ti hanno legato in questa maniera? - Chiese

Gull ripiegò ben bene il mantello scarlatto, se lo ficcò nella tasca e guardò la catasta con aria colpevole, poi però si accorse che era della buona e robusta legna e allora si ricordò del motivo per cui era uscito di casa.
- Ah si questa? È un carico di legna che mi ero legato sulle spalle per non perderlo e che mi servirà per riparare il tetto della mia casa - rispose - Me l'ha data il curato del paese in persona…Sai indicarmi la strada per la spiaggia piccola…sai, non ho molta dimestichezza con i boschi
- Tu sei il pescatore della piccola spiaggia?
- Si, sono io
- Non è lontana, ma attento…in questo tratto di bosco si fanno strani incontri
- Lo so bene - Bofonchio lui

Il contadino gli indicò la strada per la spiaggia e Gull si avviò felice verso casa. Ora era quasi certo che quel mantello gli avrebbe fatto ritrovare la ragazza del mare…a allora prese a canticchiare felice…

…la Marianna va il mulino
mentre pigola il pulcino
la Marianna ninna nanna
dormi, dormi e fai la nanna
la Marianna va la gatta
con la testa tutta matta
la Marianna vola in cielo
con la neve scende un velo
la Marianna va dal nonno
mentre mangia pane e tonno
la Marianna va il bambino
mentre dorme il cavallino
la Marianna va al castello
la Marianna del mantello
la Marianna ninna nanna
dormi amore e fai la nanna...


Il mondo di Tars

(Un altro frammento di una fiaba ritrovata che dedico a tutti quei meravigliosi esseri chiamati "Donna")


Credete a quel tipo di amore che rinuncia alla felicità in cambio del dolore?
No vero? Ci avrei scommesso.

Bene, allora dovete sapere che alcuni anni più tardi, Gull si trovò a vivere l'avventura della sua vita in un fantastico paese nascosto tra i monti.

Ora vi domanderete cosa c'entrano i monti con il mare e i gabbiani…beh, ora ve lo spiego…
In quegli anni le cose non erano andate come Gull avrebbe desiderato, quella parte di mondo aveva avuto qualche problema, qualche guerra di troppo che gli aveva distrutto la casa sulla spiaggia e Gull si era dovuto inventare di tutto pur di poter tirare avanti, ma, a costo di fare la fame, si era sempre rifiutato di fare il soldato…la guerra gli ripugnava...Poi, poco a poco le cose cominciarono a sistemarsi e lui aveva trovato un lavoro come guardia caccia.

Da ormai alcuni anni Gull si era trasferito sulla montagna dell'isola del sole, e considerato che il suo lavoro lo lasciava spaziare per tutto il territorio, iniziò a svolgere il proprio lavoro esplorandolo in lungo e in largo.

Verso la fine dell'estate di quell'anno, stava facendo ritorno verso casa dopo una settimana di caccia infruttuosa ad un gruppo di bracconieri che stavano spopolando la montagna dei suoi animali più preziosi, quando, dopo aver superando gole ricche di boschi, torrenti impetuosi e soprattutto attraversato ondeggianti ponti di corde sospesi nel vuoto, improvvisamente si trovò in un luogo dove la linea verde della terra sembrava si congiungesse a quella azzurra del cielo.
Era quasi l'imbrunire e le stelle già brillavano illuminando prati scoscesi, quando, superati gli ultimi alberi, entrò in una piccola valle dove la boscaglia s’addensava più umida e oscura, si diresse verso una piccola grotta che sapeva essere libera dai suoi inquilini e li, poco prima dell'ingresso, vide chiaramente tra i cespugli una piccola forma tremante.

Stupito si avvicinò. Districò qualche ramo già carico dell'umidità della bruma serale e...rimase a bocca aperta.
Davanti ai suoi occhi, riverso nell'erba, c'era un misterioso essere.

In realtà si trattava di una ragazzetta con uno scompigliato cespuglio di capelli dorati che le spiovevano sugli occhi larghi di paura.
Era molto carina, aveva il colore degli occhi turchini e profondi come i mari meridionali, che al pari dei capelli dorati e un minuscolo naso all’insù le davano un'espressione del tutto fuori del comune.
Ma ciò che maggiormente attrasse la sua attenzione era un sorriso che le illuminava senza ombre tutto il volto...e poi...e poi...dove aveva visto quel volto? La conosceva?
Rimase come fulminato, per la prima volta nella sua vita gli parve di non aver mai visto una ragazza portare in giro tanta bellezza.
«E, tu chi sei?» le chiesi forse un po' troppo rudemente
La ragazza nascose il capo tra le braccia e si rattrappì su se stessa; sembrava una bestiola presa in trappola.
«Stai tranquilla, non voglio farti del male, però dovresti dirmi chi sei» ripeté nuovamente e questa volta accompagnando le parole con i gesti.

Un po’ a segni, un po’ a parole, si presentarono. La ragazza si chiamava Cellisel, parlava un idioma quasi simile al suo con qualche accento del tutto sconosciuto.
Era in quell’età in cui il corpo di una ragazzetta segretamente sboccia, s’addolcisce, perde le angolosità infantili, cogliendo di sorpresa ogni bambina.
«Mi...mi chiamo Cellisel» disse finalmente lei con una vocina sottile.
Aveva sugli occhi delle ciglia folte e lunghissime che contrastavano con il volto ancora infantile.
«Di dove vieni? Non devi aver paura di me, sono un po' più grande di te, ma sono un ragazzo anch'io» le disse ancora mentre tentava di aiutarla ad uscire fuori da quella scomoda posizione.
Cellisel doveva essere davvero esausta perché non appena la tirò fuori dal cespuglio e la lasciò, lei scivolò di nuovo nell’erba.
La prese tra le braccia e la portò di peso nella piccola grotta...accese un fuoco e poi si dedicò a lei, che era stata ad osservarlo silenziosa per tutto il tempo.
In poche parole lei gli disse di non sapere come fosse arrivata in quella piccola valle.

