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Il Mondo di Tars

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view post Posted on 22/9/2020, 00:19     +1   +1   -1
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Oltre l'Emozione

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Il mondo di Tars



Questa storia ha il suo inizio in epoche remotissime, pressappoco quando attorno al nostro sole ruotavano, assieme ad altri otto mondi, due pianeti, ovvero il terzo e il quarto, dall'aspetto assai simile, seppure molto diversi tra di loro e questo semplicemente perché il terzo pianeta, identificato come Terra, si era formato soltanto da 4.6 miliardi di anni e aveva avuto un processo evolutivo più complicato rispetto a quanto era invece accaduto al quarto pianeta, il suo gemello di nome Tars.
Per questa ragione Terra era ancora un inferno di fuoco e fiamme quando Tars, raggiunto il culmine della sua evoluzione, aveva iniziato a trasformarsi in un pianeta di una bellezza ineguagliabile e dando origine a varie forme di vita.
Il suo clima, controllato da un perfetto eco sistema, lo rese in breve un vero paradiso.
I suoi cinque continenti, emergenti da un unico oceano, erano coperti di lussureggianti foreste, di altissime montagne e vasti laghi d’acqua dolce.
Il suolo fertile, ricco di messi e di sterminati pascoli ubertosi, ospitava interminabili teorie di greggi. Dalle profonde foreste vergini, dov'era possibile udire lo svolgersi della vita animale libera e incondizionata, si levavano in volo frotte d'uccelli dai più vivaci colori che popolavano e allietavano le riviere, i giardini e le dolci colline abitate dai primi uomini e per questa ragione, Tars meritò, prima di scomparire nell'oblio, l’appellativo di pianeta della pace, delle scienze e culla di una nobilissima civiltà che illuminò l’intero sistema solare.
Ma purtroppo e Tars non fece eccezione, sembra che tutto ciò che è bello e valga la pena d'essere difeso, non appena viene sfiorato da mano umana…immancabilmente si avvii verso un inevitabile declino a causa della stupidità degli uomini…Infatti, un infausto giorno, a causa d'interminabili guerre nate da insensate e presunte ragioni di superiorità e di armi incredibilmente potenti, Tars finì per esplodere portando con se tutta la sua storia e la sua millenaria civiltà…tranne una piccolissima parte di se, che da allora iniziò a ruotare attorno alla Terra e alla quale fu assegnato il nome di Luna.

Di Tars si era persa ogni memoria nella notte dei tempi e nessuno seppe mai della sua esistenza…fino a che un giorno, alcuni astronauti, inviati sulla Luna a fare ricerche, non s'imbatterono nel più grande segreto.
Quegli uomini ebbero la fortuna di ritrovare, nelle viscere del piccolo satellite, il ricordo di Tars e di una parte della sua storia.

Non tutta s'intende, se ne recuperarono alcune porzioni; principalmente quella riguardante la storia della vita primitiva e più pura che germogliò su Tars…inoltre furono recuperate altre notizie riguardanti i successivi secoli di vita e purtroppo anche la parte più triste, ovvero la fredda cronaca di una fine annunciata.
A leggerla si ha l'impressione che riguardi senza mezzi termini la storia della nostra umanità e questo fa supporre che nel momento della disgraziata fine di quel mondo, qualcosa sia giunto a noi.
Come è perché sia arrivata non pretendo di saperlo né d'immaginarlo, però è arrivata e speriamo che almeno possa servire a mantenere nell'animo degli uomini un sacrosanto rispetto dell'unica casa comune di cui la natura ci ha fatto dono…questo ancora stupendo pianeta.

Io ho potuto leggere, ascoltare e vedere quelle vestigia ritrovate sulla Luna e oggi qualcuno mi chiede di raccontare quello di cui sono venuto a conoscenza.
Compito assolutamente arduo considerando la mia età, però vorrei provarci…visto mai che si riesca a cambiare ciò che di sbagliato l'uomo sta facendo?

All'inizio del primo millennio dell'era della luce, avvenne la scoperta dell'amore e della coscienza.

«….ancora oggi, sull’isola del sole, vi sono notti in cui uomini dalle antiche memorie si radunano sulle spiagge e attorno ai fuochi raccontano la leggenda di Hiyvv il gabbiano e della bambina che venne dal mare…e mentre attorno scende un gran silenzio, ogni giovane donna rivive nel suo cuore la loro storia d’amore.»

«Tanti, tanti anni fa, quando nel cielo ruotava assieme al pianeta Tars l'altro pianeta chiamato Terra (per la verità sembra che il nome con cui veniva identificato fosse Gaia, ma di questo ne parleremo più avanti) i primi uomini di Tars decisero di dividersi gli spazi (che per nostra comodità chiameremo terre) di quel pianeta.
Della bellezza di quel pianeta se ne parlava dappertutto e tutti volevano avere una parte di quelle terre su cui crescere e allevare i propri figli…La voce arrivò perfino in fondo al mare, dove una piccola cellula, (non si conosce il suo nome e per questo la chiameremo soltanto cellula) nata nelle profondità del buio oceano, interessata anch'essa all'idea di vivere su quel paradiso, provò a chiedere a suo padre, il terribile dio delle acque, di lasciarla salire alla superficie per iniziare una nuova vita e diventare donna.

Ovviamente suo padre si oppose energicamente e fece di tutto per dissuaderla, ma della sua risolutezza la piccola cellula fu così determinata, che mettendo in campo ogni sua risorsa e tanta pazienza, riuscì, alla fine, ad ottenere il consenso…e un giorno, abbracciate le numerosissime sorelle e suo padre, che la osservava allontanarsi preoccupato e orgoglioso di quella coraggiosa figlia, la piccola cellula iniziò, sola soletta, ma con tanta esultanza nel cuore, a salire verso la luce.

La strada che dovette percorrere fu davvero lunga e non priva di ostacoli… se non addirittura di pericoli, ma il suo coraggio vinse su tutto e quando finalmente si affacciò alla luce del sole…per poco non le capitò di morire arrostita.
In fretta e furia fu costretta a modificare il suo stato evolutivo di creatura marina in quello più lento e complesso di creatura terrestre, dovendo imparare all’istante a respirare l'atmosfera di Tars ed alimentarsi in modo appropriato per non morire.

Tra l’infinità di cose nuove che dovette sforzarsi di comprendere alla svelta, ve ne furono alcune di difficile interpretazione, mentre altre furono più vicine al suo spirito semplice.
Imparò così ad amare e rispettare ciò che la circondava, beandosi di alcuni piaceri a lei sconosciuti; come quello del contatto con la sabbia dorata e meravigliosamente calda.

