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LA VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

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renatag
view post Posted on 20/8/2020, 00:14 by: renatag     +1   +1   -1
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Emozione Grande

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LA VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

E’ una sera di marzo a Genova e, come abitualmente succede ogni mese di marzo di ogni anno, piove, piove, piove.
Le strade cominciano a somigliare a corsi d’acqua, perché i tombini rigurgitano la pioggia e perché il grande nemico, il fiume che abitualmente è poco più di un rigagnolo visitato da poche anatre velleitarie e molti ratti prolifici, sta silenziosamente gonfiandosi.
Ma il grande nemico, questa volta, non è lui, anche se ormai da tempo gli abitanti dei quartieri che si affacciano sulle sue sponde hanno il nodo in gola dalla paura ogni volta che piove anche solo da allerta gialla.
Il nemico è un altro, molto più piccolo, subdolo, veloce. Il nemico ha la forma accattivante, per chi lo riesce a vedere al microscopio, di una innocua pallina con tante protuberanze. Il nemico è un virus, un coronavirus, ma di un tipo sconosciuto sinora e sta circolando probabilmente già da un paio di mesi almeno, ma per troppo tempo è stato confuso con gli abituali, molto meno pericolosi, malanni di stagione: raffreddori, laringiti, bronchiti, polmoniti.
Ormai, però, la sua riproduzione incontrollata non può più rimanere inavvertita: dalla Cina si è espanso prima in alcuni paesi della Lombardia, da lì alle altre regioni del Nord dell’Italia, da chissà dove ai paesi dell’Est europeo, alla penisola iberica, al continente americano, alla Gran Bretagna, a… a… è pandemia, di una diffusione e violenza tale che solo i libri di storia o qualche centenario possono ricordare un precedente: la Spagnola, che aveva fatto più vittime del primo conflitto mondiale, al termine del quale si era affacciata a reclamare la sua quota di sacrifici umani.
I quotidiani, i telegiornali, i social media stasera fanno rimbalzare la notizia terrificante in ogni casa, in ogni paese, in ogni nazione.
Da domani, lockdown, tutti in casa. Chiudono i negozi, ad eccezione di quelli alimentari, le scuole, gli uffici pubblici e privati. Si inventa lo smart working per tutti e bisognerà imparare a fare riunioni e persino lezioni scolastiche in videoconferenza.
Lo spazio in cui muoversi si circoscrive alla propria abitazione, al massimo al proprio quartiere, il coprifuoco comprende tutte le 24 ore e per uscire di casa occorrerà munirsi di una autocertificazione, da scaricare da internet da uno dei tanti decreti che presidente del consiglio, presidenti di regione, sindaci hanno emanato e che sono solo i primi di una lunga serie di documenti scritti in un burocratese spesso ambiguo e incomprensibile.

In un palazzo costruito all’inizio del ‘900 a pochi metri dal letto del fiume, alcuni degli abitanti dormono già profondamente, alcuni, invece, guardano preoccupati dalle finestre la pioggia che cade inesorabile, fragorosa, incessante, altri leggono un libro, ignari di tutto, altri fanno ansiosamente zapping con il telecomando per verificare quelle notizie allarmanti, ansiogene, incredibili.
Sono ancora sveglie davanti alla TV le due sorelle del primo piano, anziane appassite insieme, dopo una vita dedicata alla cura della madre inferma e al lavoro nella loro merceria, un tempo frequentata dalle signore alla ricerca dei bottoni eleganti per una giacca, del cartamodello di una gonna, dei gomitoli di lana per un pullover da fare ai ferri. In quel mondo circoscritto il tempo è passato inesorabile, le due donne non hanno avuto un’esistenza autonoma, la più giovane di loro si è sposata un tempo lontano, ma è rimasta prematuramente vedova e senza figli, quindi è tornata a vivere con la sorella. Ma mentre la sorella più anziana sembra essere paga di quella vita grigia e sempre uguale, la più giovane nutre ancora inconfessati desideri di stringere amicizie, di coltivare interessi, di evadere dalla routine. Scoprire l’ UNITRE è stato per lei, in autunno, come lo schiudersi di un mondo di possibilità. Due volte alla settimana può così uscire, vestirsi con gusto, indulgere ad un filo di trucco e recarsi a seguire due corsi (con la quota di iscrizione ne avrebbe diritto a cinque, ma con che cuore potrebbe dire alla sorella che ben cinque volte alla settimana si sarebbe assentata di casa senza di lei?). Ha fatto qualche conoscenza, si è ritrovata in un clima quasi goliardico, ha ripreso, con interesse e con stupore, lo studio di una lingua straniera che pensava dimenticata e di una letteratura che l’appassiona come non credeva più possibile. Quando torna a casa, con i libri in borsa e tante nozioni nella mente, si sente di nuovo giovane, con il desiderio di apprendere, con la fiducia nelle proprie potenzialità. E ora, come farà, se si interromperanno anche le lezioni all’ UNITRE, come in tutte le scuole di ogni ordine e grado? Non potrà più neppure godere di quelle poche ore di evasione? La sua vita ridiventerà grigia come quella della sorella, che ha dieci anni più di lei?