Raccontò di essere arrivata su quelle montagne da poco tempo, dopo un lungo viaggio assieme ai suoi nonni.
Non conosceva molto della sua vita...aveva le idee un po' confuse, gli confidò che forse era nata nel mare, ma di non sapere cosa fosse il mare, e che quella mattina era uscita di casa per raccogliere funghi, perdendosi.

Per l'intera giornata aveva vagato nei boschi fremendo per ogni ombra oscura che occhieggiava dietro la scorza rugosa degli alberi.
Raccontò di aver attraversato ponti sospesi sulla schiuma di selvaggi torrenti, e che il silenzio, solo scheggiato dall’urlo di qualche invisibile animale, l'aveva avvolta per tutto il giorno, e lei aveva avvertito su di sé le fredde dita della morte allungarsi, pronte a ghermirla al primo segno di cedimento.
Si era fatta coraggio, aveva corso con i piedi feriti, i vestiti strappati dai rovi, la pancia vuota che gorgogliava, il cuore pesante d’angoscia e negli occhi l’immagine di sua nonna che la cercava inutilmente.
Ricordava di avere corso angosciata finché i suoi piedi inciamparono nel frusciante tappeto di foglie ramate e li era caduta rimanendo senza forze.

Terminato il suo racconto lei abbassò le palpebre e chiuse fuori le sue paure.
«Sei nata nel mare?» chiese Gull con un filo di voce
«Si, te l'ho detto…ma i miei nonni non hanno voluto dirmi altro»
«Io conosco il mare.» sussurrò Gull «Prima di venire sulle montagne ero un pescatore. Ora stammi a sentire, ci racconteremo ogni cosa domani, adesso devi riprenderti, mettere nello stomaco qualcosa e farti una bella dormita»
«Ho paura, non riuscirei a dormire»
«Qua siamo al sicuro, e poi ci sono io a farti compagnia, stai tranquilla»

Mangiarono dividendosi quel po' che Gull aveva nella sacca, poi lei si coricò nell'erba ma non si addormentò.
Gull si rese conto di quanto fosse stanca, era cosciente e sapeva di non essere più in grado di lottare, allora la coprì con il mio giaccone e lei si consegnò al destino, qualunque cosa l'aspettasse.

A Gull quella ragazzina piacque subito, non capiva perché provasse quella forte attrazione nei suoi confronti, ma il modo di raccontare la sua avventura fu per lui come seguire percorsi d'acqua zampillanti di risatine.
Trascorsero la notte sotto lo stesso giaccone e il mattino successivo dopo averle fatto indossare il suo giaccone si misero in cammino per trovare quello strano paese.

Durante i cammino Cellisel sembrò essersi ripresa, divenne più briosa ed allegra, ogni tanto si toglieva il giaccone per farlo indossare a Gull, gli raccontò di essere figlia di un grande capo del mare, ma di essere nata e cresciuta sulla terra e di essere tornata nel regno suo padre per qualcosa che aveva combinato, ma non ricordava quale fosse il motivo.
Da quando era arrivata sulla montagna abitava con i nonni in una casina bianca con i gerani rossi alle finestre, ma di non sapere più dove si trovasse il suo paese.

In parole povere Gull si assunse l'incarico di riportarla a casa, ma la cosa fu di qualche difficoltà.

Scoprì poi, che il paesino dov'ella viveva era davvero un piccolissimo paese, era composto di una piazzetta acciottolata, affacciata su un panorama di rocce chiazzate di verde, e tutt'attorno una spruzzata di casette dai muri bianchi ornati da finestrine ridenti di gerani.

Chissà quante volte avrete visto paesucoli del genere andando in montagna, però quello era diverso da tutti gli altri!

In realtà, tranne i nonni di Cellisel, nessuno degli abitanti del piccolo paese erano a conoscenza che oltre le montagne che li circondavano, potessero esserci altri paesi e tante, tantissime persone.
Erano tutti convinti che quelle montagne fossero le loro colonne d'ercole e che il mondo fosse racchiuso in quel loro luogo felice, dove il cielo si stringeva alla terra in un amichevole abbraccio.

La gente non era molto diversa da quella che Gull aveva incontrato sull'isola del sole; aveva due gambe, due braccia, due occhi, un naso e perfino una bocca per ridere e cantare...Beh, in realtà qualcosa di differente l'avevano...sia gli uomini che le donne e soprattutto i ragazzi e ragazze, avevano sul viso la medesima espressione di allegra spensieratezza.
Non era possibile camminare per le strade di quel paese senza essere felici...e volete sapere una cosa? Neppure se si girava tutto il paese si riusciva a trovare uno dei suoi abitanti che piangesse o che soltanto avesse le labbra rivolte malinconicamente all’ingiù.
Erano certi che se uno di loro avesse pianto, quella sarebbe stata la causa della sua morte.
Tutti sfoggiavano allegri sorrisi e le strette viuzze echeggiavano di risate argentine.
La vita, in quel paese, scorreva come un tranquillo ruscello illuminato dal sole.

Camminarono per l'intero giorno e sul fare della sera, un po' per fortuna e un po' perché Cellisel pian piano riconobbe luoghi a lei sempre più amichevoli, giunsero ai margini di uno strano paese.
Fu accolto con un po' di diffidenza iniziale dai parenti di Cellisel, ma poi le cose migliorarono e trascorse la notte nella loro casa, dormendo finalmente in un morbido letto.