Certo i primi momenti di quella nuova vita non furono del tutto tranquilli, ed ebbe bisogno di tutto il suo coraggio per uscirne indenne senza sentirsene troppo scossa.
I primi periodi che visse su quel nuovo mondo trascorsero in un susseguirsi di scoperte, di gioie e qualche piccola delusione.
Imparò a riconoscere tutte le creature innocue che popolavano la spiaggia, ed anche quelle che, invece, l'accolsero con scarsa amicizia.
Imparò a difendersi, comprendendo che da ciò poteva dipendere la sua vita, imparò a riconoscere uno ad uno quei singolari esseri che sembravano essere gli unici veri dominatori di quella splendida isola e che volteggiando incessantemente nell’aria erano alla continua ricerca di cibo.

Quelle creature volanti l’affascinarono fin dal principio e sebbene il loro aspetto elegante potesse far pensare ad esseri miti e pacifici, ben presto dovette riconoscere in loro il più pericoloso dei suoi avversari.
E fu proprio per evitare di finire preda dei loro enormi becchi che dovette cercarsi un riparo per poter meglio difendersi dai loro attacchi.

Per sua fortuna, poco distante dal tratto di spiaggia su cui era emersa, scoprì una cavità, a ridosso del costone sabbioso che separava il litorale da un vasto bosco d'alberi sempre verdi e di li, dove ebbe modo di trovare una sistemazione adatta al suo sviluppo, oltre che imparare varie tecniche per confondere quei cacciatori alati capì come poteva procurarsi il cibo necessario alla sua sopravvivenza.

Per la verità in più di un'occasione fu ad un passo dall’essere preda dei loro becchi e la volta che credette d’essere ormai spacciata, uno di quegli strani animali, ma così giovane da non essere ancora esperto nell’arte del volo, divenne suo amico e la difese contro ogni attacco dei suoi compagni affamati.

Il tempo trascorse lentamente sia per lei sia per il giovane gabbiano che divenne enorme e meravigliosamente bianco e quando le forze glielo permisero, lui iniziò a condurla con se (ben sistemata tra le piume del collo) in tutte le sue avventure di volo.

Crebbe anche lei e pian piano acquistò l’aspetto di una bellissima bambina, i cui capelli dorati e gli occhi d’un color turchino fecero innamorare il povero gabbiano che ne divenne il precettore, il compagno di giochi e il confidente… e per lei, il suo primo sentimento d’amore.

- Hiyvv! - Chiese lei mentre dall’alto del costone osservavano il mare - Perché hai fatto la sciocchezza d’essere mio amico? I tuoi compagni non hanno gradito questa tua difesa nei miei confronti…Perché lo hai fatto?
Il povero gabbiano non seppe cosa rispondere. Non poteva certo dirle che l’amava, sarebbe stato stupito soltanto immaginarsi che lei avesse mai potuto ricambiare quel sentimento…e allora dette a quella domanda una semplice risposta.
- Perché non si ha tutti lo stesso cuore

Trascorse dell’altro tempo e lei, la bambina, crebbe divenendo una splendida ragazza che fece innamorare ancor di più il povero gabbiano.
- E tu perché mi concedi la tua compagnia? - Chiese lui un giorno mentre osservavano un gruppo di giovani uomini avvicinarsi al mare
- Perché sei mio amico…e per me un amico è più importante d’ogni altra cosa
- È sciocco e tu non devi sentirti impegnata in alcun modo… - Replicò lui tentando di mascherare il piacere che quell'affermazione gli aveva procurato - Io non potrò esserti amico a lungo…alla mia razza non è concesso vivere quanto un uomo
- E questo cosa vuol dire?
- Che quando morirò tu rimarrai sola
- Tutto qui? - Rispose lei sorridendo - Allora puoi stare tranquillo, tu non potrai mai andare da nessun'altra parte perché ormai sei dentro il mio cuore…e di qui non ti permetterò più di uscire.

Trascorse dell’altro tempo, ma il pensiero di ciò che aveva detto Hiyvv e che presto sarebbe rimasta sola, iniziò a rattristarla…e a nulla valsero l’affetto e le continue dimostrazioni d’amicizia di cui Hiyvv la circondava. Inoltre, quando i giovani uomini che erano venuti per pescare furono pronti a far ritorno alle loro case, tentarono di tutto per farle comprendere che sarebbe stata cosa saggia se avesse abbandonato la spiaggia per andare a vivere nel loro villaggio…

«Non puoi restare sola…tu appartieni al popolo degli uomini…e nel nostro villaggio avresti protezione e cibo in abbondanza…Cosa potrai mai farne della tua vita quando il gabbiano ti lascerà…Non vivono a lungo quegli uccelli e tu presto resterai sola»

Dubbi e tristezza moltiplicarono i dolori del suo cuore e non fu facile superare indenne quel triste periodo, si sentiva confusa e incapace di prendere una decisione. Aveva compreso di appartenere alla razza degli uomini…ma troppi ricordi importanti la legavano a quella spiaggia e al suo caro Hiyvv.
Quegli uomini seppero insistere e le loro premure seppero renderle la vita un abisso di dubbi. Lasciò trascorrere alcuni giorni sempre pressata dalle loro insistenze e una mattina, dopo aver trascorso una notte di veglia, decise che avrebbe seguito quegli uomini.

- Addio amico mio… - Sussurrò carezzando il corpo del gabbiano - Non posso più restare con te…il mio corpo appartiene alla razza degli umani…e presto partirò con loro
- Credevo che gli amici non si abbandonassero mai - Replicò tristemente lui
- Io non potrò mai abbandonarti se resterai padrone del mio cuore. Per me tu non sei stato soltanto un amico… sei stato il mio coraggio, la mia forza e io ti debbo la vita
- Ma tu appartieni agli uomini… - Commentò tristemente lui evitando di guardarla negli occhi
- Tu mi hai insegnato che appartengo soltanto a me stessa…ed io non tradirò mai la tua amicizia
- Allora resta con me! - La pregò lui con le lacrime agli occhi
- Questo non puoi chiedermelo… - Singhiozzò lei - Il prossimo anno tu non ci sarai, ed io sarò sola
- Hai ragione…scusami… - Mormorò lui comprendendo d’averla persa - Ad ognuno di noi spetta la vita per cui è stato creato e nulla può cambiare questa certezza
- Addio mio cuore…- Sussurrò lei carezzandolo - non ti dimenticherò

Da quel giorno la vita della bambina cambiò completamente, imparò a vivere un’esistenza del tutto nuova, ebbe molti altri amici con i quali giocò e crebbe.
Ma se il suo volto mostrava d’essere felice e la sua vita era colma di gioiosa vitalità, ben presto cominciò a provare nostalgia del tempo trascorso sulla spiaggia, rammaricandosi d’aver lasciato cadere quel primo sentimento d’amore che ancora possente le riempiva il cuore.

