| Un mondo sbagliato
A quell'ora nel bar risuonava, attutita dallo scroscio della pioggia esterna, la solita confusione dei clienti abituali. Per contro l’aria era meravigliosamente impregnata dall’aroma del caffè e dei croissant appena sfornati. I soliti volti del lunedì mattina, alcuni sorridenti, altri assonnati e qualche altro decisamente incazzato, ma quelli erano i tifosi della «Signora» che per l'occasione aveva fatto cilecca alla prima di campionato... eheheh!
Silenziosamente l'uomo entrò e nessuno sembrò curarsi di notarlo. Solo l'attempatella cassiera con il suo bel ciuffo biondo sulla fonte, appollaiata sullo scranno dietro la voluminosa e antiquata macchina per battere gli scontrini, attenta, com'era sua abitudine, gettò verso di lui un lungo sguardo indagatore. L'uomo indossava un cappotto spigato grigio fumo di Londra di ottima fattura, La foggia del copricapo, notevolmente impregnato d'acqua, non lasciava adito a dubbi: era uno dei nuovi assunti della fabbrica.
Stranamente però non riusciva a identificare chi in realtà fosse l'uomo, poiché le ampie falde del copricapo celavano gran parte dei tratti del volto.
Dall'aspetto pensò potesse trattarsi del nuovo capo delle vendite, ma poi cambiò idea: era quasi sicuramente uno dei nuovi e niente altro. Giunse a questa conclusione considerando che di solito, i responsabili alle vendite, tengono molto ad apparire perfetti in pubblico e di certo non avrebbero mai lasciato che il copricapo rendesse incerta la sua identificazione.
L'uomo evitò le zone più affollate; si diresse verso un tavolo in un angolo della grande sala e, cosa che suscitò ancor di più lo stupore nella donna, rifiutò la compagnia di una giovane ed avvenente fanciulla, desiderosa di scambiare due chiacchiere. Erano pochi quelli che rifiutavano tali grazie ed i loro nomi si potevano contare sulle dita di una mano: Il capo in persona, il sindaco, forse...il vecchio ingegnere, l’invincibile dottor Lanzapane, capo indiscusso della coalizione che reggeva le sorti politiche del paese, il puro don Gesualdo in attesa dell'aureolea, il bel Firmino (ma di lui non ne era certa, qualche mala lingua fantasticava che fosse Gay), il devoto professor Hamilton, sempre seguito dalla sua giovane signora abbigliata come un albero di Natale. Insomma, l’élite del paese, era quindi impossibile che uno di loro si trovasse lì, a quell'ora nel bar, evitando di mostrare il suo valore. Decisa a risolvere il mistero e a capire chi fosse lo sconosciuto, la ragazza discese dal suo scranno, chiuse la cassa, ripose la chiave tra le opulente tette, poi, svelta si avvicinò al tavolo.
Dopo averlo osservato avvicinandosi pensò che, sebbene fosse ormai chiaro non si trattasse di nessuno dei nuovi arrivi importanti, prima di formulare la solita domanda di rito per prendere l'ordinazione, approfondisse la sua conoscenza, di conseguenza afferrò una sedia e sedette dinanzi all'uomo. L'uomo dapprima sembrò non notarla, perso com’era nei suoi pensieri, ma poi gettò un’occhiata arcigna sul suo seno.
- Di passaggio o nuovo arrivo in fabbrica? L'uomo continuò ad osservare il seno senza rispondere - Cosa posso portarvi signor...? Qual’è il vostro nome? - esclamò lei fissandolo negli occhi. Anche allora non vi fu risposta, ma solo uno sguardo gelido che si spostò dal seno al volto della ragazza. Passarono alcuni istanti in silenzio, semplicemente guardandosi e poi fu l'uomo a rompere il silenzio: - Avevo un nome rispettato e onorato in tutta la regione ed anche oltre, ma ora non più. - Cosa vi è successo? - Ho compiuto un’azione ignobile e non ne sono più degno - Quale azione così ignobile potreste mai aver compiuto? E se anche fosse, con i tempi che corrono avrete di sicuro già espiato la vostra colpa. - Non credo. Perché è stata l’alba di questo giorno testimone del compimento nefando delle mie azioni. Ancora una volta gli occhi dell'uomo si fecero di ghiaccio e rimasero fissi in quelli della ragazza, che sempre più smarrita, poiché non comprendeva quale mai potesse essere la colpa dell'uomo, sussurrò: - Non capisco... - Ho ucciso un irregolare! Quella rivelazione fece arricciare in una lieve smorfia il volto della ragazza che sbarrò gli occhi incredula e dovette fare un grosso sforzo per non cadere dalla sedia. «Un irregolare?» pensò «Uno stramaledettissimo extracomunitario irregolare?!» «Un essere nato solo per rompere gli stivali e non pagare le tasse? Un abominio vivente?... E... e...un elegantissimo uomo è distrutto per averne ucciso uno? Ma dieci, venti, cento, tutti doveva ucciderli, quelle luride bestie senza Dio!»