E’ ancora sveglia anche la giovane coppia che convive al terzo piano. Lei corregge stancamente i compiti di inglese che i suoi alunni precari di una cattedra precaria hanno completato svogliatamente, sicuri come sono che, intanto, l’anno prossimo, in terza media, sarà sostituita da un altro docente. Lui prova sulla chitarra elettrica, a cui ha inserito la sordina, gli accordi di un brano che dovrà suonare con i tre componenti della band il sabato successivo e intanto sogna il giorno in cui diventerà famoso e ricco.
Sono giovani e belli, ma sono guardati con un po’ di diffidenza nel condominio in cui abitano da pochi mesi. Il fatto di non essere sposati e definirsi, quindi, “il mio compagno” e “la mia compagna” , l’abbigliamento sempre molto sportivo, i capelli un po’ troppo lunghi di lui e quei suoni metallici che escono dalla porta malgrado la sordina hanno creato un alone vagamente trasgressivo attorno ai due, quasi da tardo-hippies.

Sono intenti a discutere, come sempre, i maturi coniugi del quinto piano. Il motivo del contendere è il loro ormai adulto rampollo, che il padre vorrebbe veder diventare autonomo e responsabile e che la madre fa di tutto per tenere sotto il suo amoroso controllo. Il bambino non è ancora rientrato e non ha fatto sapere dove si trova. La madre vorrebbe aspettarlo per rassicurarsi circa la sua incolumità e per chiedergli se ha bisogno di qualcosa, il padre vorrebbe essere a letto da un po’ e rinfaccia alla moglie la responsabilità di aver cresciuto un irresponsabile, che da anni afferma di essere sul punto di laurearsi finalmente in architettura, ma intanto vive con la paghetta settimanale dei genitori, come un adolescente della metà dei suoi anni.

E’ sveglio e sta fumando lentamente la pipa il vedovo del secondo piano, ormai alle soglie della pensione. E’ seduto sulla poltrona preferita della moglie e i suoi occhi seguono alternativamente le volute di fumo ambrato e le tante foto appese alle pareti di lei sorridente, bella e giovane. E’ questo il momento più triste della giornata. Durante le ore di lavoro, la maschera di efficientismo e di compostezza che si è imposto riesce ad impedire al dolore di soffocarlo, ma il ritorno serale nella casa silenziosa e deserta è ogni volta un pugno allo stomaco. Vivevano in simbiosi, il mancato arrivo di un figlio, anziché rappresentare un motivo di crisi, li aveva uniti ancora di più e persino i lunghi mesi di malattia erano stati occasione di condivisione, di dimostrazione di amore, di reciprocità. Ha ascoltato distrattamente le notizie riguardanti l’epidemia e le disposizioni da seguire. Non gli importa molto di uscire e nemmeno di poter essere contagiato e di morire. Lui si sente già morto dentro, teme che lo sarà del tutto dopo il pensionamento e si domanda spesso perché mai stia vivendo ancora.

A piano terra, nei due locali dell’ex-portineria, dorme, stanca, ma felice, la ragazza ecuadoriana che, dopo aver ottenuto finalmente un lavoro regolare, un permesso di soggiorno prolungato, una casa ad un prezzo ragionevole, ha potuto chiedere il ricongiungimento familiare per la sua bambina di sei anni, che ora è nel lettone con lei, una manina nella sua e una in quella di un bianco orso di pelouche.
Chissà cosa sta sognando…forse un uomo che faccia da padre alla sua piccola e che non alzi le mani, come hanno fatto i pochi che ha conosciuto sinora, compreso quello che l’ha resa madre e poi le ha suggerito di abortire, rivelandole solo allora di avere già una famiglia numerosa sulle spalle.
Non ha guardato la televisione, non sa ancora che non dovrà recarsi al lavoro domani, anche se le colf e le badanti in teoria potranno farlo, perché la signora che l’ha assunta, terrorizzata dalla possibilità del contagio, le intimerà telefonicamente di rimanere a casa senza lavorare sino alla fine dell’epidemia. Se la pagherà? No di certo. Se la pagherà l’INPS come se fosse malata? Ma probabilmente no. La sua possibilità di sopravvivere non è solo una questione medica, ma economica.