Con quei ricordi trascorse infinite notti in lacrime e dovette vincere l’istinto di razza prima di sentirsi pronta a fuggire dal villaggio e alla fine decise di ascoltare il suo cuore.
Di soppiatto una sera lasciò la sua capanna e dopo una corsa a perdifiato che durò tutta la notte raggiunse la spiaggia gridando il nome del suo amore
- Hiyvv…Hiyvv…Oh Hiyvv!
Chiamò ed urlò quel caro nome, ma nessuno le rispose e lei si lasciò scivolare in lacrime sulla sabbia.

Trascorse il giorno in lacrime disperandosi e urlando il nome del suo amato…e poco prima del tramonto, mentre all’orizzonte il sole incendiava le basse nubi, le fu rivelato che Hiyvv si era dato la morte in mare lo stesso giorno in cui lo aveva lasciato per il mondo degli uomini.

Lei non volle credere d'essere stata causa della sua morte e continuò a chiamarlo nei giorni e nelle notti che seguirono.
Poi, quando quel dolore divenne insopportabile, lentamente si avviò in mare…e rinunciando al sogno d’essere donna, scelse di tornare in quell’oscurità dov’era nata e dove avrebbe ritrovato il suo perduto amore.»

#

Pressappoco verso la fine del primo millennio dell'era della luce, sul continente Nord di Tars, iniziarono a verificarsi strani e misteriosi fenomeni.

All'inizio furono in molti a considerarli scherzi di qualche burlone, ma quando altri cominciarono ad argomentare che potessero essere opera di belzebù, capirete bene che la cosa prese una piega diversa e in verità la cosa cominciò ad allarmare anche i più scettici.
Le prime avvisaglie si ebbero sulla piccola isola della montagna verde. Nulla di preoccupante, soltanto qualche sparizione che somigliava a furtarelli da due soldi, però fu proprio lì che cominciarono a nascere le prime voci che misero in allarme le autorità del luogo e in particolare quelle religiose.
- Perché le autorità religiose, direte voi?
- Beh, state a sentire e poi capirete

Sull'isola della montagna verde, proprio sotto la sua ombra, nascosta da una minuscola ansa che ne impediva la vista a chi veniva da mare, c'era una minuscola spiaggia ben protetta dalle correnti fredde che scendevano dal nord del grande continente e sulla quale Gull il pescatore aveva la sua casa.
Gull era un ragazzone di circa vent'anni e quando all'alba rientrava con la barca da una notte di pesca, dopo una buona dormita amava trascorreva quasi tutto il suo tempo a curare un orticello che gli forniva verdure fresche e a migliorare la struttura di quella che con un certo orgoglio chiamava "la mia casa".
Beh, in realtà lo era, ma non dimentichiamoci che a quei tempi le case non era come le conosciamo oggi…erano un po' meno curate e non avevano grandi comodità, ma per il buon Gull era la sua casa perché l'aveva edificata suo padre e alla sua morte ne era diventato il padrone e sovrano.

Per la verità ci voleva un bel coraggio a vivere da solo su quella spiaggia lontana da tutto e da tutti, ma Gull era giovane, gli piaceva il suo lavoro e soprattutto era testardo.
Prima che suo padre morisse, gli fece promettere che avrebbe avuto cura di quella casa…di ammogliarsi…e di mettere al modo un paio di figli e lui faceva quello che poteva…aveva la massima cura della casa, ma di mogli e di figli nemmeno l'ombra…e sapete perché? Perché nessuna ragazza con la testa a posto avrebbe mai scelto di andare a vivere con lui su quella spiaggia lontana dal mondo.
Eppure a lui piacevano i bambini, ne era così incantato che inventava di continuo filastrocche divertentissime che recitava ai bambini dell'isola del sole.

Capitava raramente, ma di tanto in tanto Gull si recava con la barca sull'isola del sole dove aveva molti amici tra i bambini del villaggio, ai quali recitava le sue ultime filastrocche.

Gli uomini del villaggio, per prendersi gioco di lui, gli raccontavano sempre la vecchia storia della bellissima ragazza venuta dal mare che si era innamorata di un gabbiano, ma che un giorno era scomparsa misteriosamente dall'isola, facendogli poi sempre la stessa domanda
- La tieni nascosta sulla tua isola?
- Non ho nessuna ragazza sull'isola - Si difendeva lui diventando rosso in viso - Ma vedrete che un giorno o l'altro ve la ritroverò io quella ragazza
Lui ci scherzava e ci rideva, ma quando rientrava nella sua isola non faceva altro che pensare a quella storia della ragazza e a volte la lasciava perfino entrare nei suoi sogni.

La sua vita trascorreva monotona e tranquilla, ma un giorno d'inverno, visto che il mare non voleva proprio saperne di calmarsi, impedendogli così d'uscire con la barca, decise di impiegare il suo tempo a riparare il tetto della casa.
Quell'anno sembrava non volesse più smettere di nevicare e il tetto della casa cominciava a dare preoccupanti cenni di cedimento.
Pensò che con poche e buone assi di legno, avrebbe rafforzato la stabilità del tetto e soprattutto avrebbe eliminato tutti quei fastidiosi sgocciolii che durante le giornate di pioggia lo costringevano a sistemare, un po' per tutta la casa, bacili e catinelle affinché non si allagasse.
Quindi indossò il mantello di pelliccia, calzò gli stivali e con l'ascia sulle spalle si avviò verso le piane del bosco di Gull (sissignore ho detto Gull, poiché fu proprio suo padre a dare quel nome al bosco sotto la montagna) alla ricerca qualche buon tronco da cui ricavare il materiale per riparare il tetto.
Anche il mese precedente era salito fin lassù e tra l'altro aveva fatto una capatina in paese dove era stato messo al corrente di quelle strane cose che accadevano. Tutto il paese ne parlava, ma nessuno riusciva a capire chi potesse essere il mariuolo che le combinava.
Sentì parlare di fantasmi e di magie, ma lui non credeva né agli uni né alle altre…lui era un pescatore, quindi uno con la testa sulle spalle.

Aveva appena iniziato la sua ricerca arrancando tra la neve, quando un'improvvisa e fitta nebbia scese dalla montagna insinuandosi tra gli alberi.
Ormai Gull si trovava decisamente lontano dalla sua casa e non appena vide scendere quel nebbione, si affrettò a riprendere la strada del ritorno.
Non aveva certo nessuna delle paure che tormentavano gli abitanti del villaggio, ma neppure aveva intenzione di perdersi tra i boschi e dover poi trascorrere la notte al freddo, perciò si assestò sulle spalle il mantello di pelle di pecora, si calcò fin sulle orecchia il berretto e con l'ascia sulle spalle ripercorse la strada che avrebbe dovuto riportarlo verso la spiaggia.
Ben presto però si accorse d'essersi sbagliato; sul sentiero che stava percorrendo non vide le sue precedenti tracce sulla neve e tra l'altro sembrava andasse proprio in direzione opposta.
Infatti, quando scese la sera si accorse con una certa preoccupazione di essere ai piedi della montagna e di essersi smarrito.