Avrebbe voluto rassicurarlo, rendendolo partecipe dei suoi pensieri, ma la voce atona, quasi inquietante dell’uomo la precedette iniziando a raccontare: - Avevo lasciato la mia casa di buon’ora, deciso ad arrivare in orario nel mio primo giorno di lavoro. Mentre mi apprestavo ad attraversare il ponte sul Po lo vidi di sfuggita. Anche lui mi vide e cercò di nascondersi, ma io ero ben deciso a non lasciarmelo scappare. Insomma, non avevo certo l'intenzione di ucciderlo, ma di consegnarlo alle autorità e mi creda, non c’è niente di meglio che beccare un irregolare per iniziare una buona giornata...o così almeno credevo.
L’inseguimento fu lungo ed accrebbe rabbia e voglia di fare il mio dovere. Alla fine lo raggiunsi, ancora qualche metro e avrebbe potuto lanciarsi nella scarpata sfuggendomi, egli si buttò in ginocchio davanti ai fari della macchina ed implorò pietà con la sua voce stridente. Piangeva mentre sosteneva di non aver mai fatto del male a nessuno e di voler solo lavorare, vivere in pace e sfamare i suoi figli. Ero al colmo del furore. Un irregolare che vuol vivere in pace? Gi irregolari, si sa, sono brutti, puzzano e sono infidi, viscidi, crudeli. Andrebbero ammazzati tutti, pensavo e soprattutto quello, visto che aveva tentato di prendersi gioco di me sfuggendomi.
Ignorai le sue suppliche e lo investii con la macchina. Il suo sangue schizzò copioso sul parabrezza, ma non me ne curai perché quello che vidi dopo mi impietrì e ancora adesso non smette di tormentarmi. Dietro il corpo deturpato, due bambini mi fissavano smarriti e terrorizzati. Non avevo mai visto dei bambini irregolari e rimasi sconcertato nel constatare che erano molto diversi da come li immaginavo. Credevo fossero come gli adulti, ma invece non ho potuto fare a meno di commuovermi. I loro occhi mi fissavano impauriti e mi accorsi di quanto fossero simili a quelli dei nostri bambini. In quel momento fu come se un velo si alzasse davanti ai miei occhi. Avevo appena ucciso un essere che non mi aveva fatto assolutamente niente, avevo tolto il padre a dei bambini a causa dell’incapacità di vedere al di là della mia ira...
Le parole gli morirono in gola mentre lo sguardo tornava a spegnersi fissandosi vuoto sul piano del tavolino. La ragazza era visibilmente sconcertata, probabilmente quell'uomo, chiunque egli fosse, era uscito di senno. Insomma, cos'aveva da crucciarsi tanto? Alla fine aveva ucciso un irregolare, e quelli, grandi o piccoli che fossero, erano pur sempre irregolari: meglio morti che vivi. Non aveva mai visto dei bambini di quegli esseri, non è che ci tenesse particolarmente, ma di sicuro dovevano essere disgustosi come i genitori. Sbuffò leggermente e si alzò tornando a curarsi della cassa, ormai non le importava più risolvere il mistero dell’identità che si celava sotto quelle falde grondanti pioggia.
L'uomo rimase seduto e solo per tutto il giorno, il locale man mano si svuotò finché non giunse l’ora di chiusura, allora l'uomo si alzò e si diresse verso la cassa. Non proferì parola, ma bastavano i suoi occhi perché la ragazza capisse che era meglio non intromettersi.
Posò un biglietto da 50 Euro per ciò che aveva consumato ed uscì senza più voltarsi indietro e quella fu l’ultima volta che qualcuno vide l'uomo dalle larghe falde attraversare il paese sulla sua possente macchina.
Edited by mcb - 8/1/2013, 09:04
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