I genitori del quinto piano, in preda all’ansia, sono stati raggiunti sul cellulare dal figlio, che li ha rassicurati sulla sua incolumità (non è che il virus, improvvisamente, stia dilagando per le strade del centro o forse sì?) e ha comunicato l’intenzione di fermarsi a dormire a casa della ragazza (quale? ne ignoravano l’esistenza) fino all’indomani, quando le strade saranno, magari, tornate percorribili senza documenti e autocertificazioni. Visto che tornerà da loro in pieno giorno, farà in tempo a stamparsi un’autocertificazione e a fermarsi a fare la spesa così che la madre possa non uscire, come da decreto, ma continuare a cucinare per lui. La madre si commuove all’idea di tanta gentilezza. Il suo bambino sta forse maturando, di fronte ad un evento così inatteso e rischioso?

Le mature sorelle del primo piano, l’una in ansia per le notizie ascoltate in TV, l’altra appisolata sulla poltrona come sempre, sentono ad un tratto un leggero e discreto bussare alla porta.
Chi sarà mai, se loro non ricevono mai nessuno? E poi a quest’ora quasi notturna? Aprire o no?
Spiando prima dallo spioncino, decidendosi poi a socchiudere l’uscio, la sorella meno matura si trova con stupore davanti il giovane quasi capellone del terzo piano.
Con un sorriso gentile, quasi imbarazzato, il ragazzo si offre, l’indomani mattina, di portare anche per loro il sacchetto della spazzatura ai bidoni appositi, un po’ lontani dal portone e, magari, se lo gradiscono, di fornire anche il quotidiano e un po’ di pane, che, comunque, andrebbe a comprare per sé. La televisione ha raccomandato soprattutto agli, come dire, over …over… di non uscire perché sembra che per loro il maledetto virus diventi davvero un assassino.
Stessa offerta, spiega, ha appena fatto al vedovo misogino del terzo piano, che dapprima si è stupito, poi stava per rifiutare offeso, ma infine si è convinto a farsi aiutare…intanto sarà davvero meglio che lui non esca e chissà se non verrà addirittura prepensionato, per quei pochi mesi di lavoro che gli sarebbero toccati
Tra un paio di giorni, aggiunge il giovane, lui dovrà recarsi al supermercato più vicino … se loro vogliono affidargli una lista compilata di prodotti, potrà fare la spesa anche per loro.
Le due sorelle, entrambe ormai in ingresso ad ascoltare, si scuotono dal loro serale torpore e invitano il giovane ad entrare e, mentre scrivono di quali prodotti avranno necessità, si informano gentilmente sulla sua compagna, sui loro studi e professioni, sui loro progetti per il futuro.
Nei giorni successivi questa strana, inattesa collaborazione si rivela una provvidenziale finestra aperta sul mondo esterno, diventato all’improvviso ostile e rischioso.
Il vedovo solitario, ma ben informatizzato, si offre di installare lui stesso sul tablet della sorella più giovane del primo piano il programma che, ha sentito, le permetterà di seguire le lezioni dell’ UNITRE in videoconferenza.
Lei, dal canto suo, insieme alla sorella, ha deciso di confezionare mascherine casalinghe per tutti i vicini, rispolverando la sua conoscenza dei tessuti e dell’arte del cucito.
La giovane insegnante precaria si offre di aiutare la bimba ecuadoriana, che aveva appena iniziato ad imparare l’italiano e a frequentare la prima elementare, a seguire le lezioni in quella nuova strana modalità dal cellulare, dove è ben più difficile mantenere l’attenzione rispetto alla frequenza di una classe e a fare i compiti che le verranno assegnati.

La paura di un nemico sconosciuto, la condivisione del pericolo, la spontanea solidarietà hanno reso tante singole solitudini non più delle monadi senza porte né finestre, come quelle ipotizzate dal filosofo Leibniz, ma degli anelli di una catena di reciproco aiuto.
Probabilmente, quando il pericolo si sarà attenuato, quando i troppi morti saranno stati sepolti e compianti, quando medici e infermieri saranno riconosciuti come gli eroi del momento, la vita riprenderà come una sfida, e forse ,allora, nell’elegante e vecchiotto palazzo del centro, ognuno tornerà a richiudersi nei propri appartamenti, nei propri problemi, nelle sue diverse solitudini.
Ma è stato bello, bello come solo un miracolo inatteso può apparire, che di fronte a qualcosa di ben più grande dei piccoli egoismi, dei singoli disagi e delle solitudini individuali, delle mani abbiano saputo tendersi per dare aiuto, delle parole abbiano potuto trovare voce per consolare, dei gesti concreti abbiano reso i vicini di casa realmente più vicini gli uni agli altri.
 
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