Storia di un sogno
C'era una volta, nel Regno-che-non-c'è-più, un Sogno. Sì, proprio uno di quei sogni che appaiono, sotto forma di nuvoletta sorretta da pallini, ancora nei disegni a fumetti, ma sempre meno nella vita reale. Il Sogno di cui sto parlando, quando la Notte giocava con la Luna e le Stelle a rimpiattino, si divertiva a volare nei cieli del Regno, ad insinuarsi, leggero come un soffio, dentro le finestre delle camere in cui dormivano i bambini, a disegnare dietro le loro palpebre addormentate cancelli d'oro, montagne di petali di fiori, fiumi di cioccolato con isole di panna montata. Quando vedeva, sulle loro labbra socchiuse, formarsi un sorriso, sgusciava via di soppiatto, per cercare, in altri quartieri, in altre case, qualcuno che avesse bisogno di lui, che sapeva creare un mondo alternativo, più bello, divertente, appagante di quello reale. All'alba, al dissolversi delle ombre azzurre e al diffondersi nel cielo dei primi nastri di luce, il nostro Sogno si coricava, stanco, su un cuscino di neve, sulla spuma di un'onda, sopra un raggio di sole. Anche i Sogni devono dormire, per riprendere vigore e poter ritornare nei pensieri degli uomini, durante il giorno, sotto una diversa forma: non creando per loro mondi incantati, favolosi e alternativi, come la notte, ma prospettando possibilità, ideali, traguardi a cui ambire. Il Sogno ispirava, così, ai bambini, il desiderio di diventare un eroe, un poeta, uno scienziato, faceva loro desiderare una vita vissuta intensamente, al servizio del resto dell'umanità, trasformava, ai loro occhi, la rinuncia all'egoismo, l'attesa di darsi agli altri, il sacrificio di qualche comodità in attività degne ed appaganti. Il Sogno riusciva anche, nei giochi dei bambini, a trasformare un manico di scopa in un destriero bianco alato, una spada di latta nella mitica Excalibur, una corona di cartone in un serto di gloria. Il Sogno colorava la vita di bellezza, rendeva sopportabile la povertà, la solitudine, la delusione, spingeva a tendere a dare il meglio di sé. Ma un giorno qualcuno, nel Regno-che-non-c'è-più, cominciò a dire che il Sogno era pericoloso ed alienante, sicuramente antisociale ed illusorio. Chi sognava non poteva vedere chiaramente i veri, pratici, concreti obiettivi dell'esistere: lavorare, produrre, consumare, per poter lavorare, produrre, consumare. Il Sogno creava degli spostati, che si incantavano davanti a un filo d'erba al sole o ad una tela di ragno su cui si posava una goccia di pioggia, il Sogno faceva credere all'individuo di essere unico e irripetibile, anziché singola molecola di una massa, il Sogno spingeva all'ottimismo fideistico di poter rendere il mondo migliore, anziché far constatare con disgusto quanto esso sia male. E così, lo stolto Re del Regno, ispirato da cortigiani ansiosi di manipolare a loro piacimento le menti dei più giovani, plasmandole tutte insieme come colori di Das miscelati con le dita, ordinò di processare sommariamente e di mettere al bando il Sogno, anzi di condannarlo a morte, se avesse osato ripresentarsi entro i confini stabiliti. E il Sogno, scacciato con ignominia, sbeffeggiato, vilipeso, fuggì in un'altra dimensione temporale, si rifugiò negli spazi astrali, si nascose nelle pagine dei libri, nelle note di una canzone, nei fotogrammi di un film. E i bambini non sognarono più né di giorno né di notte, perché era un' attività severamente proibita dal Re, crebbero vestiti uguali, parlarono un lessico ridotto, ebbero come obiettivi pratiche, solide, tangibili cose concrete: un lavoro poco faticoso e ben retribuito, un veicolo a due o quattro ruote sempre più veloce, un fine settimana sempre più lungo e più annoiato. Fu loro insegnato che i sentimenti sono solo reazioni ormonali, che amicizia e amore sono provvisori e precari, che nulla trascende l'uomo, ma che tutto è materia. Denaro, successo, felicità vennero propagandati come obiettivi da raggiungere nel più breve tempo possibile e con la minor fatica impiegabile. Ma, lungi dall'essere più felici, i giovani cresciuti senza il Sogno erano annoiati, disincantati, disgustati. L'edonismo, la superficialità, il materialismo non sembravano appagare, anzi, creavano degli immensi buchi nell'anima. E, così, il Sogno, sospirando dai suoi rifugi fuori dal tempo e dallo spazio, decise di rischiare e di ritornare, ma ben camuffato, come un antico pellegrino, in modo da non essere facilmente identificato. Provò, timidamente, ad insinuarsi tra le dita di due mani che si intrecciano per la prima volta, nelle fossette che si formano in un sorriso, nell'emozione di un tramonto di fuoco che incendia il mare. Rischiò, perché, lo sapeva bene, senza il Sogno non si è veramente vivi e non voleva la responsabilità di lasciare, dietro di sé, generazioni di morti spiritualmente. Così, se vi capita di ascoltare i progetti di grandi imprese di un bambino, di osservare l'emozione di un adolescente innamorato, di ammirare un uomo o una donna che offrono un sorriso, una parola, una mano tesa come un dono, pensate che è il Sogno che li fa vivere, sperare, credere, il Sogno, che è ancora proibito nominare, riconoscere, definire, ma senza il quale si spengono i colori del mondo e l'esistenza diventa un lungo, immenso, grigio sbadiglio.
Renata Galderisi
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