- Bel marinaio che sei! - Si disse cercando di mantenersi allegro

Ad ogni modo le notti in mare gli avevano insegnato a non perdersi d'animo, cercò un anfratto che potesse offrigli un minimo di riparo e quando stava già per rannicchiarsi nella sua coperta, vide in lontananza un debole bagliore.
Decise di andare a vedere di cosa si trattava e riprese il cammino con passo deciso. Man mano che si avvicinava si accorse che la luce proveniva dalla finestra di una baita in pietra, di quelle che usano i pastori quando d'estate portano le greggi al pascolo.
- Qui troverò sicuramente un focolare e un posto caldo per trascorrere la notte - pensò Gull bussando alla porta.
Con sua grande sorpresa non rispose nessuno.
- Deve pur esserci qualcuno - rifletté - Le candele non si accendono certo da sole
Bussò ancora, ma anche allora, sebbene avesse sentito delle voci provenire dall'interno, non rispose nessuno.
Gull s'infuriò e gridò:
- Che razza di gente vive in questa casa se non vuole dare asilo ad un viandante stanco in una notte d'inverno come questa?
Per qualche istante sembrò che nulla si muovesse, ma poi sentì dei passi strascicati e vide la porta aprirsi di quel tanto che sarebbe bastato per far entrare un gatto.
Nello spiraglio della porta una vecchia lo squadrò severamente.
- Scusate buona donna potreste ospitarmi per questa notte? Credo di essermi perso? - Chiese molto cortesemente lui
- Neanche per sogno! - Rispose poco cortesemente lei
- Ma che accidenti avete nel cuore? Non ci sono altre case nel raggio di mezza giornata di cammino e se mi lasciate qua fuori domani morto attaccato alla vostra porta e voi scavare una fossa per darmi sepoltura
Forse spaventata da quel obbligo certamente faticoso, la vecchia spalancò la porta borbottando
- Entra e vai a scaldarti al fuoco, ma non c'è nulla da mangiare!

Gull entrò nel piccolo ricovero e sentì la porta richiudersi alle sue spalle con un tonfo.
Nel camino ardeva un bel fuoco, si accostò e fu allora che vide, sedute ad entrambi i lati del focolare, due vecchie che lo guardavano abbastanza contrariate.
- Scusatemi tanto care signore…non vi avrei disturbato se fuori non facesse tanto freddo
- Scusarti? E perché dovremmo scusarti…per colpa tua stasera non si berrà
- Non darle retta figliolo. - Borbottò la vecchia che l'aveva fatto entrare - Tu scaldati e vedi di addormentarti in fretta
Dopo di che le tre vecchie non gli rivolsero più neanche una parola, ma presero a bisbigliare tra di loro.
Lui si avvolse nella sua coperta e tentò di addormentarsi.
Però non riusciva a prender sonno perché non si trovava a suo agio nel piccolo ricovero e pensò che forse sarebbe stato meglio se avesse tenuto gli occhi aperti… quelle tre vecchiette non lo convincevano.
Ma vuoi per il calduccio o perché era veramente stanco, Gull chiuse gli occhi e si concesse un sonno leggero.
Appena il suo respiro rallentò mostrando d'essere addormentato, una delle vecchie si alzò e andò verso una grossa cassa di legno in un angolo della stanza.
Probabilmente si erano ormai convinte che l'ospite indesiderato si era addormentato, ma Gull aveva imparato a dormire con un occhio solo per tenere sotto controllo la lenza e quando vide la vecchia aprire il pesante coperchio, estrarne un mantello d'un bel colore scarlatto e indossarlo, decise di aprirli tutti e due gli occhi.
E fece bene poiché tutte e tre le vecchie si presero per mano e iniziarono a girare intorno alla cassa ballando e cantando una nenia ossessiva, poi all'improvviso si fermarono e gridarono con voce gracchiante
«Al castello, al castello!»

Con grande stupore Gull vide le tre vecchie dissolversi nell'aria in un batter d'occhio.
Un istante dopo Gull si ritrovò padrone della stanza.
- Vecchie streghe malefiche! - Borbottò tra se alzandosi per avvicinarsi alla cassa - Per la barba di belzebù, ma cosa c'è in questa cassa?
Al suo interno c'era soltanto un altro mantello scarlatto, esattamente uguale a quello che aveva indossato la vecchia. Curioso di sapere in quale mondo le tre streghe si fossero involate, indossò il mantello e dopo aver fatto su se stesso qualche giro di danza intonando le nenia che aveva udito, gridò forte come avevano fatto le altre:
«Al castello, al castello!»

Improvvisamente le pareti della stanza scomparvero e Gull ebbe l'impressione di sfrecciare velocissimo nell'aria fredda della notte.
Pensò che fosse arrivata la sua ora ed ebbe paura, ma ecco che d'un tratto senti mancare il sostegno sotto di se e con un grosso tonfo piombò al suolo. Guardandosi attorno dolorante, scoprì di trovarsi in una grande cantina dove le tre vecchie stavano sbevazzando smodatamente.
Appena videro Gull le tre arpie s'interruppero e gridarono:
«Alla cantina del curato!»
E immediatamente sparirono.

Per un po' Gull si massaggio le parti doloranti, poi decise di seguire le vecchie…e dopo un nuovo tonfo sul pavimento si trovò in un'altra cantina, un po' più piccina, ma ugualmente ben fornita, dove le tre avevano ripreso a sbevazzare.
Quando le vecchie videro di nuovo il giovane si presero per mano e urlarono
«Alla capanna, alla capanna, riportaci indietro!»

A quel punto Gull non aveva davvero più nessuna voglia di seguirle, quel luogo gli piaceva, era caldo e asciutto e l'indomani avrebbe raccontato a tutto il paese chi erano le ladre che combinavano guai in paese.
Osservò attentamente tutte le brocche e le bottiglie sugli scaffali, bevve un sorso ora da questa e ora da quella bottiglia, tirò giù dal soffitto un sostanzioso rosario di piccole e profumate salcicce e se ne riempì lo stomaco, poi si trascinò in un angolo addormentandosi profondamente.

La cantina nella quale Gull era misteriosamente arrivato, apparteneva al curato del paese.
La mattina dopo la domestica del curato scese in cantina a prelevare un po' di lardo per la colazione del sant'uomo e vedendo le bottiglie vuote disseminate per terra ebbe un moto di stizza.
- Santo cielo - Borbottò la vecchia - Già altre volte sono venute a mancare delle bottiglie dagli scaffali, ma non è mai accaduto che i ladri si comportassero in questo modo così sfrontato…questa volta si sono pappati anche una intera fila di salcicce. Oh corona del dolore E ora chi glielo dice al curato… Era già con pronta a precipitarsi di sopra quando vide Gull che se la dormiva in un angolo con il mantello scarlatto ancora sulle spalle e con in mano qualche salciccia
- Ora ti aggiusto io brutto ladro ubriacone - E cominciò a gridare con quanta voce avesse in corpo - Al ladro! Ho trovato il ladro! Aiuto, ora mi ammazza!
Al suono di quelle urla Gull si svegliò, ma non fece neppure in tempo ad alzarsi che fu raggiunto da una gran legnata sulla testa che lo tramortì.
Accorse altra gente che legarono le mani sulla schiena di Gull, gli incatenarono i piedi e lo trascinarono via come un'anatra pronta per la griglia.