Il giorno dopo fu presentato alla comunità che gli fece gran festa e ben presto si rese conto della felicità che, come un dolce sciroppo, scorreva per tutto il villaggio.
Allegre risate si sentivano echeggiare nelle case e per strada, e i visi della gente sembravano avere rubato la luminosità al sole.
Probabilmente l’aria che si respirava in quel luogo sperduto era impregnata di un’ilarità perenne e nessun abitante sfuggiva al misterioso influsso.

Gull decise di rimanere qualche giorno ospite della famiglia della piccola Cellisel, e invece finì che il tempo trascorse veloce tra quella gente che non conosceva tristezza, ai giorni si aggiunsero i mesi e ai mesi gli anni.

Nel frattempo Gull si era fatto un bel giovane, beh per la verità lo ero anche prima, però...le ragazze del paese se ne erano accorte e lo segnavano col dito manifestando con sonore risate il loro apprezzamento.
In realtà, pur essendone lusingato, a Gull la cosa non interessava più di tanto. A lui interessava soltanto Cellisel.

Una sera, nell’ora in cui il tramonto ramato si stemperava nelle prime ombre notturne, Gull si recò alla grande cascata dietro il paese.
L’acqua precipitava con selvaggia violenza lungo una gola verde di muschio, e all’improvviso, quasi stregato da tutto quel fragore, la sua mente volò lontano, al di là delle alte cime, oltre i boschi popolati di ombre, fino alla sua casa sulla piccola spiaggia.

La nostalgia, soffocata da quel mondo artificiale di felicità, gli rovinò addosso di colpo.
Intuì che solo con il pianto avrebbe potuto dare sollievo all’oscura angoscia che avvertiva nell’animo; ma i suoi occhi rimasero asciutti e la bocca, come il solito, stirata in un misero sorriso.

Staccatosi a fatica dalla visione, alzò gli occhi verso le cime che foravano la notte e urlò con tutta la forza dei suoi polmoni:
«Chiunque tu sia, dio, mago o strega che hai gettato un incantesimo su questo paese, io ti invoco! Lascia che il dolore si riversi fuori di noi e non rimanga nascosto nel cuore come un animale nella tana! Abbiamo il diritto d’essere uomini come tutti gli altri sulla terra!»
Le sue parole tagliarono come lame affilate l’aria bruna.

La cappa pesante del cielo, punteggiata di stelle, ebbe un lungo brivido e una voce non umana precipitò rombando dagli spazi cosmici:

«Piccolo uomo temerario, come osi interpellare con tanta arroganza il dio della felicità? Io ho donato a questo popolo una vita senza sofferenze. Da allora è sempre vissuto felice; perché vuoi insinuare il dubbio nei loro animi gioiosi?»

«La loro è una gioia artificiale.» replicò rabbioso Gull «La gioia da sola, senza le altre emozioni dell’animo con cui confrontarsi, è piatta, non ha spessore. E’ come uno strumento monocorde in cui vibra in eterno un’unica nota. Non ha nulla di umano.»

«Sciocco ragazzo, non sai godere del privilegio che la sorte ti ha donato!» disse il dio della felicità «Scioglierò soltanto te dal sortilegio, ma dovrai abbandonare il mio felice paese e tornartene nel mondo degli uomini tristi. Tu mi hai chiesto di ridarti tutti i sentimenti umani ed io ti accontenterò. Soffrirai la paura, la solitudine, l’angoscia. Scoprirai che anche l’amore non è solo gioia pura, ma anche emozione palpitante, sofferenza sottile.»

Il dio, dopo aver pronunciato queste parole, tacque.

Nell'aria restò per qualche attimo solo l’eco crudele di un tuono che si allontanò scivolando nel vento.
Un lungo brivido di terrore corse tra le scure chiome degli alberi avvolti dalla notte.

«Che ti succede?»
Una voce ben nota lo fece sobbalzare.

Strizzò gli occhi, un tremulo velo di nebbia era calato sfocando i contorni delle cose, e finalmente vide la sua cara Cellisel.

Gli anni avevano disegnato sulla sua figurina morbide curve femminili, ma il volto conservava ancora la grazia selvatica dell’infanzia, con l’aggiunta però di una intensità adulta nello sguardo e fu proprio in quel momento che la riconobbe…Cellisel non era altri che la sua amatissima cellula della spiaggia sull'isola del sole.

«Cosa ci fai qui, al buio? Con chi stavi parlando?» Domandò lei curiosa.

«Dobbiamo andar via di qui» disse Gull
«Andar via?» rispose lei sorridendo «E dove vorresti andare?»
«Tornare nel nostro mondo»
«Il mio mondo è qui...sei tu...Non sei felice con me»
«Lo sono moltissimo, ma non è questa la vita che spetta agli uomini»
«Tu mi hai raccontato dell'infelicità che regna del tuo mondo, dunque perché vuoi tornare?»
«Sei la cosa più cara che ho nella vita e non voglio perderti per nessuna ragione, ma non posso più restare in questo paese»
«Tu vuoi lasciarmi?» chiese lei spalancando gli occhi per la sorpresa
«Oh no! Non ti lascerò mai, resteremo sempre assieme»
«Non capisco...io non posso venire con te. Se venissi dovrei lasciare la mia famiglia e vivere una vita diversa...Non sono sicura di riuscire a sopravvivere...forse morirei...ricordi quando mi trovasti nel bosco? Ero quasi morta»
Per la prima volta, guardandola, Gull sentì nel petto il cuore fremere.
«Vieni qua» le sussurrò con un'emozione nuova.
Tese le braccia per stringerla a se, ma urtò contro un invisibile ostacolo. Nuovamente l’aria nebbiosa fu percorsa da un brivido e la voce calò rombando dallo scuro velluto del cielo.

«Ricorda le mie parole, sciocco ragazzo! Non potrai mai più avere contatti con questa gente, ormai tu appartieni ad un altro mondo. Vattene o il mio castigo ti colpirà terribile!»

Gull e Cellisel si guardarono con le mani poggiate sulla parete invisibile, vicini, ma divisi, ascoltando in silenzio le dure parole.
Cellisel aveva ancora stampato sul viso il suo perfetto sorriso, ma gli occhi persero per qualche istante la loro la lucentezza come se un grigio velo fosse calato ad oscurarli.
Fu un attimo, lei apparteneva al paese felice e nessun altro sentimento poteva scalfire la sua serenità.

«Scappiamo assieme!» propose Gull mentre con le dita disegnava sull’invisibile parete i contorni del volto di Cellisel
«Com’è possibile che questo impalpabile ostacolo ti separi da me?»

Volgendo poi lo sguardo con impeto verso il cielo stellato, lanciò la sua disperata richiesta:
«Dacci, o Signore della felicità, almeno la possibilità di riunirci. Ti promettiamo che ci allontaneremo subito dalla terra su cui regni.»

«Quello che mi chiedi è impossibile», rispose la voce rotolando nel teso silenzio della notte. «A meno che...»

«A meno che...?» ripeté ansiosamente Gull
«A meno che l’amore di questa ragazza sia così potente da sciogliere col suo calore l’incantesimo che la protegge.»
«Come posso fare?» chiese lei
«Tu ami quest'uomo?»
«Moltissimo...più della mia vita»
«Saresti disposta a morire per lui?»
Cellisel era confusa.
Da alcuni anni lei e Gull erano legati da un profondo affetto.
Quando stavano assieme sentivano scorrere nelle vene una felicità così grande che quasi non riuscivano a contenerla completamente.

Leggendo il suo pensiero, il dio aggiunse:

«Per te piccola mia, che hai conosciuto il dolore della morte del tuo amore, ho dovuto creare questo artificio per non farti impazzire...ed ora che conosci solo la pura gioia ti sarà impossibile tornare a riprovare le sensazioni dolorose che ti spinsero a toglierti la vita...i sentimenti intensi portano con sé dolore. Io ti ho donato la felicità perenne, ma ti ho anche resa immune dalle emozioni profonde che consumano come la fiamma consuma la candela.»

Nubi gonfie di pioggia, trasportate dal vento, avevano ormai nascosto la dolce volta stellata.
L’eco delle ultime parole sfumò confondendosi con un rombo lontano.

Rimasero soli, avvolti dal silenzio della notte, finché le prime gocce di pioggia iniziarono a frusciare leggere nell’oscurità del bosco.
Essere così vicini, sentire i loro stessi respiri e non potersi neppure sfiorare fu un terribile supplizio.

La pioggia prese a cadere fitta, un lucido velo vibrante che scivolava sui loro corpi tesi.

«Ora ricordo...tu sei il mio caro Hiyvv...Oh mio Dio...ti ho ritrovato per perderti di nuovo»
«Si, ma se non potrò più stringerti tra le braccia cosa vuoi che m’importi di stare in un mondo dove tu non ci sarai?» urlò Gull, ma la sua voce era già come morta.

Cellisel se ne stava rigida, immobile, le mani premute sull’invisibile parete, i capelli gocciolanti. Ascoltava in silenzio le parole del suo amato che le rimbombavano nelle orecchie come un’esplosione.
«Mi ritirerò nel bosco e lascerò che la vita si spenga lentamente, ma prima voglio accarezzare un’ultima volta il tuo volto.»

Con tenerezza Gull sfiorò la parete d’aria con dietro il volto sorridente.

«Scusami» disse «se offendo con la mia mano la tua immagine»
«Ma cosa dici?» replicò lei «Tu fai troppo torto alla tua mano che ha mostrato in ciò la devozione...Oh mio bene, potessi giungere palma a palma e perdermi in un tuo bacio...Io non mi arrenderò mai, lascia che le mie labbra facciano ciò che le mani non possono...Dio! Dimmi come posso fare?» urlò al cielo
«Puoi piangere...ma potresti morire» fu la sua risposta
«Non m'importa»

Cellisel accostò le labbra all'invisibile parete offrendo a Gull il suo amore ma Gull non osò neppure accostarsi, allora lei passò le dita prima sui capelli grondanti, poi sugli occhi, ed egli vide le sue labbra tremare.

«Non vuoi baciare le mia labbra?» chiese lei
«Non posso» rispose deciso Gull «Non posso farti questo»
«Che cosa intendi dire?» chiese lei «Non ho capito il senso delle tue parole.»
«Hai capito benissimo!»
«No!» urlò lei «Oh Dio...tu vuoi lasciarti morire?! Non provare a farti del male. Perché sappi che io non potrei vivere sapendo di averti nuovamente ucciso»

Il suono della sua voce fu come una freccia di fuoco scoccata nell’umidità silenziosa della notte.
Inutilmente lei tentò di aggrapparsi alle braccia di Gull, le sue dita scivolarono sul nulla che li separava.

Fu allora che in lei accadde qualcosa di imprevedibile.

Cellisel sentì il sangue accelerare nelle vene e il cuore ritmarle impazzito nel petto.
Era smesso di piovere e un chiarore lattiginoso s’andava spandendo nel cielo. Si portò una mano sugli occhi; li sentiva bruciare come il fuoco. Le guance erano rigate da strani rivoli lucenti...

«Guardami» sussurrò lei «Io morirò, non tu!»

Le immagini che all’inizio arrivarono a Gull sembrarono sfilacciate, come avvolte da una nebbia sottile, poi mise a fuoco meglio il volto di Cellisel.