Un imponente codazzo di paesani trascinò il prigioniero al cospetto del curato, ma prima di lasciarlo avvicinare al sant'uomo, gli strapparono il mantello dalle spalle, perché era mancanza di rispetto recarsi a far visita al curato con il mantello sulle spalle.
Gull fu interrogato, accusato di stregoneria e quindi condotto davanti al tribunale, che lo condannò al rogo.

Per non farsi credere pazzo si guardò bene dal raccontare la storia delle tre streghe, ma ogni sua difesa fu inutile e d'altra parte non c'era nessuna possibilità di perdono per chi era stato sorpreso con il corpo del reato tra le mani.
(Ragazzi miei dovete credermi, ma a quell'epoca la giustizia era una cosa seria e chi sbagliava pagava!)
Nella piazza del mercato venne ammucchiata una grande catasta di legna e sopra venne legato il povero peccatore
All'ora stabilita dell'esecuzione una grande folla si era radunata per vedere morire tra le fiamme il pericoloso ladro di vino nonché figlio di belzebù.

Gull si era già rassegnato alla sua triste sorte quando improvvisamente gli venne un'idea.
- Un ultimo desiderio! - gridò in lacrime - Non voglio andarmene all'altro mondo senza il mio mantello
- Mica ti facciamo morire tra le neve - Disse il boia - Avrai un bel foco a cui scaldarti
- Lo so, ma vedi amico mio, quel mantello me lo regalò mio padre…ed io non voglio lasciarlo qui…per favore…quando sarò in cielo pregherò per te
- Ma tu non andrai in cielo…a te spetta l'inferno!
- Per favore! - Disse lui - Pregherò belzebù di non venirti a cercare prima di cent'anni
- Giura!
- Giuro solennemente di ricambiare il tuo favore
- Allora va bene…Oh, ma bada di non dimenticarlo!

E così il boia gli concesse l'ultimo desiderio, gli mise sulle spalle il mantello e…Non appena Gull se lo sentì indosso lanciò un'occhiata disperata alle fiamme che già lambivano le punte dei piedi e gridò più forte che poté:
- Alla capanna, alla capanna, riportami indietro!
Con grande sorpresa del boia e di tutti quei bravi paesani (si fa per dire, vero?) e del curato, che nel veder sfumare la sua vendetta fu colto da un dolorosissimo attacco di bile, l'uomo e la catasta di legna scomparvero e non furono mai più visti sulla montagna.

Quando Gull ritornò in sé si ritrovò disteso sulla neve legato come un maialino alla catasta di legna, ma del vecchio ricovero e delle tre streghe non c'era più alcuna traccia.
- Accidenti alla mia curiosità, giuro che da oggi mi farò soltanto i fatti miei…E ora chi mi scioglie, se resto ancora un po' disteso sulla neve farò la fine del baccalà!
La giornata, dopo la nottata di neve, era tornata ad essere limpida e Gull vide avanzare verso di sé un vecchio contadino con l'ascia sulle spalle
- Eh amico! Mi puoi liberare da questa maledetta catasta di legna? - Chiese Gull al vecchio.
Il contadino fece come gli era stato chiesto.
- Ma perché diavolo ti hanno legato in questa maniera? - Chiese

Gull ripiegò ben bene il mantello scarlatto, se lo ficcò nella tasca e guardò la catasta con aria colpevole, poi però si accorse che era della buona e robusta legna e allora si ricordò del motivo per cui era uscito di casa.
- Ah si questa? È un carico di legna che mi ero legato sulle spalle per non perderlo e che mi servirà per riparare il tetto della mia casa - rispose - Me l'ha data il curato del paese in persona…Sai indicarmi la strada per la spiaggia piccola…sai, non ho molta dimestichezza con i boschi
- Tu sei il pescatore della piccola spiaggia?
- Si, sono io
- Non è lontana, ma attento…in questo tratto di bosco si fanno strani incontri
- Lo so bene - Bofonchio lui

Il contadino gli indicò la strada per la spiaggia e Gull si avviò felice verso casa. Ora era quasi certo che quel mantello gli avrebbe fatto ritrovare la ragazza del mare…a allora prese a canticchiare felice…

…la Marianna va il mulino
mentre pigola il pulcino
la Marianna ninna nanna
dormi, dormi e fai la nanna
la Marianna va la gatta
con la testa tutta matta
la Marianna vola in cielo
con la neve scende un velo
la Marianna va dal nonno
mentre mangia pane e tonno
la Marianna va il bambino
mentre dorme il cavallino
la Marianna va al castello
la Marianna del mantello
la Marianna ninna nanna
dormi amore e fai la nanna...


Il mondo di Tars

(Un altro frammento di una fiaba ritrovata che dedico a tutti quei meravigliosi esseri chiamati "Donna")


Credete a quel tipo di amore che rinuncia alla felicità in cambio del dolore?
No vero? Ci avrei scommesso.

Bene, allora dovete sapere che alcuni anni più tardi, Gull si trovò a vivere l'avventura della sua vita in un fantastico paese nascosto tra i monti.

Ora vi domanderete cosa c'entrano i monti con il mare e i gabbiani…beh, ora ve lo spiego…
In quegli anni le cose non erano andate come Gull avrebbe desiderato, quella parte di mondo aveva avuto qualche problema, qualche guerra di troppo che gli aveva distrutto la casa sulla spiaggia e Gull si era dovuto inventare di tutto pur di poter tirare avanti, ma, a costo di fare la fame, si era sempre rifiutato di fare il soldato…la guerra gli ripugnava...Poi, poco a poco le cose cominciarono a sistemarsi e lui aveva trovato un lavoro come guardia caccia.

Da ormai alcuni anni Gull si era trasferito sulla montagna dell'isola del sole, e considerato che il suo lavoro lo lasciava spaziare per tutto il territorio, iniziò a svolgere il proprio lavoro esplorandolo in lungo e in largo.