La notte era ancora scura, ma un leggero chiarore le illuminava il viso e gli occhi lucidi.

«Ma tu stai piangendo!» esclamò Gull incredulo.
«Si...si...»

Cellisel aveva compiuto il miracolo.
Istintivamente Gull la circondò con le braccia.
Sentì il suo corpo bagnato tremare e con tenerezza la strinse al petto.
Il tempo arrestò il suo corso, gli attimi persero i loro rigidi confini.

Soltanto più tardi si resero conto di percepire il calore dei loro corpi. Nessuna barriera più li divideva. L’incantesimo era stato infranto.

Cellisel si volse per un attimo a guardare il suo paese felice nella luce rosata dell’alba.
Dormiva tranquillo, isolato dalle alte cime.
«Addio...» sussurò

Poi si voltarono stretti l'una all'altro e ci addentrarono nel bosco verso la loro vita.



view post Posted: 18/9/2020, 03:57     TARTUFI DI RICOTTA E CACAO - Spazio culinario
Fatti in casa e mangiati sulla ricetta di Renata.
view post Posted: 3/8/2020, 15:20     +1Tu oggi provaci... - Narrativa


Tu oggi provaci...


Di li a qualche giorno avrei compiuto dodici anni, eppure, quella sera, mentre alla finestra osservavo lo scorrere pigro della pioggia sui vetri, improvvisamente sentii un lungo brivido percorrermi la schiena che riportò alla mia mente una sera di molti anni prima, quando la mamma era ancora con noi…

«...era un susseguirsi di tuoni che scuotevano la casa fin nelle fondamenta e quando il fulmine illuminava il giardino, si poteva vedere la bufera che torturava gli alberi. La neve, frammista a grandine ed acqua, crepitava sui vetri della finestra mentre io, in piedi sulla sedia e stretta al caldo abbraccio di mia madre, guardavo con il fiato sospeso quella scena terribile.
Il contatto mentale con quello sconvolgimento mi frastornava e mi pesava sugli occhi come scaglie, ma quello che più mi torturava e mi torceva lo stomaco, non era la paura dei tuoni o il balenio dei fulmini che solcavano il cielo, ma l'ansia che sentivo consumare mia madre.
Da tempo ormai quella sua angoscia era così palpabile e concreta da sentirne gli effetti, ed io, che la osservavo non vista, avrei desiderato superare i miei rancori per saperla rincuorare. Quella sua risolutezza nell'affrontare la malattia e la sua prossima morte mi stava logorando, mentre lei, ritta alle mie spalle come una statua di Rapa Nui e sobbalzando ad ogni rombo, veniva a me come un soccorso dall’alto per ricondurre l’animo mio nel caldo e riposante nido delle sue braccia.»

Quella particolare impressione di freddo e la sensazione dell’umida carezza dell’acqua sul volto, senza una vera ragione, mi fece piangere.

– Mamma dove sei? – Mormorai stringendo convulsamente le mie mani

Quelle poche parole appena sussurrate ruppero l’incanto, mi volsi verso mio padre asciugando i lacrimoni che scivolavano dolenti sulle gote.

Lui sollevò lo sguardo su di me
– Cos'hai, la giornata ti fa sentire triste?
Scossi lentamente il capo asciugando le lacrime con le mani
– Perché questa sera mi torna così spesso il ricordo della mamma? – Domandai tornando a guardare fuori

Mio padre lasciò il giornale e mi raggiunse alla finestra.
Il silenzio era rotto soltanto dal picchiettare della pioggia sui vetri

– Pà! – Esclamai senza voltarmi – Non senti anche tu delle voci nella pioggia? Cosa sono, lo sai?
– Mia madre diceva che nella pioggia c’è la voce della nostra coscienza – Rispose lui poggiando una delle sue mani sul mio capo
– Cosa avrebbe da dirmi la mia coscienza? Ora sono in pace con il mondo, ma vorrei essere capace di chiedere perdono alla mamma
– Puoi farlo
– E lei mi ascolterà?
– Posso solo pensare che se tu le parlerai lei sarà felice di ascoltarti.
– Mi voleva bene, vero?
– Si... Te ne voleva moltissimo
– Avrei dovuto capirlo prima
– Sam, non crearti problemi, non potevi, non eri pronta
– È dovuta morire per farmelo capire
– Ssst... Non è vero, tu non hai nessuna colpa
– Ce l’ho pà, non ho mai accettato la sua malattia. L'ho sempre ritenuta colpevole di volerci abbandonare
– Ora smettiamola con questi discorsi
– Non capisco perché perdonasse tutte le mie offese. Cosa la spingeva ad amarmi? Io non ero sua figlia… mi avevate adottato. Come vorrei riuscire a capire perché anch’io ora gliene voglio, che senso ha? Perché soffro al pensiero di averle fatto del male. Perché mi fa tanto soffrire? Perché sono felice quando la mia mente si colma dei suoi ricordi? Perché ora piango mentre prima non ne ero capace? Puoi spiegarmi perché soltanto ora provo queste cose? Perché prima che la mamma andasse in cielo tutto questo mi era sconosciuto?
– Non pormi domande alle quali non sono in grado di rispondere
– Sono così strane queste cose, il pianto, il dolore, la felicità, il suo ricordo. Come vorrei essere capace di darmele quelle risposte