Verso la fine dell'estate di quell'anno, stava facendo ritorno verso casa dopo una settimana di caccia infruttuosa ad un gruppo di bracconieri che stavano spopolando la montagna dei suoi animali più preziosi, quando, dopo aver superando gole ricche di boschi, torrenti impetuosi e soprattutto attraversato ondeggianti ponti di corde sospesi nel vuoto, improvvisamente si trovò in un luogo dove la linea verde della terra sembrava si congiungesse a quella azzurra del cielo.
Era quasi l'imbrunire e le stelle già brillavano illuminando prati scoscesi, quando, superati gli ultimi alberi, entrò in una piccola valle dove la boscaglia s’addensava più umida e oscura, si diresse verso una piccola grotta che sapeva essere libera dai suoi inquilini e li, poco prima dell'ingresso, vide chiaramente tra i cespugli una piccola forma tremante.

Stupito si avvicinò. Districò qualche ramo già carico dell'umidità della bruma serale e...rimase a bocca aperta.
Davanti ai suoi occhi, riverso nell'erba, c'era un misterioso essere.

In realtà si trattava di una ragazzetta con uno scompigliato cespuglio di capelli dorati che le spiovevano sugli occhi larghi di paura.
Era molto carina, aveva il colore degli occhi turchini e profondi come i mari meridionali, che al pari dei capelli dorati e un minuscolo naso all’insù le davano un'espressione del tutto fuori del comune.
Ma ciò che maggiormente attrasse la sua attenzione era un sorriso che le illuminava senza ombre tutto il volto...e poi...e poi...dove aveva visto quel volto? La conosceva?
Rimase come fulminato, per la prima volta nella sua vita gli parve di non aver mai visto una ragazza portare in giro tanta bellezza.
«E, tu chi sei?» le chiesi forse un po' troppo rudemente
La ragazza nascose il capo tra le braccia e si rattrappì su se stessa; sembrava una bestiola presa in trappola.
«Stai tranquilla, non voglio farti del male, però dovresti dirmi chi sei» ripeté nuovamente e questa volta accompagnando le parole con i gesti.

Un po’ a segni, un po’ a parole, si presentarono. La ragazza si chiamava Cellisel, parlava un idioma quasi simile al suo con qualche accento del tutto sconosciuto.
Era in quell’età in cui il corpo di una ragazzetta segretamente sboccia, s’addolcisce, perde le angolosità infantili, cogliendo di sorpresa ogni bambina.
«Mi...mi chiamo Cellisel» disse finalmente lei con una vocina sottile.
Aveva sugli occhi delle ciglia folte e lunghissime che contrastavano con il volto ancora infantile.
«Di dove vieni? Non devi aver paura di me, sono un po' più grande di te, ma sono un ragazzo anch'io» le disse ancora mentre tentava di aiutarla ad uscire fuori da quella scomoda posizione.
Cellisel doveva essere davvero esausta perché non appena la tirò fuori dal cespuglio e la lasciò, lei scivolò di nuovo nell’erba.
La prese tra le braccia e la portò di peso nella piccola grotta...accese un fuoco e poi si dedicò a lei, che era stata ad osservarlo silenziosa per tutto il tempo.
In poche parole lei gli disse di non sapere come fosse arrivata in quella piccola valle.

Raccontò di essere arrivata su quelle montagne da poco tempo, dopo un lungo viaggio assieme ai suoi nonni.
Non conosceva molto della sua vita...aveva le idee un po' confuse, gli confidò che forse era nata nel mare, ma di non sapere cosa fosse il mare, e che quella mattina era uscita di casa per raccogliere funghi, perdendosi.

Per l'intera giornata aveva vagato nei boschi fremendo per ogni ombra oscura che occhieggiava dietro la scorza rugosa degli alberi.
Raccontò di aver attraversato ponti sospesi sulla schiuma di selvaggi torrenti, e che il silenzio, solo scheggiato dall’urlo di qualche invisibile animale, l'aveva avvolta per tutto il giorno, e lei aveva avvertito su di sé le fredde dita della morte allungarsi, pronte a ghermirla al primo segno di cedimento.
Si era fatta coraggio, aveva corso con i piedi feriti, i vestiti strappati dai rovi, la pancia vuota che gorgogliava, il cuore pesante d’angoscia e negli occhi l’immagine di sua nonna che la cercava inutilmente.
Ricordava di avere corso angosciata finché i suoi piedi inciamparono nel frusciante tappeto di foglie ramate e li era caduta rimanendo senza forze.

Terminato il suo racconto lei abbassò le palpebre e chiuse fuori le sue paure.
«Sei nata nel mare?» chiese Gull con un filo di voce
«Si, te l'ho detto…ma i miei nonni non hanno voluto dirmi altro»
«Io conosco il mare.» sussurrò Gull «Prima di venire sulle montagne ero un pescatore. Ora stammi a sentire, ci racconteremo ogni cosa domani, adesso devi riprenderti, mettere nello stomaco qualcosa e farti una bella dormita»
«Ho paura, non riuscirei a dormire»
«Qua siamo al sicuro, e poi ci sono io a farti compagnia, stai tranquilla»

Mangiarono dividendosi quel po' che Gull aveva nella sacca, poi lei si coricò nell'erba ma non si addormentò.
Gull si rese conto di quanto fosse stanca, era cosciente e sapeva di non essere più in grado di lottare, allora la coprì con il mio giaccone e lei si consegnò al destino, qualunque cosa l'aspettasse.

A Gull quella ragazzina piacque subito, non capiva perché provasse quella forte attrazione nei suoi confronti, ma il modo di raccontare la sua avventura fu per lui come seguire percorsi d'acqua zampillanti di risatine.
Trascorsero la notte sotto lo stesso giaccone e il mattino successivo dopo averle fatto indossare il suo giaccone si misero in cammino per trovare quello strano paese.

Durante i cammino Cellisel sembrò essersi ripresa, divenne più briosa ed allegra, ogni tanto si toglieva il giaccone per farlo indossare a Gull, gli raccontò di essere figlia di un grande capo del mare, ma di essere nata e cresciuta sulla terra e di essere tornata nel regno suo padre per qualcosa che aveva combinato, ma non ricordava quale fosse il motivo.
Da quando era arrivata sulla montagna abitava con i nonni in una casina bianca con i gerani rossi alle finestre, ma di non sapere più dove si trovasse il suo paese.

In parole povere Gull si assunse l'incarico di riportarla a casa, ma la cosa fu di qualche difficoltà.

Scoprì poi, che il paesino dov'ella viveva era davvero un piccolissimo paese, era composto di una piazzetta acciottolata, affacciata su un panorama di rocce chiazzate di verde, e tutt'attorno una spruzzata di casette dai muri bianchi ornati da finestrine ridenti di gerani.

Chissà quante volte avrete visto paesucoli del genere andando in montagna, però quello era diverso da tutti gli altri!

In realtà, tranne i nonni di Cellisel, nessuno degli abitanti del piccolo paese erano a conoscenza che oltre le montagne che li circondavano, potessero esserci altri paesi e tante, tantissime persone.
Erano tutti convinti che quelle montagne fossero le loro colonne d'ercole e che il mondo fosse racchiuso in quel loro luogo felice, dove il cielo si stringeva alla terra in un amichevole abbraccio.