Mio padre si chinò baciandomi sui capelli.
– Nell’amore non c’è nulla di strano, è la più spontanea delle nostre inclinazioni, ed è l’unico sentimento che la mente non può controllare, può soltanto prenderne atto.
– In tutti gli uomini vivono queste emozioni?
– Immagino di si, credo che in ognuno di noi esista un’unità di misura che ci consente di separare l’indifferenza dalla commozione. Guarda ciò che accade a te, ora sei capace di commuoverti al ricordo della donna che pur non avendoti dato la vita, aveva scelto di amarti come una vera madre.
– Perché sono cambiata? Prima non ero così, non conoscevo la commozione, non riuscivo a comprendere. La mia mente non era capace di percepire queste emozioni. Perché sono così?
– Non lo so piccola mia, forse è merito della mamma, della sua pazienza. Il suo amore deve aver strappato una maglia della sacca che le racchiudeva, il resto l’hai fatto tu, hai saputo riportarle alla luce
– Anche tu provavi le mie stesse emozioni?
– Sono stato ragazzo anch’io
– Le stesse?
– No, – Sussurrò mio padre carezzandomi i capelli – a me è stato concesso di godere a lungo dell’affetto di mia madre

Chiusi gli occhi per tentare di trattenere le lacrime e mio padre, comprendendo quale tempesta turbinasse in me, mi strinse tra le braccia rimanendo in piedi accanto alla finestra.

– Prima di andarsene la mamma mi lasciò una lettera per te... ora credo di potertela dare… la vuoi?
– Oh si, ti prego! – Dissi sobbalzando e volgendomi verso di lui
– Credo sia la sua ultima poesia – Disse aprendo un cassetto della scrivania
– A lei piaceva scrivere poesie. Credi ci stia ascoltando? – Chiesi in un sussurro
– Si, ne sono quasi certo!

Non risposi, tirai su col naso e lui pose tra le mie mani una busta, mentre fuori era cessato di piovere.

Dovettero trascorrere cinque anni prima di trovare il coraggio di aprire quella busta.
C'era la sua ultima poesia e alcune righe scritte con la sua minuta calligrafia.

Sara, piccola mia,

tu non hai nessuna colpa, il cuore non lo comanda nessuno, ma non ti preoccupare, arriverà il giorno che aprirai questa lettera e capirai… Tu provaci, provaci ogni giorno, provaci oggi… non si sa mai come possiamo reagire all'amore…

Quando crescerai
e sarai madre.
Quel giorno, Sam,
guardando le nostre
vecchie foto,
per quanto difficile
potrà sembrarti,
ricorderai quell'amore
che faceva brillare
gli occhi miei.

Quel giorno, Sam,
se vorrai capire
perché le parole invecchiano,
i rancori muoiono,
e quel fagiolo
che hai piantato
al centro del tuo cuore
è ormai sparito.

Quel giorno, forse,
ricordando le lacrime,
le carezze
e le mie parole,
capirai come
fino all'ultimo istante
che Dio mi ha
lasciata a te,
io ti ho amata...
figlia mia!

view post Posted: 8/7/2020, 07:17     +1La storia della Terra - Narrativa



La nostra storia raccontata da chi l'ha vissuta (Non chiedetemi il nome di costui perché non saprei come scrivervelo… se pure fosse possibile).


“4,6 miliardi di anni fa, da una nebulosa di gas e polveri in contrazione, Gaia (Terra), Amore e Male nacquero assieme... ma mentre Terra fu generata da un'esplosione, Amore e Male, nacquero dall'alito di chi tutto può. Terra assunse subito le sembianze di un bel pianeta giovane, luminoso e completamente vestito di verde, mentre Amore e Male, pur preferendo restare due spiriti liberi, presero identità così diverse l'uno dall'altro da non sembrare neppure fratelli.
Infatti, mentre Amore si manifestò immediatamente uno spirito colmo di attenzioni, generoso, disinteressato e pronto a offrire il suo aiuto a chiunque ne avesse bisogno, Male non tardò a rivelarsi meschino, gretto, profondamente egoista e per nulla disposto alla generosità.
Stando così le cose non c'è da stupirsi se Terra e Amore scoprirono d'avere in comune gli stessi interessi. Si piacquero e decisero di avere una numerosa prole che popolò un'enorme e splendida isola al centro di un vasto oceano.
Di comune accordo decisero di dividersi i compiti; Terra avrebbe provveduto al sostentamento dei figli, mentre Amore si assunse la cura del loro spirito.
Le cose andarono avanti per migliaia di anni nella più completa armonia e quando i loro figli furono abbastanza grandi da comprendere il suo gesto, Amore li chiamò e se e disse loro "Se vorrete vivere onestamente e in pace tra di voi, dovrete rammentarvi che non potranno essere né i vostri parenti, né gli onori o le ricchezze a guidarvi lungo il percorso della vita, ma soltanto se avrete nel cuore la mia fiamma"... e donò loro l'intelletto.
Temendo che quel dono potesse indurre i suoi figli a trascurarla, Terra chiese ad Amore di non confondere le loro menti, ma lasciare che continuassero a vivere nella più completa e libera ingenuità.
Amore non soltanto evitò di raccogliere le lagnanze della sua compagna, ma continuò a ispirare nelle menti dei loro figli i migliori pensieri.
Ne seguì un periodo di così perfetta armonia che l'intera umanità si moltiplicò popolando l'intero pianeta.
Vedendo crescere ogni giorno i buoni frutti che le attenzioni del suo compagno maturavano nei loro figli, Terra non soltanto ammise che Amore era nel giusto, ma ne fu talmente compiaciuta da confidare la sua gioia a Male, (Che sin dall'inizio aveva accarezzato l'idea di essere il padre dei figli di Terra) il quale, roso dalla gelosia, giurò a se stesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di distruggere l'armonia nata tra gli uomini.
Da allora, utilizzando metodi meschini, iniziò a corteggiare Terra lusingandola con subdole attenzioni e false promesse.
Per la verità Amore si accorse subito di quel comportamento vergognoso, ma ritenendo il sentimento d’amore della sua compagna in grado di interpretare nel giusto modo le attenzioni di Male, scelse di non intervenire.
Purtroppo Terra commise l’errore di credere a Male, il quale, utilizzando le sue malefiche arti, la convinse che Amore stesse istigando gli uomini a cancellarla dai loro cuori.
Resa cieca dalla gelosia Terra chiese a Male di aiutarla a riconquistare l'affetto dei propri figli, ed egli, ben sapendo di averla in pugno, donò agli uomini la parola cancellando in loro la capacità di ogni contatto mentale.
Ignari di quale bene fossero stati defraudati gli uomini iniziarono a parlare... a parlare... a parlare... ma più parlavano e meno si comprendevano, poiché impararono subito a nascondere i loro pensieri nel buio delle menti.