La gente non era molto diversa da quella che Gull aveva incontrato sull'isola del sole; aveva due gambe, due braccia, due occhi, un naso e perfino una bocca per ridere e cantare...Beh, in realtà qualcosa di differente l'avevano...sia gli uomini che le donne e soprattutto i ragazzi e ragazze, avevano sul viso la medesima espressione di allegra spensieratezza.
Non era possibile camminare per le strade di quel paese senza essere felici...e volete sapere una cosa? Neppure se si girava tutto il paese si riusciva a trovare uno dei suoi abitanti che piangesse o che soltanto avesse le labbra rivolte malinconicamente all’ingiù.
Erano certi che se uno di loro avesse pianto, quella sarebbe stata la causa della sua morte.
Tutti sfoggiavano allegri sorrisi e le strette viuzze echeggiavano di risate argentine.
La vita, in quel paese, scorreva come un tranquillo ruscello illuminato dal sole.

Camminarono per l'intero giorno e sul fare della sera, un po' per fortuna e un po' perché Cellisel pian piano riconobbe luoghi a lei sempre più amichevoli, giunsero ai margini di uno strano paese.
Fu accolto con un po' di diffidenza iniziale dai parenti di Cellisel, ma poi le cose migliorarono e trascorse la notte nella loro casa, dormendo finalmente in un morbido letto.

Il giorno dopo fu presentato alla comunità che gli fece gran festa e ben presto si rese conto della felicità che, come un dolce sciroppo, scorreva per tutto il villaggio.
Allegre risate si sentivano echeggiare nelle case e per strada, e i visi della gente sembravano avere rubato la luminosità al sole.
Probabilmente l’aria che si respirava in quel luogo sperduto era impregnata di un’ilarità perenne e nessun abitante sfuggiva al misterioso influsso.

Gull decise di rimanere qualche giorno ospite della famiglia della piccola Cellisel, e invece finì che il tempo trascorse veloce tra quella gente che non conosceva tristezza, ai giorni si aggiunsero i mesi e ai mesi gli anni.

Nel frattempo Gull si era fatto un bel giovane, beh per la verità lo ero anche prima, però...le ragazze del paese se ne erano accorte e lo segnavano col dito manifestando con sonore risate il loro apprezzamento.
In realtà, pur essendone lusingato, a Gull la cosa non interessava più di tanto. A lui interessava soltanto Cellisel.

Una sera, nell’ora in cui il tramonto ramato si stemperava nelle prime ombre notturne, Gull si recò alla grande cascata dietro il paese.
L’acqua precipitava con selvaggia violenza lungo una gola verde di muschio, e all’improvviso, quasi stregato da tutto quel fragore, la sua mente volò lontano, al di là delle alte cime, oltre i boschi popolati di ombre, fino alla sua casa sulla piccola spiaggia.

La nostalgia, soffocata da quel mondo artificiale di felicità, gli rovinò addosso di colpo.
Intuì che solo con il pianto avrebbe potuto dare sollievo all’oscura angoscia che avvertiva nell’animo; ma i suoi occhi rimasero asciutti e la bocca, come il solito, stirata in un misero sorriso.

Staccatosi a fatica dalla visione, alzò gli occhi verso le cime che foravano la notte e urlò con tutta la forza dei suoi polmoni:
«Chiunque tu sia, dio, mago o strega che hai gettato un incantesimo su questo paese, io ti invoco! Lascia che il dolore si riversi fuori di noi e non rimanga nascosto nel cuore come un animale nella tana! Abbiamo il diritto d’essere uomini come tutti gli altri sulla terra!»
Le sue parole tagliarono come lame affilate l’aria bruna.

La cappa pesante del cielo, punteggiata di stelle, ebbe un lungo brivido e una voce non umana precipitò rombando dagli spazi cosmici:

«Piccolo uomo temerario, come osi interpellare con tanta arroganza il dio della felicità? Io ho donato a questo popolo una vita senza sofferenze. Da allora è sempre vissuto felice; perché vuoi insinuare il dubbio nei loro animi gioiosi?»

«La loro è una gioia artificiale.» replicò rabbioso Gull «La gioia da sola, senza le altre emozioni dell’animo con cui confrontarsi, è piatta, non ha spessore. E’ come uno strumento monocorde in cui vibra in eterno un’unica nota. Non ha nulla di umano.»

«Sciocco ragazzo, non sai godere del privilegio che la sorte ti ha donato!» disse il dio della felicità «Scioglierò soltanto te dal sortilegio, ma dovrai abbandonare il mio felice paese e tornartene nel mondo degli uomini tristi. Tu mi hai chiesto di ridarti tutti i sentimenti umani ed io ti accontenterò. Soffrirai la paura, la solitudine, l’angoscia. Scoprirai che anche l’amore non è solo gioia pura, ma anche emozione palpitante, sofferenza sottile.»

Il dio, dopo aver pronunciato queste parole, tacque.

Nell'aria restò per qualche attimo solo l’eco crudele di un tuono che si allontanò scivolando nel vento.
Un lungo brivido di terrore corse tra le scure chiome degli alberi avvolti dalla notte.

«Che ti succede?»
Una voce ben nota lo fece sobbalzare.

Strizzò gli occhi, un tremulo velo di nebbia era calato sfocando i contorni delle cose, e finalmente vide la sua cara Cellisel.

Gli anni avevano disegnato sulla sua figurina morbide curve femminili, ma il volto conservava ancora la grazia selvatica dell’infanzia, con l’aggiunta però di una intensità adulta nello sguardo e fu proprio in quel momento che la riconobbe…Cellisel non era altri che la sua amatissima cellula della spiaggia sull'isola del sole.

«Cosa ci fai qui, al buio? Con chi stavi parlando?» Domandò lei curiosa.

«Dobbiamo andar via di qui» disse Gull
«Andar via?» rispose lei sorridendo «E dove vorresti andare?»
«Tornare nel nostro mondo»
«Il mio mondo è qui...sei tu...Non sei felice con me»
«Lo sono moltissimo, ma non è questa la vita che spetta agli uomini»
«Tu mi hai raccontato dell'infelicità che regna del tuo mondo, dunque perché vuoi tornare?»
«Sei la cosa più cara che ho nella vita e non voglio perderti per nessuna ragione, ma non posso più restare in questo paese»
«Tu vuoi lasciarmi?» chiese lei spalancando gli occhi per la sorpresa
«Oh no! Non ti lascerò mai, resteremo sempre assieme»
«Non capisco...io non posso venire con te. Se venissi dovrei lasciare la mia famiglia e vivere una vita diversa...Non sono sicura di riuscire a sopravvivere...forse morirei...ricordi quando mi trovasti nel bosco? Ero quasi morta»
Per la prima volta, guardandola, Gull sentì nel petto il cuore fremere.
«Vieni qua» le sussurrò con un'emozione nuova.
Tese le braccia per stringerla a se, ma urtò contro un invisibile ostacolo. Nuovamente l’aria nebbiosa fu percorsa da un brivido e la voce calò rombando dallo scuro velluto del cielo.

«Ricorda le mie parole, sciocco ragazzo! Non potrai mai più avere contatti con questa gente, ormai tu appartieni ad un altro mondo. Vattene o il mio castigo ti colpirà terribile!»

Gull e Cellisel si guardarono con le mani poggiate sulla parete invisibile, vicini, ma divisi, ascoltando in silenzio le dure parole.
Cellisel aveva ancora stampato sul viso il suo perfetto sorriso, ma gli occhi persero per qualche istante la loro la lucentezza come se un grigio velo fosse calato ad oscurarli.
Fu un attimo, lei apparteneva al paese felice e nessun altro sentimento poteva scalfire la sua serenità.

«Scappiamo assieme!» propose Gull mentre con le dita disegnava sull’invisibile parete i contorni del volto di Cellisel
«Com’è possibile che questo impalpabile ostacolo ti separi da me?»

Volgendo poi lo sguardo con impeto verso il cielo stellato, lanciò la sua disperata richiesta:
«Dacci, o Signore della felicità, almeno la possibilità di riunirci. Ti promettiamo che ci allontaneremo subito dalla terra su cui regni.»

«Quello che mi chiedi è impossibile», rispose la voce rotolando nel teso silenzio della notte. «A meno che...»

«A meno che...?» ripeté ansiosamente Gull
«A meno che l’amore di questa ragazza sia così potente da sciogliere col suo calore l’incantesimo che la protegge.»
«Come posso fare?» chiese lei
«Tu ami quest'uomo?»
«Moltissimo...più della mia vita»
«Saresti disposta a morire per lui?»
Cellisel era confusa.
Da alcuni anni lei e Gull erano legati da un profondo affetto.
Quando stavano assieme sentivano scorrere nelle vene una felicità così grande che quasi non riuscivano a contenerla completamente.

Leggendo il suo pensiero, il dio aggiunse:

«Per te piccola mia, che hai conosciuto il dolore della morte del tuo amore, ho dovuto creare questo artificio per non farti impazzire...ed ora che conosci solo la pura gioia ti sarà impossibile tornare a riprovare le sensazioni dolorose che ti spinsero a toglierti la vita...i sentimenti intensi portano con sé dolore. Io ti ho donato la felicità perenne, ma ti ho anche resa immune dalle emozioni profonde che consumano come la fiamma consuma la candela.»

Nubi gonfie di pioggia, trasportate dal vento, avevano ormai nascosto la dolce volta stellata.
L’eco delle ultime parole sfumò confondendosi con un rombo lontano.

Rimasero soli, avvolti dal silenzio della notte, finché le prime gocce di pioggia iniziarono a frusciare leggere nell’oscurità del bosco.
Essere così vicini, sentire i loro stessi respiri e non potersi neppure sfiorare fu un terribile supplizio.

La pioggia prese a cadere fitta, un lucido velo vibrante che scivolava sui loro corpi tesi.

«Ora ricordo...tu sei il mio caro Hiyvv...Oh mio Dio...ti ho ritrovato per perderti di nuovo»
«Si, ma se non potrò più stringerti tra le braccia cosa vuoi che m’importi di stare in un mondo dove tu non ci sarai?» urlò Gull, ma la sua voce era già come morta.

Cellisel se ne stava rigida, immobile, le mani premute sull’invisibile parete, i capelli gocciolanti. Ascoltava in silenzio le parole del suo amato che le rimbombavano nelle orecchie come un’esplosione.
«Mi ritirerò nel bosco e lascerò che la vita si spenga lentamente, ma prima voglio accarezzare un’ultima volta il tuo volto.»

Con tenerezza Gull sfiorò la parete d’aria con dietro il volto sorridente.

«Scusami» disse «se offendo con la mia mano la tua immagine»
«Ma cosa dici?» replicò lei «Tu fai troppo torto alla tua mano che ha mostrato in ciò la devozione...Oh mio bene, potessi giungere palma a palma e perdermi in un tuo bacio...Io non mi arrenderò mai, lascia che le mie labbra facciano ciò che le mani non possono...Dio! Dimmi come posso fare?» urlò al cielo
«Puoi piangere...ma potresti morire» fu la sua risposta
«Non m'importa»

Cellisel accostò le labbra all'invisibile parete offrendo a Gull il suo amore ma Gull non osò neppure accostarsi, allora lei passò le dita prima sui capelli grondanti, poi sugli occhi, ed egli vide le sue labbra tremare.

«Non vuoi baciare le mia labbra?» chiese lei
«Non posso» rispose deciso Gull «Non posso farti questo»
«Che cosa intendi dire?» chiese lei «Non ho capito il senso delle tue parole.»
«Hai capito benissimo!»
«No!» urlò lei «Oh Dio...tu vuoi lasciarti morire?! Non provare a farti del male. Perché sappi che io non potrei vivere sapendo di averti nuovamente ucciso»

Il suono della sua voce fu come una freccia di fuoco scoccata nell’umidità silenziosa della notte.
Inutilmente lei tentò di aggrapparsi alle braccia di Gull, le sue dita scivolarono sul nulla che li separava.

Fu allora che in lei accadde qualcosa di imprevedibile.

Cellisel sentì il sangue accelerare nelle vene e il cuore ritmarle impazzito nel petto.
Era smesso di piovere e un chiarore lattiginoso s’andava spandendo nel cielo. Si portò una mano sugli occhi; li sentiva bruciare come il fuoco. Le guance erano rigate da strani rivoli lucenti...

«Guardami» sussurrò lei «Io morirò, non tu!»

Le immagini che all’inizio arrivarono a Gull sembrarono sfilacciate, come avvolte da una nebbia sottile, poi mise a fuoco meglio il volto di Cellisel.

La notte era ancora scura, ma un leggero chiarore le illuminava il viso e gli occhi lucidi.

«Ma tu stai piangendo!» esclamò Gull incredulo.
«Si...si...»

Cellisel aveva compiuto il miracolo.
Istintivamente Gull la circondò con le braccia.
Sentì il suo corpo bagnato tremare e con tenerezza la strinse al petto.
Il tempo arrestò il suo corso, gli attimi persero i loro rigidi confini.

Soltanto più tardi si resero conto di percepire il calore dei loro corpi. Nessuna barriera più li divideva. L’incantesimo era stato infranto.

Cellisel si volse per un attimo a guardare il suo paese felice nella luce rosata dell’alba.
Dormiva tranquillo, isolato dalle alte cime.
«Addio...» sussurò

Poi si voltarono stretti l'una all'altro e ci addentrarono nel bosco verso la loro vita.



 
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view post Posted on 23/9/2020, 11:26     +1   -1
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