La parola, che di per sé era uno splendido dono, fu così male utilizzata che non soltanto insinuò nei loro cuori il sospetto e la diffidenza tramutando l’armonia nella più stolta indifferenza, ma spinse gli uomini a dividersi in piccoli o grandi gruppi, ognuno con un proprio linguaggio e propri costumi.
Con il trascorrere dei secoli, Terra e Male, ormai uniti in un vincolo scellerato, dopo innumerevoli tentativi generarono una nuova stirpe d’uomini per i quali scelsero un nome fastoso quanto oscuro, Politikòs e ai cui vollero fare uno straordinario dono; ovvero l’abilità di parlare alle folle.
Quegli uomini, perfezionando nel tempo la loro dote, raggiunsero il potere, ma non consentirono mai a nessuno di comprendere quali fossero i loro veri pensieri. E così, a furia di ascoltare come i Politikòs avrebbero risolto i mali del mondo, gli uomini si abituarono a loro iniziando a lodarli e approvarli.

Quel possesso emozionale, ma che ben presto si mutò nella peggiore dominazione psico/fisica, gravò a tal punto sull’umanità che molti figli di Terra e Amore, lusingati dalle promesse dei Politikòs, si legarono al carro dei loro interessi.
Tra costoro vi fu chi si associò per dissennata convinzione, chi per stoltezza o per cupidigia e chi per vanagloria, ma in ogni caso tutti con l'identico scopo, rendersi la vita più facile a discapito di altri uomini.
Gli anni che seguirono non furono certamente felici, l'intera umanità, ormai irretita da promesse mai rese vere, schiacciata dai soprusi e dalla malversazione dei Politikòs, visse una condizione di estremo disagio fisico e morale.

Fino a che, quando nulla sembrava potesse più mutare quella situazione, si verificò un evento assolutamente imprevisto.
Un uomo, un semplice contadino senza alcuna istruzione e senza alcun interesse personale, se non quello suggerito dalla sua estrema sensibilità, scelse liberamente di donare la propria vita in cambio di quella di alcuni giovani da sacrificare al Dio della guerra.
L'umanità rimase disorientata da quell'atto così spontaneo e lo osservò andare a morte senza mostrare alcun ripensamento. (Forse con un po' di umana paura, ma di ciò nessuno se ne accorse) Ma quel gesto, dettato da un grande amore, seppe riaccendere negli uomini una piccolissima fiamma.
L'umanità tornò a farsi domande e quando seppero darsi alcune risposte e compresero d'essere stati derubati dell'entità più sacra che era stata loro donata... la tenerissima, invisibile e struggente necessità d'amare, in tutto il pianeta esplose una grande rivoluzione pacifica e a nulla valsero i bei discorsi e le oscure minacce dei Politikòs, i quali, utilizzando consoli e magistrati vassalli, perseguitarono e incarcerarono chiunque tentasse d'insidiare la loro autorità.

Fu così che dopo innumerevoli secoli di tirannia e con grandi rischi personali, gli uomini tornarono a riunirsi in migliaia di assemblee e a discutere liberamente se non fosse il caso di tornare liberi di fare le loro scelte.
I dibattiti si protrassero per giorni, mesi, anni, sempre osteggiati dai Politikòs. Ma ormai quel movimento si era trasformato uno sconvolgimento profondo e inarrestabile che spinse gli uomini a chiedere l'aiuto di Amore.
Quella nuova opportunità rese felice Amore che volle offrire loro i sentimenti; il più grande dei suoi doni, affinché ogni uomo potesse far rifiorire il pensiero e a far arrossire di vergogna chiunque avesse perseverato nel dire cose non vere.
Lo smacco fu di tali dimensioni che, impazzito di rabbia, Male minacciò Amore di distruggere Terra e tutti i suoi figli se non si fosse ripreso quel dono.
Amore ascoltò pazientemente le sue minacce, poi, assumendo l'aspetto di un uomo rispose.
– "Guardami, ora sono simile ai miei figli e se tu vorrai sopprimerli io sarò con loro, ma in verità ti dico che se un padre può amare un figlio senza mani o i piedi o con qualche cromosoma in più, non potrebbe mai riconoscersi in lui se non gli avesse donato i migliori sentimenti, si sentirebbe un estraneo e sarebbe ancora meglio che sentirsi una pietra o un bruto. Se i miei figli vorranno rispettarsi, dovranno avere la mia fiamma nel cuore e soltanto quando quella fiamma sarà divenuta, un incendio potranno guardarsi negli occhi e tendersi le mani. Tu hai donato loro la parola affinché potesse far nascere la diffidenza… e ora io li salvo aggiungendo alla parola l'alito di chi tutto può"

Più infuriato che mai Male piegò ogni resistenza di Terra, costringendola a generare il più sciagurato dei suoi figli... Odio, il quale, non appena nato si mostrò subito profondamente ostile a quanto di bello esisteva sul pianeta.
Lo spirito di Odio venne al mondo in una notte di tempesta, ed era talmente brutto che spaventò persino sua madre. Incitato da Male, Odio uscì di casa per iniziare la sua lotta all'umanità, ma un raggio di sole lo folgorò accecandolo e sarebbe certamente morto se suo padre non lo avesse trascinato nuovamente nel buio della casa.
Male mise in atto tutta la sua conoscenza per risolvere quel problema, ma non ci fu nulla da fare, come Odio metteva il naso fuori di casa erano guai grossi e come se non bastasse, il suo aspetto era talmente raccapricciante che seppure fosse riuscito a resistere alla luce e alla purezza dell’aria, gli uomini lo avrebbero evitato come il peggiore dei mali.
Male si lambiccò il cervello per anni e alla fine trovò un espediente; avrebbe nascosto Odio nella parte più profonda della mente degli uomini, di dove avrebbe potuto esercitare le sue malefiche funzioni.
Con quel terribile male molti uomini soffocarono i migliori sentimenti e iniziarono a farsi la guerra scagliandosi gli uni contro gli altri.
I figli si ribellarono ai padri e in molti morirono per mano dei loro stessi fratelli.
In men che non si dica Odio distrusse quanto di buono era stato fatto e la loro stessa bella isola che, sconvolta da armi inumane, scomparve inghiottita dall'oceano.
Amore soffrì molto per quella disgrazia e non sopportando di vedere i suoi figli regredire fino alla barbarie fuggì su di un pianeta lontanissimo.
Da allora trascorsero alcuni millenni e mentre la storia della Terra si stava inesorabilmente avviando verso il suo tragico epilogo, Dio, guardando verso i mondi su cui i suoi figli si erano insediati, decise di fare qualcosa per salvare quell’umanità che tanto amava.

Per la verità sulla Terra c'era tanto Male e tanto Odio che perfino lui rabbrividì e constatato che l'unica possibilità era di riportare Amore nel cuore degli uomini, si mise in viaggio alla ricerca del pianeta dove si era rifugiato e quando finalmente lo trovò lo pregò di tornare ad aiutare gli uomini a vincere il Male.
Dapprincipio Amore rifiutò di tornare su quel mondo ormai prossimo alla fine, ma il desiderio di dare un'altra possibilità ai suoi figli, lo spinse a chiedere che gli fosse invitata una giovane donna alla quale avrebbe insegnato l'amore.

Dio inviò la sua schiera di angeli alla ricerca di quella donna e fu trovata una bambina che crebbe sul pianeta di Amore divenendo una donna bellissima e quando fu in grado di comprendere interamente l'amore, Dio la portò sulla Terra chiedendole di partorire suo figlio.
Il figlio di Dio nacque povero tra gli uomini e crebbe come un comune bambino e quando raggiunse l’età della ragione lasciò sua madre e la sua famiglia per andare nel mondo a seminare l'amore.
Intimoriti per quanto stava accadendo, Male e il suo sciagurato figlio imposero ad alcuni degli uomini a loro fedeli di ucciderlo.
E quegli uomini lo arrestarono, lo accusarono, lo condannarono e lo uccisero.
Certi ormai che quella morte aveva risolto tutti i problemi, Male e Odio ripresero a crogiolarsi nel brodo della loro vittoria tornando a causare dolori all'umanità.
Ma le cose non stavano per niente come loro credevano, quel piccolo seme che il figlio di Dio aveva sparso tra gli uomini crebbe divenendo il più ampio e vigoroso baluardo alle loro malefatte.

Trascorsero altri secoli e sulla Terra tornò l'armonia; rifiorirono le arti, l'umanità riprese a vivere felice e a prosperare. Ma Male non si era arreso e a furia di lavorare sui più deboli trovò la strada per tornare a insidiare il cuore dell'umanità.
Di ciò Dio si addolorò a tal punto che pensò se non fosse giunto il momento di cancellare dall’universo quell'umanità corrotta.
Ma Dio amava gli uomini, non per nulla li aveva creati a sua immagine, egli sapeva bene che non tutti si erano perduti e non desiderando che anche i giusti pagassero per colpe non loro, volle fare un ultimo tentativo... donò a ogni uomo una coscienza, cioè quella facoltà dell'animo che, unita all'intelletto, permette a ogni essere di giudicare le proprie scelte.
Da allora la Terra è stata calpestata da innumerevoli generazioni d'uomini e mentre alcuni hanno fatto un uso moderato di quel dono o peggio hanno finto di non conoscerlo, ve ne sono stati altri che ne hanno fatta la ragione stessa della loro esistenza.
Anche i Politikòs sono cambiati, alcuni hanno continuato a prosperare imparando perfino a non arrossire più quando si trovano a dire cose non vere, ma, molti altri hanno compreso che il potere non dona soltanto notevoli possibilità economiche, ma anche un'amara solitudine, che resta dentro e macchia l’anima.
È quanto mai improbabile che ci sia dato sapere se Dio abbia modificato il giudizio sulla razza umana, però se ci guardiamo attorno e osserviamo il sole sorgere e tramontare, gli alberi crescere, gli animali essere nostri amici e soprattutto che siano i bambini a rallegrare le nostre vite, è facile comprendere che non debba più considerarci una razza in via di estinzione.
Siamo quelli che siamo, ed è probabile che non si viva la vita che la natura avrebbe desiderato per noi, ma è pur sempre preferibile sopportare qualche Politikòs o magistrato spocchioso che sparire nell'oblio".


view post Posted: 10/6/2020, 02:38     +1UNA STRADA CHIAMATA SPERANZA - Narrativa
Grande polpettone con buonissime idee da sviluppare.
view post Posted: 12/5/2020, 08:27     LA COSA SENZA NOME - Narrativa
Mi sorprendi sempre... Brava prof.!
2758 replies since 18/10/2009